21 novembre 2014

LE ANTICHE DONNE ROMANE VISTE DA TERTULLIANO

Resti di Cartagine romana

     Ci piace navigare in rete e recuperare articoli curiosi. Come questo
Maria Bettetini

Tertulliano e le donne
Forse a Dio è sfuggito di creare «pecore purpuree e scarlatte»? è Dio che ferisce i lobi dei neonati per appendervi delle perle? Perle che poi cosa sono, un'escrescenza di conchiglia, che giustamente la natura nasconde nel fondo dei mari. E che dire delle pietre luccicanti, anch'esse strappate dal cuore della terra, dove stavano quiete nell'ombra (si dice che anche dalla testa dei serpenti si estragga una pietra preziosa, e il serpente si sa di chi è simbolo).

L'oro, poi, che scorre nelle vene delle montagne, perché mai dovrà essere estratto, quando sono ferro e bronzo i metalli davvero indispensabili alla vita umana. Tanta fatica per ornare una caviglia, un braccio di donna, fatica inutile e ingiusta: perché un corpo femminile, così esile, dovrebbe «portare addosso la materia di grandi redditi»? Il portagioielli conserva «un ingente patrimonio: in un solo filo si inserisce un milione di sesterzi; un collo sottile porta attorno poderi e palazzi; lobi delicati di orecchie lasciano pendere un libro di conti e la mano sinistra si trastulla con un sacchetto di soldi per ciascun dito».

L'avvocato Quintus Settimius Florens Tertullianus (ca. 150-230 d.C.), che fino ai quarant'anni si era dato alla bella vita, non lesina ironia e giochi retorici per invitare le donne alla modestia e alla castità. Nelle pagine del suo libello sull'Eleganza delle donne (probabilmente scritto nel 202-203) scatena tutto il rigore del neoconvertito, che dimentica la comprensione e la dolcezza della pagina evangelica, in favore della rigidità di alcuni passi di San Paolo portati all'eccesso. 
 
 
 
 
  Nato a Cartagine, Tertulliano era probabilmente figlio di un centurione proconsolare, come scrive Gerolamo nell'unica fonte biografica a nostra disposizione, il De viris illustribus. Avvocato di successo, dopo un periodo a Roma torna a Cartagine e sviluppa un forte senso di insofferenza verso il potere centrale, una forma di particolarismo diffusa tra i romani d'Africa.

Il sarcasmo non risparmierà i cartaginesi che abbandonavano gli usi locali per vestirsi come i romani nello scritto De pallio (la toga). I suoi lavori sono colti, ma vivaci e pungenti, dicono di un uomo che conosce la cultura pagana e la sa utilizzare: il contrario di alcune visioni manualistiche che presentano una presunta inconciliabilità tra paganesimo e cristianesimo come tratto saliente della figura di Tertulliano.
Resti di Cartagine romana














Nei primi e forse più noti scritti (Apologetico e Ai gentili) difende i cristiani dalle solite accuse di omicidio, cannibalismo e turpi riti, mentre accusa invece i pagani per usanze come l'esposizione dei neonati. Dopo la conversione, forse avvenuta per ammirazione verso i martiri, Tertulliano scrive sia di temi teologici, sia di temi morali e pratici: sull'obbligo per le donne di andare velate, contro il servizio militare, contro gli Gnostici, definiti "scorpioni" velenosi soprattutto per la negazione del valore del martirio e della bontà del corpo umano. E così via, contro la sessualità fuori dal matrimonio, contro ogni forma di idolatria.

Tanto rigore condurrà Tertulliano ad aderire al Montanismo, un cristianesimo carismatico proteso alla (imminente) fine del mondo, quindi forte del disprezzo di tutto ciò che è questo mondo: i seguaci di Montano erano contrari alla vita politica e a ogni forma di autorità.

Si sfinivano di digiuni, proibivano le seconde nozze prediligendo la castità assoluta, non perdonavano coloro che durante le persecuzioni (sono i tempi di Settimio Severo) cedevano a Roma per aver salva la vita. Invitavano anzi ad autodenunciarsi come cristiani alle autorità. Dopo qualche anno, a Tertulliano non bastò nemmeno questa durezza, e fondò un suo gruppo all'interno del gruppo, i Tertullianisti, ancora esistenti ai tempi di Agostino di Ippona. Peccato, tutte queste energie buttate nell'intransigenza, la mente di Tertulliano negli anni successivi alla conversione aveva prodotto testi di teologia importantissimi.

È considerato il creatore del latino teologico: sua è la definizione della Trinità come tre persone in un'unica sostanza, sempre a lui si deve l'elaborazione che poi diverrà dogmatica della compresenza di due sostanze nella sola persona del Figlio. Per primo utilizzò in teologia proprio il concetto di persona, che poi sarà approfondito e diffuso da Severino Boezio, più di tre secoli dopo. Definì "madre" la Chiesa, e tale la considerò anche quando si allontanò dal Cattolicesimo romano. Nelle opere contro gli Gnostici si trovò ad approfondire il tema della bontà della materia creata e redenta da Cristo, in particolare quella del corpo umano, destinato alla resurrezione. Insisteva, Tertulliano, sul fatto che la risurrezione sarà proprio di «tutta la carne». Poi l'insofferenza per le debolezze, la ricerca di una purezza assoluta.

E la condanna di ogni forma di cura per il corpo, fatta salva la necessaria pulizia. Non solo del corpo femminile, anche gli uomini scoprono diaboliche lusinghe di bellezza: «Rasare la barba con gran cura, sfoltirla qua e là, raderla tutt'attorno, acconciarsi i capelli, tingerli anche, eliminare ogni inizio di canizie, spalmare sulla peluria di tutto il corpo una crema da donna, levigare le rimanenti parti con polvere abrasiva, consultare poi lo specchio a ogni occasione».

Per fortuna sono follie degli antichi, noi ci siamo lasciati alle spalle sia queste cure ossessive, sia il disprezzo ostentato per la cura del proprio corpo. Figurarsi, maschi depilati e gente che si veste di stracci pur essendo ricca, cose dell'altro mondo, noi siamo civili.


Il Sole 24 Ore – 21 settembre 2014
 

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