Danilo nel suo tavolo di lavoro a Partinico
Danilo e Vincenzina davanti al Tribunale di Palermo
Questa mattina riprendo dal blog dell'amico Giuseppe Casarrubea una bella recensione di due libri pubblicati recentemente sull'opera di Danilo Dolci
Fare i conti con Danilo
Giuseppe Nobile
Accanto alla ri-edizione, voluta da
Sellerio a partire dal 2008, delle più importanti pubblicazioni che
segnarono le varie tappe dell’azione di Dolci in Sicilia, è data ora
l’opportunità ai lettori di fruire di due ricostruzioni delle vicende di
quegli anni che uniscono il rigore dell’analisi alla viva sensibilità
dei testimoni diretti.
Cipolla e Casarrubea sono infatti in primo luogo due educatori di Partinico che, per una parte non piccola della loro esistenza hanno dovuto “fare i conti” con il ciclone Danilo, venuto ad animare, come un sasso in uno stagno, la vita civile di un piccolo centro e ad innestarvi l’azione non violenta per lo sviluppo. Per la chiarezza del racconto e per i riferimenti culturali che li animano, i due testi gettano una luce inedita su un ciclo di trasformazioni sociali e su un percorso intellettuale tuttora difficili da definire. Più ancora, sollecitano a rivedere quell’esperienza negli interlocutori che essa ebbe, ricostruendo il clima culturale di un’epoca, e ad interrogarsi sui suoi esiti, fino a ricavarne indicazioni per il tempo presente.
Cipolla e Casarrubea sono infatti in primo luogo due educatori di Partinico che, per una parte non piccola della loro esistenza hanno dovuto “fare i conti” con il ciclone Danilo, venuto ad animare, come un sasso in uno stagno, la vita civile di un piccolo centro e ad innestarvi l’azione non violenta per lo sviluppo. Per la chiarezza del racconto e per i riferimenti culturali che li animano, i due testi gettano una luce inedita su un ciclo di trasformazioni sociali e su un percorso intellettuale tuttora difficili da definire. Più ancora, sollecitano a rivedere quell’esperienza negli interlocutori che essa ebbe, ricostruendo il clima culturale di un’epoca, e ad interrogarsi sui suoi esiti, fino a ricavarne indicazioni per il tempo presente.
In uno sforzo di sintesi, possiamo
riferire la parabola dolciana a tre fasi, lungo i tre decenni che
seguono il suo arrivo in Sicilia nel ’52. Gli anni ’50 sono stati
classificati da diversi autori come il periodo “attendista”
dell’intervento pubblico nel Mezzogiorno. La “Cassa” e la riforma
agraria non operano come strumenti di sviluppo autonomo ma con fini
assistenziali e l’obiettivo di congelare al Sud la manodopera che non
poteva essere ancora assorbita dal Nord. I flussi migratori sono
regolari e moderati, le sinistre isolate e le lotte sociali represse con
violenza.
Danilo Dolci, originario di Trieste, si stabilisce a Trappeto, dove il padre ferroviere aveva prestato servizio nel 1940-42, per avviare la sua azione di protesta e per ribaltare la logica poliziesca: la zona ha visto diffondersi il banditismo come risposta disperata alla miseria del dopoguerra, ma lo Stato è intervenuto per reprimere piuttosto che per diffondere l’istruzione e, soprattutto, per creare lavoro. Da qui partono i libri-denuncia e i digiuni e si chiamano a raccolta i contributi tecnici e intellettuali che, attraverso convegni e pubblicazioni, veicolano i primi piani di sviluppo.
Danilo Dolci, originario di Trieste, si stabilisce a Trappeto, dove il padre ferroviere aveva prestato servizio nel 1940-42, per avviare la sua azione di protesta e per ribaltare la logica poliziesca: la zona ha visto diffondersi il banditismo come risposta disperata alla miseria del dopoguerra, ma lo Stato è intervenuto per reprimere piuttosto che per diffondere l’istruzione e, soprattutto, per creare lavoro. Da qui partono i libri-denuncia e i digiuni e si chiamano a raccolta i contributi tecnici e intellettuali che, attraverso convegni e pubblicazioni, veicolano i primi piani di sviluppo.
