26 novembre 2014

QUANDO LE CITTA' DIVENTANO POESIA A CIELO APERTO

  Barcellona vista dall'alto



 
Le metropoli hanno da sempre ispirato letteratura, arte, cinema e nutrito il nostro immaginario.
Valerio Magrelli

Quelle poesie a cielo aperto chiamate città
Non capita spesso di maneggiare un libro che si avvicina alle mille pagine. Ma l'intento di Vincenzo Trione è di ampia portata. Il suo Effetto città. Arte cinema modernità mira infatti a gettare sul nostro habitat uno sguardo che includa le rappresentazioni offerte in ambito pittorico, cinematografico e architettonico nel segno, appunto, della modernità. Per questo, accanto a Vienna, Parigi e Napoli, spicca la prepotente presenza di un nome che da solo sembra valere tutti gli altri. Stiamo parlando di New York, capace di pesare nell'economia del libro quanto i tre centri europei messi insieme, quasi a voler ridistribuire il carico del nostro sistema culturale fra Vecchio e Nuovo Mondo.

Ma non è tutto, poiché il lavoro di Trione si apre con una citazione di E. B. White, che recita: «La poesia comprime molto in un piccolo spazio, aggiungete poi il ritmo e così si accentua il senso. La città è come la poesia: comprime tutta la vita, tutte le razze in una piccola isola e poi aggiunge la musica e l'accompagnamento dei suoi motori interni». Dice bene lo scrittore statunitense, ma da dove provengono le sue parole? Da un saggio intitolato non a caso Volete sapere cos'è New York?

Il testo appena uscito si chiede dunque in che maniera rappresentare un tema quale la città contemporanea nei suoi più vari aspetti. Dopo gli studi dedicati a figure diverse quali Apollinaire (Il poeta e le arti, 1999), Ardengo Soffici ( Dentro le cose, 2001), Giorgio de Chirico ( Atlanti metafisici, 2005, e Le citta del silenzio , 2009), Alberto Savinio ( Scritti sull'arte, con Giuseppe Montesano, 2007) o Mimmo Rotella ( Anni di piombo , 2011), Trione affronta adesso un quadro assai più vasto, in cui fa convergere l'insieme delle precedenti indagini.

A questo punto, risulta pressoché inevitabile insistere sulla particolare composizione del suo ultimo testo, data la complicata, ingegnosa costruzione. Fra un prologo e un congedo, Effetto città. Arte cinema modernità si articola in due tempi di sei capitoli (ma forse sarebbe meglio chiamarli "stazioni"), dedicati alle quattro megalopoli di cui si è detto.



Tuttavia, a scandire le tappe di tale itinerario, troviamo una ricca messe fotografica suddivisa in sette Passages, secondo un ordine che, seguendo lo sviluppo del testo, forma una specie di omaggio a Walter Benjamin. Autentico libro nel libro (che parte dalle sconvolgenti immagini della rivoluzione urbanistica condotta dal barone Haussmann nella Parigi di Baudelaire a partire dal 1852), questa notevole sezione iconografica si apre proponendo alcune illuminanti analogie tra la Shanghai fotografata da Olivo Barbieri e un quadro di Jackson Pollok, o tra i graffiti metropolitani e gli "strappi" di Mimmo Rotella.

Non meno importante la presenza del cinema (dalla Metropolis di Fritz Lang alla Gotham City di Tim Burton, passando per le napoletane Mani sulla città di Francesco Rosi o le passeggiate russe di Dziga Vertov) e dell'architettura (vuoi nelle fotografie di grandi artisti, vuoi nella presentazione di progetti che hanno segnato la storia urbanistica).

La grande protagonista, in ogni caso, rimane la pittura, con l'ampio spazio dedicato a de Chirico e Boccioni, Warhol e Schwitters, Piranesi e Hopper. Come si legge nell'introduzione, si tratta di un viaggio che predilige i sentieri obliqui, iscrivendosi nell'orizzonte dei visual studies , un viaggio che mira a far affiorare costellazioni sepolte, dialoghi a distanza: «Una cartografia nella quale sono state accostate grammatiche diverse: la pittura e il cinema. Una flânerie nella quale si sono combinati registri e codici. Un travelogue visivo , che aspira a rispettare le diverse competenze settoriali, ma vuole sondare anche confluenze, ibridazioni, interscambi, interferenze reciproche, condivisioni concettuali, connessioni tra sapere».



Ebbene, ad introdurci in questa spedizione pluridisciplinare, spiega Trione, non è un pittore né un regista, bensì un poeta: proprio quel Baudelaire poco fa menzionato come testimone della "distruzione" cui andò incontro l'antica Parigi. Amico del grande fotografo Nadar, l'autore dei Fiori del male appare radicato nell'inferno di un'epoca di transito, anticipando alcune forme comunicative destinate ad avere una funzione decisiva nella cultura del Novecento: il reportage fotografico, il documentario, il cinema di impianto realista.

Accanto a Baudelaire, si accennava, non poteva mancare la figura di uno fra i suoi massimi interpreti, ossia Benjamin. Già evocato a proposito dei Passages ( come si sarebbe dovuta intitolare una sua leggendaria opera), il pensatore tedesco viene chiamato in causa per un taccuino di memoria, consacrato a Berlino quale emblema della città moderna per eccellenza.

Ed ecco in che maniera Benjamin racconta l'universo urbano come labirinto, spazio segnato da una radicale perdita del centro: «Non sapersi orientare in una città non significa molto. Ci vuole invece una certa pratica per smarrirsi in essa come ci si smarrisce in una foresta. I nomi delle strade devono parlare all'errabondo come lo scricchiolio dei rami secchi, E le viuzze del centro gli devono scandire senza incertezze, come in montagna un avvallamento, le ore del giorno». Con questo audace accostamento al paesaggio montano, "l'effetto città" ritrova tutta la sua forza, rivelandosi come l'affermazione, forse definitiva, di una nuova natura.

La Repubblica – 6 novembre 2014
Vincenzo Trione
Effetto città. Arte cinema modernità
Bompiani, 2014
euro 58

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