23 novembre 2014

LAVORATORI NELL'INFERNO DELL'ECONOMIA NEOLIBERISTA



  Ieri sera a Palermo ho visto il nuovo film dei fratelli Dardenne, un’incursione nell’Europa selvaggiamente liberista di oggi dove politici e imprenditori dividono i lavoratori e questi ultimi diventano tra loro nemici.

Cristina Piccino

Due giorni, una notte per reiventare la lotta


Cosa farei al loro posto, e cosa farei al posto di San­dra?». Que­sta domanda, e il desi­de­rio di farla risuo­nare anche nella testa degli spet­ta­tori è la scom­messa da cui sono par­titi i fra­telli Dar­denne, Jean-Pierre e Luc per il loro nuovo film, che i regi­sti belgi, già Palma d’oro per Rosetta e L’enfant defi­ni­scono come una sorta di favola moderna meno dispe­rata di altre sto­rie nar­rate in pas­sato, per­ché la realtà che ci cir­conda, dicono, lo è già fin troppo.

Al cen­tro di Deux jours, une nuit, Due giorni, una notte, c’è San­dra ope­raia madre di due bam­bini che rien­trata al lavoro dopo un con­gedo per depres­sione rischia di essere licen­ziata. Il padrone dell’impresa infatti ha messo gli altri ope­rai di fronte a una scelta: rice­vere il pre­mio di pro­du­zione di 1000 euro o rinun­ciarvi e per­met­tere alla donna di restare. È chia­ra­mente una trap­pola, quei soldi fanno comodo a tutti, ci sono i figli, la moglie o il marito in disoc­cu­pa­zione, la casa da siste­mare, i mobili nuovi da comprare,problemi a cui si aggiun­gono le minacce del capo­re­parto con­tro di lei: baste­rebbe molto meno a condannarla.

Prima tra­volta dalla dispe­ra­zione la donna prova però a rea­gire. Rie­sce a otte­nere una nuova vota­zione, sta­volta segreta, e ha davanti il fine set­ti­mana per con­vin­cere gli altri sedici ope­rai a soste­nerla. Il viso stanco, i capelli tirati, lo Xanax in borsa che manda giù in dosi pesanti, San­dra cerca di non cedere alla fra­gi­lità del suo pianto irre­fre­na­bile, e bussa alle porte degli altri, piom­bando nella loro dome­nica di par­tite a cal­cetto o lavo­retti extra al nero guar­data con sospetto e rab­biosa indif­fe­renza, spesso respinta, tal­volta accolta. Die­tro a que­gli usci trova il Bel­gio (Europa) di una pic­co­lis­sima classe media impo­ve­rita, resa cat­tiva dalla crisi e dai ricatti del nuovo/vecchio capi­ta­li­smo. «Mi sento come una men­di­cante, chiedo la pietà» sus­surra al marito che le sta a fianco in que­sta sua battaglia.

San­dra è sullo schermo Marion Cotil­lard che i Dar­denne hanno voluto for­te­mente, anzi senza la quale dicono non avreb­bero girato il film, e que­sta è l’altra grande novità per i regi­sti che fin qui non hanno mai lavo­rato come una star hol­ly­wo­diana come lo è lei.

Per spo­gliarla delle sue abi­tu­dini atto­riali l’hanno sot­to­po­sta a molte prove, e a una lunga pre­pa­ra­zione che riu­scisse a fon­darla, occhiaie e senza trucco al loro uni­verso, per­met­ten­dole di entrare in sin­to­nia col taglio «vero» dei loro attori — tra cui l’abituale Fabri­zio Ron­gione, e in un cameo l’amato Oli­vier Gourmet.Eppure lo stri­dore resta, e non ci credi mai dav­vero in lei, nelle sue canot­tie­rine, nella fre­ne­sia dei gesti che appare fin troppo sot­to­li­neata smor­zando la forza del rac­conto. O almeno ingab­bian­dolo, tanto che anche il pedi­na­mento «rav­vi­ci­nato» della mac­china da presa risulta a tratti distante, o per­sino programmatico.