Alla fine degli anni ’50 e nei primi ‘60,
in tempi di “miracolo economico”, il flusso migratorio si fa impetuoso
verso Germania, Svizzera e Nord Italia. La mobilizzazione della forza
lavoro è la prova che lo sviluppo industriale sta avvenendo altrove e
che i movimenti di lotta promossi attorno alle proposte di Dolci (e del
suo “Centro Studi per la piena occupazione”) ottengono risposte parziali
e tardive. C’è di più: opere pubbliche importanti come la diga Jato o
l’invaso Garcia, pur avviate dopo dure lotte, sono prese di mira dagli
interessi mafiosi che tendono a riprodurre, nelle nuove dinamiche
economiche, i vecchi assetti di potere. Si apre così la partita della
qualità sociale dello sviluppo e la fase di più aperto scontro politico
con le rappresentanze istituzionali colluse che Danilo Dolci conduce in
vario modo, sulla base di una vasta documentazione raccolta dai suoi
collaboratori, pure con deposizioni davanti alla Commissione Antimafia.
Ma le denunce rimangono inascoltate: la DC di allora fa quadrato, anche
se cessano gli incarichi governativi a Mattarella Bernardo, mentre dalle
querele scaturisce una lunga vicenda legale che si conclude, dopo quasi
dieci anni, con la condanna di Danilo.
L’Italia nel frattempo è cambiata. Sul
fiume Jato si sta ultimando la diga e a Trappeto è sorta la nuova
struttura di “Borgo di Dio”, mentre le rimesse degli emigrati, le prime
misure di welfare e la scolarizzazione di massa attivano nuovi consumi e
trasformano gli stili di vita. Quando, nel ’68, il terremoto del Belice
mette in ginocchio quest’area della Sicilia occidentale e l’intervento
dello Stato sconta ritardi e sprechi, le iniziative di Dolci, che sempre
si sono accortamente affidate all’informazione democratica come mezzo
di diffusione, hanno un guizzo innovativo che nel marzo del 1970 porta
alla realizzazione della prima radio libera in spregio al monopolio RAI.
Per alcune ore, prima dell’irruzione della polizia e del sequestro
delle apparecchiature, “Radio Sicilia Libera” lancia da Partinico
comunicati SOS, testimonianze dai paesi terremotati e messaggi di
solidarietà di noti intellettuali. E’ l’ultima azione pubblica eclatante
che viene promossa dal “Centro studi”, ma lascia un testimone
importante nelle mani dei giovani dei movimenti sociali del travagliato
decennio che si apre.
E si apre anche in questo periodo la
terza fase della parabola di Danilo, quella più pedagogica, che si
svolge attorno al “Centro educativo” di Mirto. Ai piedi di una collina
al limite del territorio comunale di Partinico, vengono progettati e
realizzati un edificio e un modello di scuola dell’infanzia in cui, a
partire dall’anno 1974, si sperimenta una didattica a diretto contatto
con la natura e la cultura materiale locale, con il coinvolgimento delle
famiglie, la testimonianza degli anziani e la loro collaborazione in
appositi laboratori. Ma la struttura, sorta grazie ai fondi raccolti da
Dolci, si scontra con difficoltà di gestione che la portano prima a
sospendere le attività e poi a trasformarsi in scuola statale di
sperimentazione, fino alla definitiva acquisizione, nel 1987, da parte
del Comune di Partinico. Non si esaurisce, per questo, il confronto con i
giovani e la scuola: Danilo continua fino all’ultimo (1997),
nell’attività dei laboratori “maieutici” dove riporta la sua filosofia
di vita comunitaria e dove studenti e insegnanti vengono coinvolti in
percorsi di reciprocità della comunicazione come base di condivisione
delle esperienze e della conoscenza, in contrapposizione
all’autoritarismo dell’usuale trasmissione del sapere.
Il libro di Giuseppe Cipolla è un
resoconto puntuale ed organico di queste vicende. La prima parte,
dedicata al “promotore della società civile”, si sofferma sulle varie
tappe della lotta per lo sviluppo, rilevandone i tratti originali
specifici – il metodo non violento, l’inchiesta sociale partecipata, la
programmazione dal basso -, ma anche la reazione delle autorità, i
rapporti con la sinistra e il giudizio di taluni intellettuali. Sono
riportate peraltro, con riferimento a questi ultimi, nel panorama
ricchissimo degli estimatori, le notazioni di Renda sul “declino” delle
iniziative di Dolci o le critiche che Alberto Asor Rosa muove alla
natura “populista” dei suoi scritti più letterari. Di entrambi Cipolla
rileva la conoscenza volutamente parziale dei fatti. Più che di declino
si dovrebbe infatti parlare del deliberato passaggio, che Danilo
gestisce consapevolmente, dall’uno all’altro dei terreni di ricerca,
nelle tre fasi prima descritte, in corrispondenza di oggettivi
cambiamenti di contesto. Il tratto populista è poi smentito dai
riferimenti sociologici e antropologici che corredano le opere di Danilo
e che non sono affatto riconducibili ad una visione paternalistica od
estetica della realtà sociale osservata. Ma la dimensione più
propriamente culturale dell’opera di Dolci è affrontata da Cipolla nella
seconda parte del volume dove, partendo dall’evidente versatilità
dell’autore, si analizzano le parole chiave e i riferimenti del suo
agire sociale, i presupposti filosofici di un’utopia fondata sul “dover
essere” e su obiettivi di cambiamento da perseguire pragmaticamente, più
che su un significato ultimo della storia, nonché il pensiero educativo
realizzato nella sperimentazione del Centro di Mirto. Nelle
conclusioni, le intuizioni di Danilo sono poste in relazione con gli
sviluppi positivi che l’applicazione delle nuove tecnologie ai processi
di partecipazione democratica rende oggi possibili, a significare la
persistenza di esigenze sociali insopprimibili.
