E' in atto da qualche
anno una rinascita di interesse verso il fenomeno cataro che si
traduce (oltre a studi di indubbio interesse) anche nel fiorire di
feste, “centri studi” e amenità varie che hanno più del
folkloristico (nel senso deteriore del termine) che dello
scientifico.
Anche il nostro Pirandello se ne occupò in una famosa novella. Ma oggi più che alla letteratura siamo interessati alla storia. Riprendiamo dunque con molto piacere questo articolo,
ritrovato in rete, che evidenzia un impegno (insolito e dunque ancora
più apprezzabile) nella ricerca delle fonti.
Paolo
Secco
Gli
eretici e le montagne
E’ a tutti noto che
alcune valli delle Alpi occidentali hanno per secoli costituito
rifugio per comunità e gruppi cristiani non cattolico–romani. In
particolare le valli Pellice, Chisone e Germanasca
hanno assunto nel tempo il nome di Valli Valdesi. Ma
mentre per queste comunità è più facile portare avanti un discorso
storico, per i gruppi eterodossi presenti nel resto delle Alpi
occidentali ci si può riferire esclusivamente alle fonti originarie,
quasi sempre di parte cattolica. In quasi tutte le fonti è difficile
distinguere le differenze dottrinali fra i vari gruppi ereticali
presenti sulle Alpi e nella pianura.
Spesso con il nome
di “Valdenses” vengono indicati gruppi diversi. Del
resto, nell’esposizione della propria dottrina da parte di alcuni
accusati nei processi inquisitoriali è ben evidente un vero e
proprio sincretismo religioso. Ne è un esempio la
vicenda svoltasi in Monforte, nelle Langhe, nei
primi decenni dell’anno mille, che abbiamo ampiamente
trattato in una puntata precedente.
Molti studiosi si sono
occupati del passaggio attraverso le Alpi di gruppi o individui
Albigesi in fuga dalla dura repressione nel sud occitano del XIII
secolo, in direzione della “Lombardia”, corrispondente a quei
tempi alla Pianura Padana. E’ noto come ancora nei secoli
successivi il nord Italia fosse considerata terra di tolleranza
religiosa: “In Lombardia non fit malum hereticis, iudeis et
sarracenis” (1). Le Alpi, per dirla con le parole di Grado G. Merlo
(2), furono relegate, da molti storici, al rango di
accidente geografico, dal duplice volto di divisione e di protezione
lungo itinerari i cui punti di partenza ed arrivo stavano altrove.
Rimangono comunque senza
risposta una serie di domande: quando si diffonde l’eresia nelle
Alpi? Con quali caratteri originari? Una prima fonte che merita
un’attenta considerazione è il “Tractatus contra Petrobrusianos
hereticos” di Pietro il Venerabile, famoso abate di Cluny,
collocabile negli anni trenta del XII secolo, quando ancora poco si
parlava di Catarismo.
In due lettere, che
assumono appunto forma di trattato, indirizzate ai prelati di Embrun,
Die e Gap, l’abate cluniacense tenta di fornire una strumentazione
teologico–dottrinale per contrastare gli effetti della predicazione
di un ex prete, Pietro di Bruis, che per decenni aveva
portato in lungo ed in largo pericolose dottrine eterodosse.
L’eretico, originario
delle Hautes–Alpes, forse di un villaggio nei pressi di
Rosans, aveva dapprima predicato nei luoghi di origine
poi, cacciato a seguito di una dura repressione, aveva
visitato la Provenza, arrivando con le sue teorie fino alle lontane
terre di Guascogna. Era finito poi sul rogo nei pressi di Saint
Gilles, attorno al 1133 (o secondo alcune fonti nel 1139).
Resta il fatto che la
zona di influenza delle idee petrobrusiane andava ben al di là
della terra di origine, anche perché esse rappresentavano
un bisogno di semplificazione, di ritorno al cristianesimo
originario, una necessità di purezza ideologica e materiale
presente nelle popolazioni di ogni regione. L’abate di Cluny
lamentava che, essendo transitato per la “Provincia Septimanie seu
Alpium Maritimarum” si era accorto di quanto ivi perdurasse
“Erroneum Dogma”, nonostante l’espulsione dalla zona
dei principali “auctores”.
