16 novembre 2014

L' ERESIA CATARA




     E' in atto da qualche anno una rinascita di interesse verso il fenomeno cataro che si traduce (oltre a studi di indubbio interesse) anche nel fiorire di feste, “centri studi” e amenità varie che hanno più del folkloristico (nel senso deteriore del termine) che dello scientifico. 
     Anche il nostro Pirandello se ne occupò in una famosa novella. Ma oggi più che alla letteratura siamo interessati alla storia. Riprendiamo dunque con molto piacere questo articolo, ritrovato in rete, che evidenzia un impegno (insolito e dunque ancora più apprezzabile) nella ricerca delle fonti.

Paolo Secco
Gli eretici e le montagne

E’ a tutti noto che alcune valli delle Alpi occidentali hanno per secoli costituito rifugio per comunità e gruppi cristiani non cattolico–romani.  In particolare le valli Pellice,  Chisone e  Germanasca hanno assunto  nel tempo il nome di Valli Valdesi.  Ma mentre per queste comunità è più facile portare avanti un discorso storico, per i gruppi eterodossi presenti nel resto delle Alpi occidentali ci si può riferire esclusivamente alle fonti originarie, quasi sempre di parte cattolica. In quasi tutte le fonti è difficile distinguere le differenze dottrinali fra i vari gruppi ereticali presenti sulle Alpi e nella pianura.

Spesso con il nome di  “Valdenses” vengono indicati gruppi diversi. Del resto, nell’esposizione della propria dottrina da parte di alcuni accusati nei processi inquisitoriali è ben evidente un vero e proprio sincretismo religioso.  Ne è un esempio  la vicenda svoltasi in Monforte, nelle Langhe,  nei primi  decenni dell’anno mille, che abbiamo ampiamente trattato in una puntata precedente.

Molti studiosi si sono occupati del passaggio attraverso le Alpi di gruppi o individui Albigesi in fuga dalla dura repressione nel sud occitano del XIII secolo, in direzione della “Lombardia”, corrispondente a quei tempi alla Pianura Padana. E’ noto come ancora nei secoli successivi il nord Italia fosse considerata terra di tolleranza religiosa: “In Lombardia non fit malum hereticis, iudeis et sarracenis” (1). Le Alpi, per dirla con le parole di Grado G. Merlo (2),  furono relegate, da molti storici, al rango di accidente geografico, dal duplice volto di divisione e di protezione lungo itinerari i cui punti di partenza ed arrivo stavano altrove.

Rimangono comunque senza risposta una serie di domande: quando si diffonde l’eresia nelle Alpi? Con quali caratteri originari? Una prima fonte che merita un’attenta considerazione è il “Tractatus contra Petrobrusianos hereticos” di Pietro il Venerabile, famoso abate di Cluny, collocabile negli anni trenta del XII secolo, quando ancora poco si parlava di Catarismo.

In due lettere, che assumono appunto forma di trattato, indirizzate ai prelati di Embrun, Die e Gap, l’abate cluniacense tenta di fornire una strumentazione teologico–dottrinale per contrastare gli effetti della predicazione di un ex prete, Pietro di Bruis,  che per decenni aveva portato in lungo ed in largo pericolose dottrine eterodosse.

L’eretico, originario delle Hautes–Alpes,  forse di un villaggio nei pressi di Rosans,  aveva dapprima predicato nei luoghi di origine poi, cacciato a seguito di una dura  repressione, aveva visitato la Provenza, arrivando con le sue teorie fino alle lontane terre di Guascogna. Era finito poi sul rogo nei pressi di Saint Gilles, attorno al 1133 (o secondo alcune fonti nel 1139).

