Nel Messico della NarcoGuerra il numero di turisti, paradossalmente, cresce senza tregua. Nel 2013 è stata toccata la cifra record di 24 milioni di visitatori. Le meraviglie in terra azteca sono innumerevoli. A Città del Messico la colonia Roma è una zona rinomata e frequentata, un’isola felice che sta su tutte le guide di viaggio. Si trova a ridosso del centro storico e dalla mattina presto brulica di umanità. I suoi caffè si popolano di avventori autoctoni e stranieri, un flusso ininterrotto che continua fino a sera. Le truppe di spazzini comunali e pepenadores, meticolosi riciclatori di spazzatura che lavorano in proprio, si lanciano per le strade. Il traffico monta. Non è un quartiere chic ma nemmeno decadente, mantiene un sapore antico e un retrogusto genuino di messicanità e una varietà di locali per tutti i gusti. Ti siedi a fare colazione in un merendero. Sul ciglio della strada, a dieci metri dalla caffetteria, c’è un pezzo di carne sanguinolento, ma non te ne accorgi. Sarà un sacco dell’immondizia.
Allucinazioni?
Sono
le 10 del mattino del 6 novembre, le piogge non battono più, splenderà
il sole fino a maggio. Le vie Anahuac e Quintana Roo si svegliano al
ritmo di clacson e strilloni. Arrivano un piatto fumante di uova con
chili e pomodori tagliuzzati accompagnato da un succo d’arancia. Guardi
in giro e adesso sì, noti qualcosa di strano. Ti alzi, t’avvicini, sei a
pochi metri, e ti accorgi che si tratta di un cadavere. Non è intero, è
un mezzo corpo, un torso umano, abbandonato senz’anima. Non capisci se è
un uomo o una donna, ma di certo è una vittima, un “effetto
collaterale” del conflitto interno e della violenza. Ora è un banchetto
per i reporter sensazionalisti e per i ratti che si sporgono dai
tombini, intimiditi dall’arrivo delle prime pattuglie e dai periti della
procura. Ti resta l’immagine impressa, nessuno nei paraggi ha visto
niente. Da dove è venuto quel corpo? Oggi decidi di digiunare, paghi e
rimandi la colazione a un’altra vita. Pensi alle fosse comuni del
Guerrero, del Tamaulipas, di Veracruz, della frontiera statunitense, del
centro, del Nord, del Sud, del Messico tutto. Pensi agli oltre 2000
corpi scoperti sottoterra in pochi mesi, alle 250 fosse clandestine
ritrovate in meno di un paio d’anni, e alle migliaia di cadaveri ancora
sepolti che non saranno mai identificati. Ai familiari che non avranno
mai pace.
III Giornata Globale per Ayotzinapa
Il 5 novembre il centro della capitale è invaso da una massa animata e sfidante. Il grido di dolore dei genitori delle vittime della strage di Iguala del 26 settembre e dei desaparecidos
entra in risonanza con la rabbia di studenti, professori, collettivi,
ONG, sindacati, artisti, cittadini e lavoratori. Sfonda il torpore dei
mass media, s’espande in mezzo mondo, mette in dubbio il ronzio
fastidioso delle menzogne governative e propaga i suoi slogan, innalza i
suoi cartelli, portatori di desolanti verità: #AyotzinapaSomosTodos
(“Ayotzinapa siamo tutti”) e #Fueelestado (“La colpa è dello stato”)
sono hashtag, scritte sui muri e striscioni che significano solidarietà e
denuncia. E in effetti, anche se a fasi alterne e con diverse intensità, le proteste e le iniziative in Messico
e in tutto il mondo non smettono di far parlare del “caso Iguala” e
degli studenti della scuola normale rurale “Raul Isidro Burgos” di
Ayotzianapa, la peggiore mattanza di studenti dopo la notte di piazza
Tlatelolco a Città del Messico quando, il 2 ottobre 1968, l’esercito
sparò sui manifestanti e fece oltre 300 vittime.