Il testo di Giuseppe Casarrubea,
suddiviso in due parti dal titolo evocativo (“Arrivano i polentoni” e
“Piantare uomini”), è arricchito dalla commistione con flash
autobiografici che più volte ripropongono l’intreccio fra il percorso
formativo dell’autore e le diverse fasi dell’esperienza dolciana, fino a
configurarne il carattere di una “resa dei conti” con il maestro. Così
in realtà non è, se si considerano due elementi di elaborazione che
costituiscono, nel lavoro di Casarrubea, un percorso di ricerca
autonoma: l’essere orfano del padre, anch’egli Giuseppe, vittima
dell’assalto mafioso alla sezione del PCI di Partinico del 22 giugno
1947, con l’inevitabile condizionamento che ciò comporta per l’attività
di uno studioso di storia; l’avere da tempo intrapreso, per le sue
pubblicazioni, l’attività di acquisizione e divulgazione di materiali
desecretati, provenienti dagli archivi dei servizi di informazione di
diversi stati. Questi presupposti hanno fatto sì che l’indagine si sia
avvalsa, ad esempio, della documentazione di prima mano riguardante i
movimenti di resistenza in Slovenia durante la giovinezza di Dolci, o
delle informazioni sui rapporti fra la chiesa siciliana e gli alleati
riguardo alla lotta al comunismo del dopoguerra e sul ruolo che vi ebbe
il Cardinale Ruffini, inviato da Papa Pacelli. Inoltre, per la
particolare sensibilità al tema, l’autore rende un quadro eloquente ed
efficace del sindacalismo di quegli anni, del sacrificio dei capi-lega e
delle condizioni di vita nella Sicilia dei primi anni ’50, non
semplicemente tratto dai dati elaborati nelle ricerche e nei libri di
Danilo, ma riportato direttamente da chi era oggetto di osservazione del
sociologo, con i vivi colori della memoria vissuta e con la chiara
percezione di una condizione personale d’ingiustizia subita.
A parte la descrizione delle iniziative
del primo periodo, il pregio di un’accurata documentazione e del
costante riferimento al territorio, permangono comunque in tutta la
narrazione. Nel libro è riportata, in allegato, l’intensa e corposa
deposizione rilasciata da Dolci all’Antimafia, è pure possibile
riscontrare, seppure non nell’ordine cronologico adottato da Cipolla,
l’evoluzione specifica e di contesto di ognuna delle realizzazioni
promosse da Dolci nella zona di Partinico. Si può così avere una chiara
spiegazione delle complesse dinamiche che hanno caratterizzato la
gestione dell’acqua della diga: dalla costruzione dell’impianto fino ai
più recenti sviluppi dei Consorzi di Bonifica. Si può ricostruire
l’intera vicenda del Centro Educativo e degli ostacoli burocratici che
ne hanno decretato la fine e si può soprattutto comprendere l’azione
complessivamente disgregante che gli insuccessi hanno avuto nel favorire
il peso ancora preponderante del sistema mafioso, come rilevato
nell’epilogo del volume. Si chiede a un certo punto Casarrubea, se di
fronte a tale scenario può dirsi fallita l’esperienza di Danilo. La
risposta è negativa per i grandi insegnamenti che ci ha lasciato e che
vanno tuttora riscoperti nell’esperienza individuale e collettiva dei
siciliani.
Giuseppe Nobile
Recensione uscita su Segno, estate 2014, dei seguenti libri:
Testo ripreso da: https://casarrubea.wordpress.com/2014/11/25/fare-i-conti-con-danilo/
Giuseppe Cipolla, ”Danilo Dolci e l’utopia possibile”, Salvatore Sciascia, Caltanissetta, 2012.
Giuseppe Casarrubea, “Piantare Uomini . Danilo Dolci sul filo della memoria”, Castelvecchi, Roma, 2014.
Testo ripreso da: https://casarrubea.wordpress.com/2014/11/25/fare-i-conti-con-danilo/
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