Di
fatto siamo al partito unico, a un grande centro che sempre più
ricorda la vecchia DC, ma in peggio. Perchè comunque qualche
idealità quel partito l'aveva. Il renzismo no.
Stefano Folli
L’Anschluss del
Cavaliere nel Partito della Nazione
Ormai è chiaro che Berlusconi è avviluppato fino in fondo nella rete di Renzi e non se ne lamenta. Il “via libera” sostanziale sulla legge elettorale è la fine di un’epoca cominciata nel 1994. L’argomento auto-consolatorio («così potrò contare al tavolo del Quirinale») nasconde una realtà più amara. Berlusconi è stato annesso non al Pd, ma al renziano partito della Nazione.
È un Anschluss dolce, pienamente consensuale. Il leader di Forza Italia, o di quel che ne resta, rinuncia a essere un soggetto politico, abbandona qualsiasi velleità di concorrenza elettorale. Non ci sarà un volto nuovo, un giovane che prende il posto dell’anziano al vertice di Forza Italia: quanto meno non ci sarà il tentativo di vincere le elezioni con una proposta innovativa. Accettando lo schema elettorale proposto dal premier, Berlusconi riconosce il partito di Renzi come baricentro del sistema e si prepara a costituire una sorta di corrente esterna. O meglio un gruppo di pressione che cura gli interessi personali e aziendali della famiglia e di un ristretto ceto politico composto da fedelissimi.
Le ragioni della scelta, peraltro ormai obbligata, sono molteplici e hanno a che vedere con la stanchezza, l’età, gli strascichi delle lunghe ed estenuanti battaglie giudiziarie. Berlusconi sembra quasi soddisfatto di essere tutelato da Renzi. Certo, ogni tanto si concede qualche scatto d’ira, ma nel complesso ha accettato il suo destino. Così il “partito della Nazione” che tanto poco piace ad Arturo Parisi per il suo carattere fagocitante e asimmetrico («ce ne vorrebbero due»), si afferma e mette radici in forme che fino a ieri sarebbero state impensabili. In passato ci aveva provato Casini, ma non era andato oltre una riverniciatura dell’Udc. A sua volta anche Alfano aveva tentato di svuotare il fronte berlusconiano, ma ora è appeso al 3 per cento. Renzi sta riuscendo dove gli altri hanno fallito e la sua apertura al centrodestra ha già trasformato alla radice la fisionomia del “patto del Nazareno”.
In teoria Berlusconi può subire qualche ribellione interna; ma se Fitto si mette a costruire l’ipotetico partito di domani, distraendosi dalle polemiche quotidiane, anche questo pericolo può essere limitato. Quanto all’eventualità di condividere la scelta del prossimo presidente della Repubblica, allo stato si tratta di una cortesia tattica di Renzi più che di una vera opportunità politica. Vero è che il presidente del Consiglio non ha alcun interesse a negoziare con Grillo, di cui teme semmai le incursioni corsare. Ma il Berlusconi di oggi non sembra in grado di suggerire un candidato in modo credibile. Al massimo può ratificare il nome (o la rosa di nomi) che prima o poi gli sarà proposto da Palazzo Chigi.
Del resto, quello che
conta è il profilo politico del nuovo presidente. Berlusconi
desidera davvero un nuovo Napolitano al Quirinale, ossia un garante
in grado di condizionare — all’occorrenza — le scelte
dell’esecutivo? C’è da credere che anche su questo punto egli
sia in sintonia con Renzi, il quale non fa mistero della volontà di
cercare un capo dello Stato alla tedesca, per definizione mai
contrapposto al “Cancelliere” specie sul punto decisivo: il
potere di sciogliere le Camere.
Ciò non significa che il Parlamento in seduta comune troverà presto il bandolo della matassa. Tutto lascia supporre invece che l’elezione del presidente sarà sofferta e suscettibile di colpi di scena, come spesso in passato. La debolezza dei partiti accentua l’incertezza, non la risolve. A maggior ragione, è improbabile che Berlusconi voglia o sappia svolgere un ruolo in prima persona.
Dopo aver subito l’annessione di fatto, dovrà riconoscere la leadership renziana sulle questioni istituzionali. Lasciando ai Cinque Stelle e magari a Salvini, l’uomo nuovo e spregiudicato della destra, lo spazio per quelle scorribande che un tempo erano tipiche dell’esercito di Arcore.
La Repubblica – 14
novembre 2014
Il maldestro tentativo in corso di costruzione del cosiddetto PARTITO DELLA NAZIONE meriterebbe qualche censura in più da parte degli organi preposti ad osservare e fare osservare le Leggi della Repubblica. Se non ricordo male, infatti, la stessa Costituzione - che non a caso vogliono modificare - considerava un reato penale la ricostituzione del Partito Fascista.
RispondiEliminaTramite facebook mi è pervenuto l' autorevole commento del Prof. Giuseppe Carlo Marino che pubblico di seguito insieme ad una mia sommaria replica:
RispondiEliminaGiuseppe Carlo Marino: Forse è ancora peggio! Il cosiddetto "partito della Nazione" tende a configurararsi, mi sembra, come una nuova Dc. Noi che ne abbiamo memoria sappiamo che fu l'asse di un "regime" assai speciale che presumeva di essere "democratico". Come la Dc (ma anche come il PNF) sarà affidato alla capacità dell'establihment di manipolare le opinioni pubbliche e di convogliarle in una nuova egemonia. Rispetto al PNF, la Dc (con la sua maggiore capacità di attrarre e consolidare un vasto consenso e di saldare nella sua leadership il tradizionale trasformismo dei ceti dirigenti italiani) è stata un'esperienza di potere ancor più organica e sofisticata nella sua funzione di perno di una psedudemocrazia.
Francesco Virga: Per la verità storica occorre comunque riconoscere che nella DC hanno militato anche tanti autentici antifascisti e che quel Partito, malgrado tendesse a confondersi con lo Stato, e' stato più liberale del PNF.