Un centinaio di migliaia di manifestanti marcia per le strade della città, dalla residenza presidenziale de Los Pinos al Zocalo,
l’enorme piazza centrale, passando per la Avenida Reforma, per esigere
al governo il ritrovamento dei 43 studenti della scuola normale di
Ayotzinapa, stato del Guerrero, sequestrati nella notte del 26 settembre
dalla polizia di Iguala e del vicino paese di Cocula e poi consegnati
ai narcotrafficanti del cartello locale Guerreros Unidos. I dimostranti
chiedono un giusto castigo per i responsabili della mattanza di tre
studenti e altre tre persone commessa quella stessa notte e il
ritrovamento dei desaparecidos. La terza giornata di azione globale per
Ayotzinapa ha mosso coscienze da Torino a Padova, da Zacatecas a Londra e
Strasburgo.
Scioperi e denunce
Il
governatore dello stato del Guerrero, Angel Aguirre, ha chiesto un
“permesso” di sei mesi che il parlamento locale gli ha accordato il 25
ottobre, ma non s’è formalmente dimesso. Diciamo che ha deciso di
autosospendersi per un semestre prima di decadere naturalmente, dato che
si terranno le elezioni del nuovo governatore nel 2015, e di lasciare
l’incarico a Salvador Rogelio Ortega Martinez, segretario generale
dell’ateneo Universidad Autonoma de Guerrero e indicato come
vicino ai gruppi guerriglieri della regione. Gran parte delle università
del paese vota per lo sciopero: gli studenti decretano la sospensione
delle attività per tre giorni, da mercoledì 5 a venerdì 7 novembre, in
attesa di nuove mosse.
Il movimento d’occupazione dell’IPN, Instituto Politecnico Nacional,
continua. L’ateneo è ancora senza rettore. Le negoziazioni col governo
per i nuovi regolamenti e la concessione dell’autonomia all’istituto
traballano, si rinviano, ma proseguono. “I cittadini devono cominciare a
scendere in piazza e a paralizzare il sistema economico pacificamente,
obbligandoli puntualmente a cominciare la pulizia dello stato
messicano”, sostiene l’accademico, esperto di narcotraffico e sicurezza
internazionale, Edgardo Buscaglia.
E ribadisce quanto sia necessaria un’azione di azzeramento e “pulizia
totale”, l’imposizione di una nuova agenda dal basso contro la
corruzione, i narcos, le istituzioni marce e i loro rappresentanti. “Il
nuovo patto per la sicurezza non lo deve fare il governo ma la società
ne deve dettare i termini”. Il presidente messicano Peña Nieto ha
proposto un patto per la sicurezza molto vago, dopo mesi di negazione
del problema.
Ogni giorno che passa
senza che nulla di sicuro si sappia del destino dei 43 studenti di
Ayotzinapa mette sempre più in imbarazzo le autorità che ormai stanno
esaurendo tutte le scuse e i colpi mediatici ad effetto per provare a
distrarre l’attenzione dal vero problema che, in fondo, è lo stato
stesso, il sistema politico corrotto e la penetrazione delle mafie a
tutti i livelli, tanto che è ormai legittimo parlare di “Narco-Stato”.
Secondo alcune stime, divulgate da Buscaglia, il 67% dei comuni
messicani è infiltrato dai narcos e la situazione, quindi, è sfuggita di
mano dal livello locale a quelli statale/regionale, nazionale e
federale. 6800 soldati, 900 membri della marina e 1870 poliziotti
federali sono impegnati nelle ricerche.
Nuovi racconti dei narcos arrestati: li abbiamo bruciati
A sorpresa, nel pomeriggio del 7 novembre, il procuratore generale della repubblica, Jesus Murillo Karam, tiene una conferenza stampa.
In mattinata ha incontrato i genitori delle vittime a cui ha comunicato
“notizie delicate” i una riunione definita come “tranquilla, dolorosa,
molto triste”. Tre membri del cartello Guerreros Unidos hanno confessato
di aver ricevuto e giustiziato gli studenti che gli erano stati portati
dai poliziotti municipali di Iguala e Cocula il 26 settembre. Patricio
Reyes, Jonathan Osorio e Agustín García Reyes, arrestati otto giorni fa,
sono i rei confessi. Non è la prima volta che alcuni narcos e
poliziotti raccontano i fatti di Iguala dalla prigione. I primi racconti
del mese di ottobre sono stati smentiti dai fatti e dalle ricerche per
cui anche questi vanno presi con le pinze. Nel paese dei montaggi
televisivi e della fabbrica dei colpevoli è saggio aspettare.
