20 novembre 2014

TEMPI D' INGIUSTIZIA

Opera di Dario Fo



Quando la pratica del diritto e il senso di giustizia divergono in maniera così clamorosa come nel caso dell’annullamento della sentenza eternit da parte della corte di cassazione, la società soffre una ferita non rimarginabile. Sempre di più appare chiaro che uno dei caratteri fondamentali del nostro tempo è l’affermarsi di una élite nazionale e transnazionale che sta al di sopra di ogni legge. Abbiamo chiesto a Rosalba Altopiedi ricercatrice all’università di Torino, esperta di criminalità d’impresa e consulente per la pubblica accusa al processo Eternit di commentare la vicenda.

 la redazione di  http://www.nazioneindiana.com/

Eternit: i tempi dell’aggiustizia


di Rosalba Altopiedi*

In questi momenti sono innumerevoli i commenti al pronunciamento della Cassazione che ha sancito la ‘fine’ al processo per disastro doloso a carico dei responsabili della multinazionale Eternit per le morti e le malattie causate dalla lavorazione dell’amianto in diversi stabilimenti del nostro paese.
Certo questo è il momento dell’amarezza e dello scoramento; questo è il momento anche dello stupore per l’incapacità del diritto di accogliere le istanze di giustizia provenienti dalla società civile e da un mondo che cambia. Ma, necessariamente dicono molti, questo deve essere anche il momento della prudenza, della valutazioni misurate, dell’attesa.
Dopo una camera di consiglio di appena un’ora e mezza (un tempo risibile per l’esame di una vicenda complessa sia nel merito sia nel diritto) la Suprema Corte ha messo una pietra tombale sulle sentenze che avevano riconosciuto (in due distinti gradi di giudizio) la responsabilità dolosa degli imputati per l’agire criminale con cui avevano condotto le lavorazioni dell’amianto non solo nel nostro paese. Scelte e decisioni che, voglio ribadirlo, hanno prodotto un disastro che ha avuto come conseguenza la morte di più di tremila persone e il conto è ancora aperto.
La decisione è per me così sconcertante che sento l’urgenza di abbandonare la prudenza e scrivere qui, oggi, cercando di mettere in parole i miei sentimenti di giustizia, sentimenti che sono stati violati, offesi. Lo farò prendendo a prestito le parole che il sostituto procuratore generale della Cassazione ha utilizzato rivolgendosi ai giudici: “Per me l’imputato è responsabile di tutte le condotte a lui ascritte” tuttavia, secondo il magistrato, il diritto e la giustizia sono concetti che spesso non possono coesistere: “Anche se oggi qui si viene a chiedere giustizia, un giudice – ha avvertito il pm Iacoviello rivolto alla Corte – tra diritto e giustizia deve scegliere il diritto”.
Una dicotomia che non mi convince, che non può convincere chi ritiene che il diritto, in particolare il diritto penale, altro non sia che l’espressione di quel nucleo di interessi e valori che la società riconosce come fondanti il contratto sociale che vanno difesi, tutelati, tra questi la possibilità di vivere una vita degna, o più semplicemente quella di vivere. In questa vicenda, lo insegnano le sentenze che si sono pronunciate nel merito delle responsabilità, questo valori sono stati offesi e calpestati dalle esigenze del profitto. Il diritto alla vita non è stato garantito ai lavoratori degli stabilimenti delle Eternit, ai loro congiunti e ai cittadini.
Il diritto non può essere contrapposto alle esigenze delle vittime di ottenere un ‘riconoscimento’ per il prezzo pagato (il prezzo più alto in questo caso, la propria vita) all’altare del progresso o meglio del profitto. Il diritto non può né deve essere un simulacro immodificabile, ma deve saper cogliere le istanze provenienti dal basso, farle proprie, senza tradire se stesso e senza nulla togliere alla certezza del medesimo.
Per formazione sono abituata a guardare al diritto non come a uno strumento sterile e astratto di regolazione delle controversie, ma come a un dispositivo che rende palese in modo inequivocabile i rapporti di potere della società. Ecco, in questo caso il diritto mi è apparso in tutta la sua spietatezza come lo strumento di potere di pochi, pochissimi, che riescono a sfuggire e restare di fatto impuniti anche di fronte all’accertamento giudiziario delle proprie colpe. Certo sarà necessario leggere con attenzione le motivazioni della Cassazione per ben comprendere le ragioni di questa decisione, ma certamente ora ci troviamo dinnanzi a quello che Sergio Bonetto, uno degli avvocati delle parti civili, ha definito con un amaro paradosso il “disastro perfetto”. Un disastro che resta impunito e, stante l’interpretazione della Cassazione, sarà da oggi impunibile.
Certo non manca anche in questi momenti di grande delusione la voce di chi, come il magistrato torinese Raffaele Guariniello che con i colleghi Sara Panelli e Gianfranco Colace ha rappresentato la pubblica accusa nei primi due gradi di giudizio, cerca di ‘tenere dritto il timone’ nella tempesta. Dice Guariniello:
“Il mio primo messaggio va alle famiglie: voglio che sappiano che non devono perdere fiducia nella giustizia. Oggi si chiude un capitolo: è vero, ma se ne apre uno nuovo, e noi sulla strage dell’Eternit non demorderemo”
Un messaggio di speranza che è rivolto però a una comunità che in questi momenti è come fosse stata schiaffeggiata, offesa, tradita.
Chi come me conosce le genti di Casale sa che non si arrenderanno. Lo ha ribadito in queste ore Bruno Pesce uno dei fondatori dell’Afeva (Associazione Familiari e Vittime dell’Amianto) che, raggiunto da Radio Gold News, ha detto: “Non può finire qui … Se c’è una grande ingiustizia la reazione deve essere ancora più forte. Adesso siamo in una fase di grande difficoltà … C’è stupore e amarezza in tutti”.
Da domani sarà nuovamente il tempo della lotta, ma oggi è davvero molto molto difficile.

* Della stessa autrice si legga anche questo articolo

Nessun commento:

Posta un commento