19 novembre 2014

NON CI SONO MISTERI IN ITALIA...



Eravamo stati facili profeti. L'apertura degli archivi dei Servizi si rivela una bufala, nella migliore tradizione della commedia all'italiana. E comunque, per la verità storica non c'è bisogno di altre carte. Lo diceva già Pasolini. Noi sappiamo cosa è successo e chi è stato. Chi non volle capire allora, non capirà di certo oggi nell'epoca del berlusconismo trionfante, in cui anche la difesa dei diritti del lavoro diventa “ideologia del passato” e ostacolo alle magnifiche sorti e progressive di un paese che sta franando.

Filippo Ceccarelli

L’armadio vuoto dei misteri d’Italia così la trasparenza diventa una beffa



L’apertura degli armadi segreti è una gran bella iniziativa e un doveroso tributo alla democrazia, tanto più se l’operazione trasparenza inaugurata dal governo riguarda la declassificazione degli atti segreti sulle stragi che insanguinarono l’Italia dal 1969 al 1984.

L’annuncio venne dato personalmente dal premier Renzi il 22 aprile scorso in una conferenza stampa a Palazzo Chigi, seguirono una nota su Facebook e la foto della direttiva pubblicata su Twitter. Alla novità fu dato il giusto risalto, venne creata una specifica commissione e si crearono parecchie, legittime aspettative.

Il 15 maggio il sottosegretario della Presidenza del Consiglio Marco Minniti, Autorità delegata per la Sicurezza della Repubblica, spiegò che la mole di materiale era notevole assicurando che la sospirata « disclosure », più e più volte promessa da vari governi, avrebbe di certo «consentito al cittadino comune di andare all’Archivio di Stato non per trovare una verità giudiziaria, ma per ricostruire una storia politica del nostro paese ». Chiunque abbia lavorato sulle carte desecretate degli archivi americani o inglesi sa benissimo che è così: lì dentro si apprendono e si imparano molte cose, non di rado perfino sorprendenti.

Ma in Italia, evidentemente, no. A dispetto di qualsiasi proclama e impegno, una volta aperti gli armadi, viene quasi voglia di richiuderli. O almeno: come ha scoperto Repubblica, nel fascicolo finalmente consegnato dal ministero della Difesa sulla strage di Brescia (maggio 1974) si trova un materiale che può definirsi: preistorico, misero, quindi non solo inutile, ma anche grottesco nella sua misteriosa entità.

In concreto: cosa diavolo c’entreranno mai con piazza della Loggia le indagini effettuate dal Sifar tra il 1950 e il 1952 sulle sue iniziative commerciali del Pci con l’Est? Alcuni dei personaggi menzionati, oltretutto, Eugenio Reale e Spartaco Vannoni, futuro amico di Craxi e direttore dell’hotel Raphael, di lì a qualche anno uscirono pure dal partito.

Ancora. Quale sarà il nesso tra la bomba e una nota in cui il leggendario capo dell’Ufficio Quadri di Botteghe Oscure, Edo D’Onofrio, si diffonde sulla perequazione degli statali comunisti trasferiti per punizione (1952)? E la Commissione Europea di Difesa? Qui siamo al 1954: sulla Ced uscì dalla Dc Mauro Melloni, il futuro Fortebraccio.

Viene da pensare: ma allora tutto! E infatti ecco un appunto del 1968 sul Pci che invoca la riforma della Rai. E poi un arcano e monco carteggio svoltosi nel 1975 e 1976 tra Moro e Forlani a proposito del segreto di Stato da apporre su qualcosa che si comprende ancora meno del resto.

Questa la sbandieratissima declassificazione all’italiana? La s’indovina in bilico tra caos, inerzia, cialtroneria, gelosia di burocrati, insipienza archivistica e/o spionistica, come se una mano avesse pescato e inserito a caso. Comunque una beffa o una truffa per chi abbia ancora nelle orecchie lo scoppio della bomba e le grida terribili dei feriti. Un rotolone polveroso e vano. Un cestino di cartacce. O forse un rebus, una lotteria. Si attendono i nuovi arrivi, magari nel dossier sui traffici del Pci si troverà qualcosa di interessante sul terrorismo a Brescia e dintorni.

La Repubblica – 18 novembre 2014

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