20 novembre 2014

MODIGLIANI A PARIGI


Gli anni parigini di Amedeo Modigliani rappresentano un'avventura artistica affascinante. A contatto con Picasso e con gli altri grandi dell'arte del primo Novecento l'artista toscano seppe trovare una originalissima sintesi fra astrazione e figurazione.

Anna Orlando
Modigliani a Parigi

Scandali e scalpore accompagnano Amedeo Modigliani, in vita, come dopo la morte. Dalla prima personale, alla galleria di Léopold Zborowski di Parigi, nel 1917, quando i suoi nudi femminili irriverenti, sintetici eppure suadenti sconvolgono la borghesia bene della città, tanto da fare intervenire i gendarmi; al suicidio del l'amata Jeanne che si getta nel vuoto con in grembo il loro secondogenito che non vedrà la luce, due giorni dopo la morte del pittore, a trentacinque anni per una meningite tubercolare, nel 1920. È la stessa Jeanne che ha fatto registrare un prezzo record di 26 milioni di sterline nel l'asta londinese di Christie's nel 2013, e che appare, su una piccola tela del 1918 proveniente dal Musée d'art Moderne di Troyes tra i capolavori della mostra «Amedeo Modigliani et ses amis», allestita sui due piani di Palazzo Blu, sul lungarno di Pisa, fino al 15 febbraio,

La ragazza dalle lunghe trecce, con un grande cappello sopra l'ovale del viso su cui spiccano due occhi azzurri a mandorla e un accenno di sorriso, fa parte di una sequenza di volti femminili e maschili con cui chiude la mostra, il cui percorso, di sala in sala, prepara il visitatore alla forza espressiva di queste opere mature, degli anni 1915-1919, gli stessi in cui infuriava la Prima guerra mondiale.

Modì resta saldamente ancorato alla figura, pur passando attraverso il cubismo e osservando da vicino il primo astrattismo dell'arte moderna che maturava proprio a Parigi, dove arriva nel 1906. Se mai, trova la più originale sintesi tra astrazione e figurazione, quella per cui ha un posto tutto suo nella storia dell'arte, rendendo così reale e al tempo stesso evanescente l'uomo o la donna che posano per lui: Dédie, dolce e malinconica nel suo inclinare il viso; Gaston Modot, il regista, sceneggiatore e attore, ieratico come una scultura nella tela del Pompidou del 1918; il Giovane apprendista dell'Orangerie, dipinto tra il '17 e il '19, quando le campiture piatte del colore palesano la meditazione sul l'opera di Cézanne, in modo del tutto simile al Ragazzo coi capelli rossi del Pompidou, 1919, quando la luce del Midì riscalda gli incarnati, senza che si dilegui la malinconia di un volto che si staglia sulla neutralità incolore del fondo.

Dieci ritratti della maturità accostati a un Nudo sdraiato del 1917 in prestito dalla Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli di Torino e a una decina di disegni che mostrano il primo approccio del pittore al ritratto, con lo studio della posa e dei tratti essenziali dell'effigiato, concludono una retrospettiva capace di accompagnare per mano il visitatore attraverso le fasi veloci della sua maturazione artistica. In continuo dialogo visivo tra sculture, dipinti e disegni, e con le opere dei suoi amici Raoul Dufy, Chaim Soutine, Susanne Valadon, Moïse Kisling, André Derain, Léopold Survage, ma anche Pablo Picasso, Juan Gris, Fernand Léger e Gino Severini.

E poi gli scultori: dall'anonimo autore di una maschera africana del Gabon, ai cubisti Jaques Lipchitz, Henri Laurens e Ossip Zadkine, fino al rumeno Costantino Brancusi. La sala dedicata al dialogo Modigliani-Brancusi, dove sculture e fogli propongono forme e linee ricche di rimandi reciproci, è una delle più belle della mostra.



Jean-Michel Bouhours, conservatore delle collezioni moderne del Musée del Centre Pompidou, partner organizzativo con Fondazione Palazzo Blu e Mondo Mostre, e grazie a cui si devono tanti e tali prestiti importanti da collezioni pubbliche e private di Parigi e del resto della Francia, è riuscito a costruire un percorso critico senza sbavature e senza divagazioni del fatto artistico. Così, avendo tutti ben a mente la formula classica e matura del più tipico Modigliani dei ritratti con i volti allungati e sognanti, i visitatori passeranno dalle primissime opere ancora in Italia, quando la lezione di Guglielmo Micheli a Livorno lo instrada verso la pittura di paesaggio dei macchiaioli, fino all'arrivo a Parigi nel 1906. Ha solo ventidue anni. Ma è nel posto giusto al momento giusto.

E il suo talento trova spazio, facendo breccia tra i disagi di una vita nella malattia e nella povertà. Con i primi ritratti del 1909, tre prestiti eccezionali di collezione privata e della Fondazione Pierre Giannadda di Martigny, nelle superfici ruvide di una materia grossolana sulla tela, già s'intuisce dove il pittore sarebbe andato a parare: sguardi malinconici che ipnotizzano, tratti essenziali e decisi del pennello, un segno nero che profila la forma e la costruisce nella bidimensionalità; tinte ribassate nella fierezza di un colore vivo.



Il Sole – 16 novembre 2014

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