Pietro il Venerabile
aveva dapprima pensato che l’influenza di tale dogma dipendesse
principalmente dalla mentalità e dai costumi “agrestes
et indocti” di uomini abituati a vivere isolati sulle montagne, fra
boschi e valli sperdute, lontani, a suo dire, da ogni apporto
culturale. Ma rendendosi poi conto con stupore che l’eretico in
questione aveva lasciato il segno anche nella società più
urbanizzata del midì francese, fu costretto a cambiare opinione e ad
ap-profondire ciò che stava dietro alle predicazioni degli eretici.
Roccavione |
Pietro di Bruis non fu
Cataro, e nemmeno precursore del Valdismo, ma piuttosto fu l’esempio
di quella chiesa spirituale conseguenza della riforma attuata nel’XI
secolo; sta di fatto che in Delfinato, sulle Alpi, agli inizi del XII
secolo nacque un movimento eretico che non rimane esclusivamente
locale. Nulla dice peraltro il “Liber contra Petrobrusianos”
sulla propagazione di tale idee sul versante alpino piemontese, ma è
facile individuare alcune sicure corrispondenze con posizioni
culturali, liturgiche, dottrinali, espresse più tardi da alcuni
eretici piemontesi nel corso di molti processi
d’inquisizione. E’ possibile parlare pertanto di continuità?
L’elemento comune sembra costituito da una religiosità scarna ed
essenziale, che presuppone un rapporto diretto con Dio.
Parliamo ora
di alcuni dei pochissimi documenti che prendono in considerazione la
circolazione ereticale nel periodo compreso fra la morte di Pietro di
Bruis e la caduta di Montségur, nel 1244.
Attorno agli anni ’60 -
’70 del ‘200, l’inquisitore Anselmo di Alessandria ricostruisce
nel suo “Tractatus de hereticis” le origini del Catarismo in
occidente, e, fra le tante notizie, riporta la vicenda di quattro
milanesi che, convertiti alla nuova fede da un “notarius de
Francia”, vengono da questi inviati a Roccavione, ove i Catari
erano venuti ad abitare direttamente dalla Francia.
In effetti già
all’epoca, prima della metà del XII secolo, sono
attestate violenze antieterodosse al di là delle Alpi, ed è
pertanto possibile che molti fossero già allora in fuga alla ricerca
di un posto tranquillo. Il nome di Roccavione risulta
già documentato a quei tempi, il paese era d’altra
parte situato alla confluenza di più vie di comunicazione, fra cui
il Colle di Tenda (3).
La località era
facilmente raggiungibile, ed era oltretutto vicina a Cuneo, ove più
tardi, attorno al 1240 – 1260, sono accertate presenze catare. Dal
Tractatus sembra addirittura che all’epoca in Roccavione vivesse un
“Episcopus”, che però al momento dell’arrivo dei milanesi si
trovava in visita a Napoli, città ove i
nuovi arrivati lo avrebbero presto raggiunto.
Per alcuni storici
(Borst, Manselli) la notizia è degna di fede, per altri
invece (Dupré, Theseider) il racconto di Frate Anselmo
presenta elementi leggendari, ancorché non inverosimili, ma
soprattutto riflette una situazione posteriore.
(1) Registro di
Inquisizione di Jaques Fournier, Vescovo di Pamiers . (1318 – 1325)
(2) Grado G. Merlo,
“Eretici ed inquisitori nella società piemontese del ‘300”
Torino, Ed. Claudiana, 77.
(3) Comba Rinaldo,
“Strade e mercati dell’area sud occidentale. Per una storia
economica del Piemonte medievale” BSS. Torino, 1984.
OUSITANIO
VIVO - Anado XXVIII -febrier 2002 - N° 264
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