Resta il fatto che la zona di influenza delle idee petrobrusiane andava ben al di là della  terra di origine, anche perché esse rappresentavano un bisogno di semplificazione, di ritorno al cristianesimo originario, una necessità di purezza ideologica e materiale presente nelle popolazioni di ogni regione. L’abate di Cluny lamentava che, essendo transitato per la “Provincia Septimanie seu Alpium Maritimarum” si era accorto di quanto ivi perdurasse “Erroneum Dogma”,  nonostante l’espulsione dalla zona dei principali “auctores”.

Pietro il Venerabile aveva dapprima pensato che l’influenza di tale dogma dipendesse principalmente  dalla mentalità e dai costumi “agrestes et indocti” di uomini abituati a vivere isolati sulle montagne, fra boschi e valli sperdute, lontani, a suo dire, da ogni apporto culturale. Ma rendendosi poi conto con stupore che l’eretico in questione aveva lasciato il segno anche nella società più urbanizzata del midì francese, fu costretto a cambiare opinione e ad ap-profondire ciò che stava dietro alle predicazioni degli eretici.
Roccavione

Pietro di Bruis non fu Cataro, e nemmeno precursore del Valdismo, ma piuttosto fu l’esempio di quella chiesa spirituale conseguenza della riforma attuata nel’XI secolo; sta di fatto che in Delfinato, sulle Alpi, agli inizi del XII secolo nacque un movimento eretico che non rimane esclusivamente locale. Nulla dice peraltro il “Liber contra Petrobrusianos” sulla propagazione di tale idee sul versante alpino piemontese, ma è facile individuare alcune sicure corrispondenze con posizioni culturali, liturgiche, dottrinali, espresse più tardi da alcuni eretici piemontesi  nel corso di molti processi d’inquisizione. E’ possibile parlare pertanto di continuità? L’elemento comune sembra costituito da una religiosità scarna ed essenziale, che presuppone un rapporto diretto con Dio.

Parliamo  ora di alcuni dei pochissimi documenti che prendono in considerazione la circolazione ereticale nel periodo compreso fra la morte di Pietro di Bruis e la caduta di Montségur, nel 1244.

Attorno agli anni ’60 - ’70 del ‘200, l’inquisitore Anselmo di Alessandria ricostruisce nel suo “Tractatus de hereticis” le origini del Catarismo in occidente, e, fra le tante notizie, riporta la vicenda di quattro milanesi che, convertiti alla nuova fede da un “notarius de Francia”, vengono da questi inviati a Roccavione, ove i Catari erano venuti ad abitare direttamente dalla Francia.

In effetti già all’epoca,  prima della metà del XII secolo, sono attestate violenze antieterodosse al di là delle Alpi, ed è pertanto possibile che molti fossero già allora in fuga alla ricerca di un posto tranquillo. Il nome di Roccavione risulta già  documentato a quei tempi, il paese era d’altra parte situato alla confluenza di più vie di comunicazione, fra cui il Colle di Tenda (3).

La località era facilmente raggiungibile, ed era oltretutto vicina a Cuneo, ove più tardi, attorno al 1240 – 1260, sono accertate presenze catare. Dal Tractatus sembra addirittura che all’epoca in Roccavione vivesse un “Episcopus”, che però al momento dell’arrivo dei milanesi si trovava in visita a Napoli,  città ove   i nuovi arrivati lo avrebbero presto raggiunto.

Per alcuni storici (Borst, Manselli)  la notizia è degna di fede, per altri invece (Dupré, Theseider)  il racconto di Frate Anselmo presenta elementi leggendari, ancorché non inverosimili, ma soprattutto riflette una situazione posteriore.

(1) Registro di Inquisizione di Jaques Fournier, Vescovo di Pamiers . (1318 – 1325)
(2) Grado G. Merlo, “Eretici ed inquisitori nella società piemontese del ‘300” Torino, Ed. Claudiana, 77.
(3) Comba Rinaldo, “Strade e mercati dell’area sud occidentale. Per una storia economica del Piemonte medievale” BSS. Torino, 1984.


OUSITANIO VIVO - Anado XXVIII -febrier 2002 - N° 264

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