23 novembre 2014

I TEMPI LUNGHI DELLA STORIA




Marina Montesano

Le arbitrarie convenzioni che scandiscono il Medioevo

Nata con intenti pole­mici, la parola «Medioevo» ha con­ti­nuato a far liti­gare. La inven­ta­rono gli uma­ni­sti del Quat­tro­cento, i quali svi­lup­pa­rono l’idea già anche petrar­che­sca (e che del resto aveva illu­stri pre­ce­denti anti­chi) della deca­denza della civiltà fino a giun­gere alla con­clu­sione – per allora nuova e rive­la­trice che il mondo della grande cul­tura, l’acme della quale era stato segnato dall’impero romano e dalla nascita del Cri­sto – era finito: e la coscienza della rot­tura rispetto all’età antica e della neces­sità di risa­lire la china della deca­denza sino a far rivi­vere in forme nuove l’antico splen­dore (quel che sarebbe stato chia­mato più tardi «Rina­sci­mento») li con­dusse a trat­tare i lun­ghi secoli «di mezzo» come media aetas, media tem­pe­stas, media tem­pora.

Durante il Cin­que­cento, eru­diti e pole­mi­sti tanto cat­to­lici quanto pro­te­stanti – il car­di­nale Baro­nio e i «Cen­tu­ria­tori di Mag­de­burgo», ad esem­pio – con­ti­nua­rono a liti­gar fero­ce­mente sul mede­simo pre­sup­po­sto: accet­tando entrambi che i secoli suc­ces­sivi alla caduta dell’impero romano erano stati lun­ghi tempi di bar­ba­rie e d’ignoranza, si rin­fac­cia­vano reci­pro­ca­mente la respon­sa­bi­lità di tale deca­denza, che per i cat­to­lici erano stati quei popoli nor­dici dai quali sarebbe poi par­tita anche l’altra scia­gura, la Riforma, men­tre per i pro­te­stanti causa di tutto era la cor­ru­zione della sede pontificia.

Nel Set­te­cento illu­mi­ni­stico, «Medioevo» divenne sino­nimo di ogni sorta di super­sti­zione, di fana­ti­smo e d’ignoranza; nell’Ottocento roman­tico, al con­tra­rio, si vol­lero vedervi invece fede, bel­lezza, spon­ta­neità natu­rale, gioia di vivere. Ecco in che senso, in fondo, quando con­ti­nuiamo a pole­miz­zare su que­ste cose, e usando ancora que­ste vec­chie astra­zioni, restiamo un po’ tutti figli di Vol­taire o di Novalis.

D’altronde, una delle ragioni non ultime della com­ples­sità e della con­fu­sione su cui si basa que­sta plu­ri­se­co­lare pole­mica sta nel fatto che il cosid­detto «Medioevo» abbrac­cia nella perio­diz­za­zione più dif­fusa un intero mil­len­nio, dalla caduta dell’impero romano d’Occidente (476) alla sco­perta dell’America (1492). Un mil­len­nio nel quale sono acca­dute troppe cose: è mai pos­si­bile che due per­so­naggi come il goto teo­do­rico e Lorenzo il Magni­fico ven­gano acco­mu­nati dal fatto di poter essere defi­niti entrambi «medie­vali»? In mille anni ne suc­ce­dono, di cose: tutto e il con­tra­rio di tutto. 



E allora, come si fa a par­lare di un «uomo medie­vale», di una «società medie­vale», di una «cul­tura medie­vale» e così via, come se fos­sero qual­cosa di com­patto e di coe­rente? Infatti, non si può. Anzi, per­fino la con­ven­zio­nale parola «Medioevo» è un rebus insen­sato. Chi l’ha inven­tata, più che una defi­ni­zione, ha inteso dare una non-definizione. Medio-Evo: età di mezzo, periodo di tran­si­zione fra le sole età che con­tano, l’antica e la moderna. Ma la natura con­cet­tuale di que­sta non-definizione rende arduo l’uscire dal suo cerchio.

Ci ha pro­vato con pas­sione, nella sua car­riera di sto­rico e medie­vi­sta insi­gne, Jac­ques Le Goff; non è quindi casuale che la sua ultima opera, che in Ita­lia esce postuma con il titolo Il tempo con­ti­nuo della sto­ria (Laterza, pp. 156, euro 15), sia una rifles­sione breve ma arti­co­lata sul con­cetto di perio­diz­za­zione, sul «lungo Medioevo» che non si esau­ri­sce nelle date cano­ni­che, sulla falsa con­trap­po­si­zione tra Medioevo e Rina­sci­mento: anche quest’ultimo un’invenzione, seb­bene tar­diva, otto­cen­te­sca, desti­nata a grande for­tuna negli studi della prima metà del Novecento.

Le Goff ci mostra come le radici di un modo nuovo di pen­sare l’essere umano, la svolta della Moder­nità, affonda le radici nei secoli d’oro che l’Europa ha vis­suto tra XII e XIII: «que­sto deci­sivo orien­ta­mento di pen­siero che non con­ce­pi­sce la teo­lo­gia senza l’umanesimo si è pro­dotto fin dal Medioevo. La rina­scita del XII secolo, insi­stendo sull’idea che l’uomo è fatto ‘a imma­gine di Dio’, non­ché tutta la grande sco­la­stica del XIII secolo, e in par­ti­co­lare san Tom­maso, riten­gono, e affer­mano, che il loro vero oggetto di rifles­sione, attra­verso Dio, è appunto l’Uomo. L’umanesimo dipende da una lunga evo­lu­zione che si può far risa­lire all’antichità».

A tale evo­lu­zione Jac­ques Le Goff ha dedi­cato larga parte della sua opera, buon suc­ces­sore di Marc Bloch e della sua imma­gine dello sto­rico che, al pari dell’orco delle fiabe, fiuta odore di carne umana.

Il manifesto – 14 novembre 2014


Jacques Le Goff
Il tempo continuo della storia
Laterza, 2014
15 euro

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