Barcellona vista dall'alto
Le
metropoli hanno da sempre ispirato letteratura, arte, cinema e
nutrito il nostro immaginario.
Valerio Magrelli
Quelle poesie a cielo
aperto chiamate città
Non capita spesso di
maneggiare un libro che si avvicina alle mille pagine. Ma l'intento
di Vincenzo Trione è di ampia portata. Il suo Effetto città. Arte
cinema modernità mira infatti a gettare sul nostro habitat uno
sguardo che includa le rappresentazioni offerte in ambito pittorico,
cinematografico e architettonico nel segno, appunto, della modernità.
Per questo, accanto a Vienna, Parigi e Napoli, spicca la prepotente
presenza di un nome che da solo sembra valere tutti gli altri. Stiamo
parlando di New York, capace di pesare nell'economia del libro quanto
i tre centri europei messi insieme, quasi a voler ridistribuire il
carico del nostro sistema culturale fra Vecchio e Nuovo Mondo.
Ma non è tutto, poiché
il lavoro di Trione si apre con una citazione di E. B. White, che
recita: «La poesia comprime molto in un piccolo spazio, aggiungete
poi il ritmo e così si accentua il senso. La città è come la
poesia: comprime tutta la vita, tutte le razze in una piccola isola e
poi aggiunge la musica e l'accompagnamento dei suoi motori interni».
Dice bene lo scrittore statunitense, ma da dove provengono le sue
parole? Da un saggio intitolato non a caso Volete sapere cos'è New
York?
Il testo appena uscito si
chiede dunque in che maniera rappresentare un tema quale la città
contemporanea nei suoi più vari aspetti. Dopo gli studi dedicati a
figure diverse quali Apollinaire (Il poeta e le arti, 1999), Ardengo
Soffici ( Dentro le cose, 2001), Giorgio de Chirico ( Atlanti
metafisici, 2005, e Le citta del silenzio , 2009), Alberto Savinio (
Scritti sull'arte, con Giuseppe Montesano, 2007) o Mimmo Rotella (
Anni di piombo , 2011), Trione affronta adesso un quadro assai più
vasto, in cui fa convergere l'insieme delle precedenti indagini.
A questo punto, risulta
pressoché inevitabile insistere sulla particolare composizione del
suo ultimo testo, data la complicata, ingegnosa costruzione. Fra un
prologo e un congedo, Effetto città. Arte cinema modernità si
articola in due tempi di sei capitoli (ma forse sarebbe meglio
chiamarli "stazioni"), dedicati alle quattro megalopoli di
cui si è detto.
Tuttavia, a scandire le
tappe di tale itinerario, troviamo una ricca messe fotografica
suddivisa in sette Passages, secondo un ordine che, seguendo lo
sviluppo del testo, forma una specie di omaggio a Walter Benjamin.
Autentico libro nel libro (che parte dalle sconvolgenti immagini
della rivoluzione urbanistica condotta dal barone Haussmann nella
Parigi di Baudelaire a partire dal 1852), questa notevole sezione
iconografica si apre proponendo alcune illuminanti analogie tra la
Shanghai fotografata da Olivo Barbieri e un quadro di Jackson Pollok,
o tra i graffiti metropolitani e gli "strappi" di Mimmo
Rotella.
Non meno importante la
presenza del cinema (dalla Metropolis di Fritz Lang alla Gotham City
di Tim Burton, passando per le napoletane Mani sulla città di
Francesco Rosi o le passeggiate russe di Dziga Vertov) e
dell'architettura (vuoi nelle fotografie di grandi artisti, vuoi
nella presentazione di progetti che hanno segnato la storia
urbanistica).
La grande protagonista,
in ogni caso, rimane la pittura, con l'ampio spazio dedicato a de
Chirico e Boccioni, Warhol e Schwitters, Piranesi e Hopper. Come si
legge nell'introduzione, si tratta di un viaggio che predilige i
sentieri obliqui, iscrivendosi nell'orizzonte dei visual studies , un
viaggio che mira a far affiorare costellazioni sepolte, dialoghi a
distanza: «Una cartografia nella quale sono state accostate
grammatiche diverse: la pittura e il cinema. Una flânerie nella
quale si sono combinati registri e codici. Un travelogue visivo , che
aspira a rispettare le diverse competenze settoriali, ma vuole
sondare anche confluenze, ibridazioni, interscambi, interferenze
reciproche, condivisioni concettuali, connessioni tra sapere».
Ebbene, ad introdurci in
questa spedizione pluridisciplinare, spiega Trione, non è un pittore
né un regista, bensì un poeta: proprio quel Baudelaire poco fa
menzionato come testimone della "distruzione" cui andò
incontro l'antica Parigi. Amico del grande fotografo Nadar, l'autore
dei Fiori del male appare radicato nell'inferno di un'epoca di
transito, anticipando alcune forme comunicative destinate ad avere
una funzione decisiva nella cultura del Novecento: il reportage
fotografico, il documentario, il cinema di impianto realista.
Accanto a Baudelaire, si
accennava, non poteva mancare la figura di uno fra i suoi massimi
interpreti, ossia Benjamin. Già evocato a proposito dei Passages (
come si sarebbe dovuta intitolare una sua leggendaria opera), il
pensatore tedesco viene chiamato in causa per un taccuino di memoria,
consacrato a Berlino quale emblema della città moderna per
eccellenza.
Ed ecco in che maniera
Benjamin racconta l'universo urbano come labirinto, spazio segnato da
una radicale perdita del centro: «Non sapersi orientare in una città
non significa molto. Ci vuole invece una certa pratica per smarrirsi
in essa come ci si smarrisce in una foresta. I nomi delle strade
devono parlare all'errabondo come lo scricchiolio dei rami secchi, E
le viuzze del centro gli devono scandire senza incertezze, come in
montagna un avvallamento, le ore del giorno». Con questo audace
accostamento al paesaggio montano, "l'effetto città"
ritrova tutta la sua forza, rivelandosi come l'affermazione, forse
definitiva, di una nuova natura.
La Repubblica – 6
novembre 2014
Vincenzo Trione
Effetto città. Arte
cinema modernità
Bompiani, 2014
euro 58
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