Alcuni
ragazzi, una quindicina, sarebbero arrivati nelle mani dei narcos già
morti, asfissiati. Gli altri, secondo le dichiarazioni, sarebbero stati
interrogati e in seguito bruciati nella discarica della spazzatura di
Cocula durante 15 ore. Un rogo alimentato a turno dai delinquenti con
gomme, legna, benzina e plastica per eliminare tutte le tracce della
strage. “Li hanno seppelliti con tutto ciò che avevano, li han bruciati
con tutti i vestiti”, riporta Karam. “I periti che hanno analizzato il
luogo hanno trovato frammenti di resti umani”, specifica.
Il
pubblico assiste in silenzio alla conferenza, sbigottito, per
l’ennesima volta. I video, le mappe della regione di Iguala, le
testimonianze e gli interrogatori passano in sequenza sullo schermo
controllato dal procuratore. La sua voce è seria, compunta. Uno dei
narcos, noto come il “Terco”, il testardo, avrebbe ordinato di
fratturare le ossa già calcinate, di raccoglierle in dei sacchi e
scaraventarle giù da un burrone per farle rotolare fino al fiume San
Juan. La procura conferma che “sono stati trovati dei sacchetti con
resti umani all’interno” che saranno inviati in Austria per realizzare
degli studi mitocondriali. Non si sa quando avremo notizie certe, gli
studi possono durare giorni, anzi settimane, forse mesi, e sono
complicatissimi. Insomma, ufficialmente i 43 normalisti sono ancora
desaparecidos.
Queste dichiarazioni
potrebbero cambiare il panorama delle indagini e gettano nello
sconforto, ma anche nell’incertezza, l’intero paese. Nelle ultime
settimane, dopo l’arresto di 36 narco-poliziotti dei comuni di Iguala e
Cocula, di 27 narcotrafficanti e dei boss dei Guerreros Unidos,
i fratelli Sidronio e Mario Casarrubias, e la rinuncia del governatore,
s’è aggiunto anche un altro tassello, senza dubbio importante, ma in
fin dei conto poco determinante ai fini delle indagini sugli studenti
rapiti dalla polizia. Infatti, il giorno prima della manifestazione,
verso le 2 e 30 del mattino del 4 novembre, la polizia federale ha
arrestato José Luis Abarca, sindaco di Iguala, e sua moglie María
Pineda, presunti autori intellettuali della strage degli studenti di
Ayotzinapa e della scomparsa di 43 loro compagni.
L’arresto del sindaco Abarca e di sua moglie
Dopo
i primi interrogatori la procura generale della repubblica ha
confermato l’incarcerazione all’ex primo cittadino, accusato di omicidio
e della scomparsa dei 43 normalisti, mentre la sua consorte rimane agli
arresti domiciliari. Ma insieme a loro è stata catturata anche una
ragazza. Si chiama Noemì Berumen ed è accusata di averli nascosti e
protetti nella casa di suo padre, Salvador Berumen, situata nella zona
periferica e labirintica di Iztapalapa, in cui la coppia ha vissuto per alcune settimane. Il padre di Noemì è un imprenditore edile, proprietario della Berumen Gruas
(“gru”, in spagnolo) e contrattista del comune di Città del Messico e
del partito che lo amministra, il PRD (Partido Revolucion Democratica,
centro-sinistra). Grazie a questi scandali e al fatto che il sindaco
Abarca e l’ex governatore Aguirre sono proprio del PRD, il partito di
governo, il PRI (Partido Revolucionario Institucional), sta cercando di
portare acqua al suo mulino, in vista delle elezioni intermedie
(parlamentari e di alcuni governi locali) previste a metà del prossimo
anno.