È l’Europa che cer­cano i Dar­denne, nelle sue pie­ghe più sgra­de­voli di umi­lia­zione quo­ti­diana, e di assue­fa­zione alla per­dita di ogni diritto. Un tempo gli ope­rai al padrone tra­co­tante e al suo brac­cio armato li avreb­bero messi con le spalle al muro, avreb­bero occu­pato la fab­brica e bloc­cato tutto fin­ché la minac­cia con­tro uno di loro non fosse rien­trata. Ma adesso non si può, la crisi finan­zia­ria ha azze­rato la resi­stenza, delo­ca­liz­za­zione, con­tratti a ter­mine, la minac­cia cinese, il posto di lavoro è in peri­colo costante, e la lotta per soprav­vi­vere non per­mette cedi­menti o complicità.

Come nel film pre­ce­dente, Lorna, nel quale la vita resa for­sen­nata catena di mon­tag­gio ren­deva la pro­ta­go­ni­sta folle, anche qui San­dra impaz­zi­sce per i modi di pro­du­zione diven­tando il tar­get ideale. Farla fuori è sem­plice, come con tutti gli anelli deboli, migranti, donne che il com­pli­cato equi­li­brio fami­liare rende ancora più attac­ca­bili. Siamo in una spe­cie di Medioevo o in un nuovo inci­pit del capi­ta­li­smo che fago­ci­tando se stesso ha con­qui­stato una nuoca forza. Il corpo ven­duto, mas­sa­crato dei lavo­ra­tori sotto qual­siasi forma, fab­brica o schia­vitù dello sfrut­ta­mento clan­de­stino, ultima fron­tiera dif­fusa (Lorna), messo sotto ricatto di un pre­ca­riato che lo fa amma­lare, che lo con­suma coi suoi sen­ti­menti di incertezza.

Neri rac­conti morali dei Dar­denne non c’è però mai una reto­rica con­so­la­to­ria, e nem­meno sen­ti­men­ta­li­smi mode­rati; la cifra geo­me­trica della loro nar­ra­zione ci porta subito tra le mace­rie anche morali di quella che è stata la coscienza di classe, e la sua com­po­si­zione, nel sen­ti­mento per­duto di soli­da­rietà tra gli indi­vi­dui che con­di­vi­dono una con­di­zione. Que­sti ope­rai sono ostili tra loro, non si cono­scono e non sanno nulla l’uno dell’altro. San­dra si affanna a cer­carne in rete o sulle pagine gialle gli indi­rizzi, ne sco­pre i dolori, i pro­blemi anche se pie­gata dal suo dramma.

L’ inqua­dra­tura non esce mai da qui, dal ritmo di que­sta ricerca seriale, gesti di ansia ripe­tuti all’infinito di un tempo che sem­bra allun­garsi nella sua implo­sione. Intorno il pae­sag­gio senza cen­tro, ano­nimo, delle nuove peri­fe­rie di cui cogliamo fram­menti dal bus che porta la donna da una casa all’altra, luo­ghi ben con­ge­gnati per non incon­trarsi, per pro­durre soli­tu­dine che inde­bo­li­sce. Sin­da­cati e quant’altro non si sono nel film, non se ne parla nep­pure, siamo nel tempo post della poli­tica, ognuno di quei lavo­ra­tori è solo.

Soli­da­rietà. Come ritro­varla dun­que finito il tempo delle grandi uto­pie? Resta lo spa­zio dell’individuo, di un fram­mento che può scuo­tere qual­cosa. I Dar­denne non giu­di­cano e non fanno vit­time, San­dra non lo è e non sono dei cat­tivi gli altri. La loro è una visione con­cre­ta­mente uto­pica, dove la soli­da­rietà non è una dote innata ma si costrui­sce, da lì si può ripar­tire con una diversa forza resistente.


Il manifesto – 18 novembre 2014

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