Il generale Maletti
I giudici sentono il
generale Maletti, uno dei capi dei servizi negli anni delle stragi.
Il generale ha sempre sostenuto che dietro le bombe degli anni 70
c’era la regia della Cia e l’azione diretta di Ordine nuovo,
«scelto dall’intelligence americana perché più affidabile sul
piano militare e più motivato dal punto di vista politico».
Daniele
Mastrogiacomo
L’Italia dei misteri. “Patti tra Servizi e mafia già negli anni Settanta”
C’era un
patto segreto, organico, diretto tra i Servizi segreti italiani
degli Anni 70 e Cosa nostra. Due rapporti stesi da un collaboratore
di quello che all’epoca si chiamava Sid confermano per la prima
volta, sebbene in modo ufficioso, l’intreccio di interessi e di
finalità tra un piccolo gruppo di alti ufficiali incaricati di
tutelare la sicurezza dello Stato e le cosche che agivano a
Palermo. I documenti sono spuntati fuori due giorni fa a
Johannesburg dove tre pm della Procura del capoluogo siciliano si
sono recati per interrogare l’ex generale Gianadelio Maletti, dal
1971 al 1979 capo del reparto D del Servizio, dedicato al
controspionaggio.
Fuggito in Sudafrica nel 1980, l’alto dirigente dei nostri Servizi era stato condannato nel 1996 a 14 anni per aver sottratto un fascicolo riservato, intitolato Mi. Fo. Biali, e legato ad uno scandalo di contrabbando di petroli che coinvolgeva politici e vertici della Guardia di Finanza. Sebbene ancora oggi sia inseguito da un ordine di cattura spiccato dalla Procura di Roma nel marzo del 2013, e quindi latitante, Maletti ha accettato di rispondere alle domande dei magistrati. La rogatoria richiesta dal governo italiano si è svolta nella casa del generale: una modesta abitazione in un quartiere elegante della capitale commerciale del paese. Maletti, sebbene solo testimone, è stato assistito dal suo legale di fiducia Michele Gentiloni Silverj.
I pm Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia volevano capire se Maletti sapesse dell’esistenza di questo piccolo e segreto gruppo all’interno del Sid. L’interesse nasceva non tanto dai retroscena che hanno scandito la lunga serie di attentati e di stragi che insanguinarono l’Italia negli anni 70, compresi i tentativi di golpe (Rosa dei Venti, Borghese, Staybehind) quanto dal fatto che del gruppo faceva parte anche l’allora capitano Mario Mori, oggi imputato nel processo d’appello per la trattativa Stato-mafia durante la stagione stragista dei Corleonesi.
Il vecchio capo del
Sid, 92 anni ma una memoria ancora freschissima, ha ribadito di
aver già spiegato in diverse occasioni ciò che sapeva di quei
tentativi golpisti ma di non essere in grado di fornire altri
dettagli. Il generale ha sempre sostenuto che dietro le bombe degli
anni 70 c’era la regia della Cia e l’azione diretta di Ordine
nuovo, «scelto dall’intelligence americana perché più
affidabile sul piano militare e più motivato dal punto di vista
politico». Una circostanza smentita dalla Cia.
La sorpresa è giunta
quando i tre pm gli hanno mostrato due rapporti confidenziali
redatti dalla fonte Gian Sorrentino e spediti al Centro di
coordinamento delle stazioni del Servizio. Facevano parte dei
documenti sequestrati dal sostituto della Procura di Roma Domenico
Sica al generale poco prima della sua fuga. Maletti è cascato
dalle nuvole e ha sostenuto di non averli mai visti. Ha spiegato di
aver sempre sospettato che all’interno del Reparto D da lui
diretto ci fossero molti ufficiali con simpatie per l’estrema
destra. Ma di non aver mai avuto prove certe dell’esistenza di un
gruppo organico e attivo con forti legami con Cosa nostra.
Secondo la fonte
Sorrentino, del gruppo facevano parte il colonnello Federico
Marzollo, capo raggruppamento dei Centri, il capitano Mario Mori,
il colonnello Andrea Pace e tre civili: i fratelli Giorgio e
Gianfranco Ghiron e l’avvocato Emilio Taddei. I sei, stando ai
due rapporti, facevano del tutto per rallentare e spesso deviare le
indagini che il Servizio avviava nei confronti della destra
eversiva. Tramite i fratelli Ghiron, sosteneva la fonte, il gruppo
era legato a Vito Ciancimino, all’epoca potente sindaco di
Palermo poi condannato per mafia.
Maletti ha ricordato una serie di episodi nei quali aveva avuto la sensazione di essere ostacolato nelle indagini. È chiaro che il generale spera di vedere attenuate le sue responsabilità. Sull’allora capitano Mario Mori, oggi generale, Maletti ha ricordato di non essere stato lui a chiamarlo al Sid ma il suo collega Marzollo, capo centro di Roma. Il quale provvide poi ad attribuirgli anche una qualifica.
Nel 1974 i sospetti di
un forte legame tra Mori e la destra estrema, spinsero Maletti ad
esonerarlo dal suo incarico e un anno a chiedere il suo
allontanamento. «Le sue inclinazioni politiche erano chiare», ha
spiegato il generale ai pm palermitani, «ma posso escludere che la
mia richiesta sia stata legata al sospetto che Mori fosse legato
alla mafia». Erano invece certi i legami tra il colonnello Umberto
Bonaventura, allora capo del Centro Sid di Palermo. «Sapevamo che
era affiliato, organico, punciuto come si dice», ha precisato
Maletti.
Non è mai chiaro quanto il generale Gianadelio Maletti sappia. A 93 anni conserva ancora la sua aurea di 007. Dice e non dice. Nasconde e svela. Ma il nuovo tassello aggiunto al suo tumultuoso periodo svela per la prima volta quanto fossero inquinati i nostri Servizi segreti. Non solo per i contatti operativi con la destra bombarola ma per i legami diretti con le cosche, poi diventate stragiste e protagoniste di quella trattativa con lo Stato che si profila sempre più sullo sfondo.
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