Molti musei siciliani rimangono chiusi al pubblico per mancanza di fondi, ma diretti (si far per dire) da un esercito di dirigenti. Tanti generali e nessun soldato semplice, come i ragazzi della via Paal.
PS: Sia ben chiaro: il
cretino del titolo siamo noi, che continuiamo a indignarci per ciò
che in realtà rappresenta la norma di questo sistema che a tanti
appare il migliore dei mondi possibili.
Antonio Fraschilla
Sicilia, l’ultima
beffa 300 dirigenti nei musei ma non ci sono soldi per le lampadine
Il Satiro danzante, che sembra librarsi nell’aria con il suo carico di mistica energia, è illuminato ma solo a metà. Il museo che lo ospita, creato apposta per lui nel cuore di Mazara del Vallo, non ha potuto chiamare un elettricista per installare l’illuminazione adatta perché non saprebbe come pagarlo. E il caso della statua in bronzo emersa miracolosamente dal mare nel 1997 non è isolato. Al Paolo Orsi di Siracusa, uno dei più importanti scrigni di tesori preistorici, greci e romani del Mediterraneo, le telecamere di sicurezza si sono rotte da tempo ma è impossibile ripararle.
La Regione, d’altronde,
quest’anno non ha investito un euro per il funzionamento dei siti e
delle aree archeologiche che ospitano i suoi gioielli. In compenso
però ha a libro paga un esercito di dirigenti, che affollano a
dismisura gli uffici dei beni culturali dell’Isola. Un esercito di
comandanti, spesso solo di se stessi, promossi dal Duemila e man mano
trasferiti nei musei, con il risultato paradossale di oggi: la
Sicilia nei proprio beni ha più dirigenti del ministero — 306
contro 191 — comprese soprintendenze e siti.
«Colpa di una legge che in una notte del Duemila ha promosso mille funzionari a dirigenti», dice l’attuale responsabile del dipartimento Beni culturali dell’Isola, Salvatore Giglione. Tutti promossi e negli anni migrati verso i siti culturali, magari quelli più vicini a casa così da non allontanarsi troppo dalla famiglia. Una miriade di dirigenti che — per dirne un’altra — nel loro curriculum hanno di tutto fuorché lauree in storia dell’arte, antropologia o archeologia.
Nel piccolo museo di Aidone, che ospita la Venere di Morgantina, non ci sono brochure o guide perché la Regione, manco a dirlo, non ha i fondi visto che il capitolo di spesa per il funzionamento dei Beni culturali è stato azzerato dal governatore Rosario Crocetta, alle prese con un buco di bilancio di 3 miliardi di euro. Un gioiello, la Venere, che al Getty Museum di Malibù in poche settimane ha attratto 400 mila visitatori e che da quando è tornata in Sicilia è stata ammirata da non più di 30 mila persone in un anno. In compenso ad Aidone la Regione ha sul groppone ben tre dirigenti, con stipendi che variano dai 60 agli 80 mila euro lordi all’anno.
Due di loro sono
agronomi. Si, proprio così, con un lungo curriculum di pubblicazioni
sul grano e le coltivazioni autoctone della Sicilia. Ma d’altronde
sembra esserci un particolare legame tra l’agricoltura e i beni
culturali di Sicilia: un agronomo è stato appena nominato tra i
dirigenti del parco di Selinunte, una delle aree archeologiche più
grandi e importanti del Mediterraneo. E qui gli altri due colleghi
graduati del sito sono un architetto e un ingegnere. Al parco
archeologico di Agrigento, invece, i dirigenti sono otto ma nessuno è
archeologo. Così come alla Villa romana del Casale di Piazza
Armerina, un piccolo sito che però ha due dirigenti a tenersi
compagnia.
In tutto il Polo museale fiorentino, che al suo interno ha la Galleria degli Uffizi, c’è un solo dirigente, la soprintendente Cristina Acidini. Così come al Polo museale romano che gestisce dal Colosseo ai Fori imperiali: «Nelle direzioni del ministero e nelle sedi periferiche, quindi anche nei poli museali da Pompei a Milano, c’è solo un dirigente dopo i tagli varati dai governi degli ultimi anni », dice il segretario della Funzione pubblica Cgil per i beni culturali, Claudio Meloni.
Nell’Isola del tesoro, invece, di dirigenti ce ne sono talmente tanti che non bastano le poltrone. Così a una dozzina di graduati il dipartimento ha pensato bene di affidare compiti di “studi e ricerca”. Qualche esempio? C’è chi studia i teatri attivi in Sicilia, chi invece le feste popolari nell’Isola Orientale.
Un esercito di
superstipendiati, mentre i musei rimangono in abbandono. A tutti i
siti hanno staccato il telefono, perché da mesi la Regione non paga
le bollette: «Possiamo solo ricevere telefonate — dicono dal museo
archeologico di Enna — ma questo non è l’unico problema: non
abbiamo fondi per pagare il gas e quindi niente riscaldamenti».
Da Taormina a Segesta non
c’è poi una sola brochure, né una caffetteria o un bookshop dove
acquistare una guida oppure un volume sulle opere appena viste. Il
“rivoluzionario” governo Crocetta, come ama ripete il presidente
della Regione, ha bloccato le gare sui servizi aggiuntivi,
sospettando “sprechi e malaffare come avvenuto in passato”. Da
due anni e mezzo tutto è fermo.
«Non abbiamo soldi», è il ritornello e soltanto in questi giorni, raschiando il fondo del barile, la Regione ha trovato 400 mila euro per pagare gli straordinari di dicembre ai custodi, e garantire così l’apertura nel festivi. Apertura fino alle 13, s’intende, e comunque oltre il normale orario dei custodi, che in Sicilia lavorano come i bancari: da lunedì a venerdì. Il resto è straordinario. Un altro paradosso, considerando i 1.545 addetti a libro paga, molti di più che nelle altre regioni d’Italia. Un altro record, nei beni culturali di Sicilia trasformati in carrozzoni salvastipendi.
La Repubblica – 16
novembre 2014
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