Resti di Cartagine romana |
Ci piace navigare in rete e recuperare articoli curiosi. Come questo
Maria Bettetini
Tertulliano e le donne
Forse a Dio è
sfuggito di creare «pecore purpuree e scarlatte»? è Dio che
ferisce i lobi dei neonati per appendervi delle perle? Perle che poi
cosa sono, un'escrescenza di conchiglia, che giustamente la natura
nasconde nel fondo dei mari. E che dire delle pietre luccicanti,
anch'esse strappate dal cuore della terra, dove stavano quiete
nell'ombra (si dice che anche dalla testa dei serpenti si estragga
una pietra preziosa, e il serpente si sa di chi è simbolo).
L'oro, poi, che scorre
nelle vene delle montagne, perché mai dovrà essere estratto, quando
sono ferro e bronzo i metalli davvero indispensabili alla vita umana.
Tanta fatica per ornare una caviglia, un braccio di donna, fatica
inutile e ingiusta: perché un corpo femminile, così esile, dovrebbe
«portare addosso la materia di grandi redditi»? Il portagioielli
conserva «un ingente patrimonio: in un solo filo si inserisce un
milione di sesterzi; un collo sottile porta attorno poderi e palazzi;
lobi delicati di orecchie lasciano pendere un libro di conti e la
mano sinistra si trastulla con un sacchetto di soldi per ciascun
dito».
L'avvocato Quintus
Settimius Florens Tertullianus (ca. 150-230 d.C.), che fino ai
quarant'anni si era dato alla bella vita, non lesina ironia e giochi
retorici per invitare le donne alla modestia e alla castità. Nelle
pagine del suo libello sull'Eleganza delle donne (probabilmente
scritto nel 202-203) scatena tutto il rigore del neoconvertito, che
dimentica la comprensione e la dolcezza della pagina evangelica, in
favore della rigidità di alcuni passi di San Paolo portati
all'eccesso.
Nato a Cartagine,
Tertulliano era probabilmente figlio di un centurione proconsolare,
come scrive Gerolamo nell'unica fonte biografica a nostra
disposizione, il De viris illustribus. Avvocato di successo, dopo un
periodo a Roma torna a Cartagine e sviluppa un forte senso di
insofferenza verso il potere centrale, una forma di particolarismo
diffusa tra i romani d'Africa.
Il sarcasmo non
risparmierà i cartaginesi che abbandonavano gli usi locali per
vestirsi come i romani nello scritto De pallio (la toga). I suoi
lavori sono colti, ma vivaci e pungenti, dicono di un uomo che
conosce la cultura pagana e la sa utilizzare: il contrario di alcune
visioni manualistiche che presentano una presunta inconciliabilità
tra paganesimo e cristianesimo come tratto saliente della figura di
Tertulliano.
Resti di Cartagine romana |
Nei primi e forse più noti scritti (Apologetico e Ai gentili) difende i cristiani dalle solite accuse di omicidio, cannibalismo e turpi riti, mentre accusa invece i pagani per usanze come l'esposizione dei neonati. Dopo la conversione, forse avvenuta per ammirazione verso i martiri, Tertulliano scrive sia di temi teologici, sia di temi morali e pratici: sull'obbligo per le donne di andare velate, contro il servizio militare, contro gli Gnostici, definiti "scorpioni" velenosi soprattutto per la negazione del valore del martirio e della bontà del corpo umano. E così via, contro la sessualità fuori dal matrimonio, contro ogni forma di idolatria.
Tanto rigore condurrà
Tertulliano ad aderire al Montanismo, un cristianesimo carismatico
proteso alla (imminente) fine del mondo, quindi forte del disprezzo
di tutto ciò che è questo mondo: i seguaci di Montano erano
contrari alla vita politica e a ogni forma di autorità.
Si sfinivano di digiuni, proibivano le seconde nozze prediligendo la castità assoluta, non perdonavano coloro che durante le persecuzioni (sono i tempi di Settimio Severo) cedevano a Roma per aver salva la vita. Invitavano anzi ad autodenunciarsi come cristiani alle autorità. Dopo qualche anno, a Tertulliano non bastò nemmeno questa durezza, e fondò un suo gruppo all'interno del gruppo, i Tertullianisti, ancora esistenti ai tempi di Agostino di Ippona. Peccato, tutte queste energie buttate nell'intransigenza, la mente di Tertulliano negli anni successivi alla conversione aveva prodotto testi di teologia importantissimi.
È considerato il
creatore del latino teologico: sua è la definizione della Trinità
come tre persone in un'unica sostanza, sempre a lui si deve
l'elaborazione che poi diverrà dogmatica della compresenza di due
sostanze nella sola persona del Figlio. Per primo utilizzò in
teologia proprio il concetto di persona, che poi sarà approfondito e
diffuso da Severino Boezio, più di tre secoli dopo. Definì "madre"
la Chiesa, e tale la considerò anche quando si allontanò dal
Cattolicesimo romano. Nelle opere contro gli Gnostici si trovò ad
approfondire il tema della bontà della materia creata e redenta da
Cristo, in particolare quella del corpo umano, destinato alla
resurrezione. Insisteva, Tertulliano, sul fatto che la risurrezione
sarà proprio di «tutta la carne». Poi l'insofferenza per le
debolezze, la ricerca di una purezza assoluta.
E la condanna di ogni forma di cura per il corpo, fatta salva la necessaria pulizia. Non solo del corpo femminile, anche gli uomini scoprono diaboliche lusinghe di bellezza: «Rasare la barba con gran cura, sfoltirla qua e là, raderla tutt'attorno, acconciarsi i capelli, tingerli anche, eliminare ogni inizio di canizie, spalmare sulla peluria di tutto il corpo una crema da donna, levigare le rimanenti parti con polvere abrasiva, consultare poi lo specchio a ogni occasione».
Per fortuna sono follie degli antichi, noi ci siamo lasciati alle spalle sia queste cure ossessive, sia il disprezzo ostentato per la cura del proprio corpo. Figurarsi, maschi depilati e gente che si veste di stracci pur essendo ricca, cose dell'altro mondo, noi siamo civili.
Il Sole 24 Ore – 21
settembre 2014
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