Molti sono i mass media
allineati che stanno provvedendo a distruggere l’immagine, già
deteriorata dalle faide interne, del principale partito che, a fasi
alterne, si può considerare d’opposizione. All’estero, invece, quando se
ne parla, la tendenza generale sembra essere quella di emettere
condanne “soft” contro il Messico per il suo scarso rispetto dei diritti
umani e per il massacro di Iguala, anche se poi questo accadimento non
viene contestualizzato ed è considerato alla stregua di un conflitto
locale, di un episodio circoscritto e risolvibile, come se il paese non
fosse immerso in una delle peggiori crisi di governabilità e sicurezza
della sua storia, dopo 8 anni di narcoguerra e militarizzazione.
Narco-Sindaco e Narco-(Aspirante)-Sindachessa
La
loro fuga è durata un mese, una settimana e un giorno. La notte del
massacro i coniugi Abarca ballavano in una festa, a Iguala, mentre la
polizia bloccava i normalisti e li consegnava ai narcos. Non volevano
che, durante un evento tra il mondano e il politico organizzato dalla
signora Maria Pineda, si ripetesse la brutta figura che avevano fatto
nel luglio 2013, quando gli studenti di Ayotzinapa erano accorsi per
protestare per gli omicidi degli attivisti della Unidad Popular,
organizzazione osteggiata dal sindaco Abarca. Tanto osteggiata che il
narco-sindaco, secondo un testimone oculare, aveva sparato a uno di
loro, Arturo Hernandez Cardona, uccidendolo a sangue freddo.
Quella
sera, l’ordine di fermare gli studenti è arrivata via radio. José Luis
Abarca si faceva chiamare A-5, nome in codice. Sei morti, cioè tre
studenti, un autista, un giocatore di calcio e una signora che viaggiava
su un taxi, non bastavano. Ci voleva una lezione per i normalisti
“rivoltosi”. E la polizia esegue, i narcos eseguono, i narcos sono la
polizia che è il sindaco, che è il capo degli sbirri, che poi si chiama
Felipe Flores Vazquez ed è latitante, e che è lo stato. Con calma,
sabato 27 settembre, mentre probabilmente i corpi degli alunni della
normale stavano bruciando in un immondezzaio comunale nella vicina
località di Cocula, il sindaco si degna di rispondere alla chiamata
delle autorità statali e dice che non sa niente di niente.
Il
30 chiede un permesso e se ne va, fugge con la moglie finché entrambi
non vengono scovati in una casa della periferia della capitale, il 4
novembre. La signora Pineda-Abarca operava per conto dei narcos dei
Gurreros Unidos e gestiva i fondi comunali per lo “sviluppo sociale”.
“Quest’associazione mafiosa riceveva dal sindaco 2-3 milioni di pesos
regolarmente”, spiega il procuratore capo, “ogni mese, ogni due mesi,
ogni semestre, e di questi soldi almeno 600mila pesos erano destinati al
controllo della polizia locale e i delinquenti decidevano anche chi
poteva entrare a far parte della polizia”. Maria Pineda voleva fare la
sindachessa, stava già preparando la sua candidatura insieme al marito.
Quante Maria Pineda ci sono in Messico?
Distrazione
L’arresto
di Abarca e della moglie rischia di diventare un elemento di
distrazione, una scusa per non andare a fondo nelle ricerche dei 43
studenti ma soprattutto nello svelamento di quelle reti di connivenza
politica delinquenziale che hanno provocato questa e migliaia di altre
mattanze negli ultimi anni in Messico. Le decine di cadaveri rinvenute
nelle fosse comuni nei dintorni di Iguala e Cocula stanno lì a
ricordarci che oltre 100mila morti e 27mila desaparecidos in 7-8 anni
non possono venire cancellati dalla martellante propaganda governativa e
dallo sforzo diplomatico delle ambasciate messicane nel mondo.
Il giallo della casa
in cui sono stati arrestati i coniugi e i loro nessi con la famiglia
Bermuden, così come la storia di questo narco-sindaco-pistolero e di sua
moglie, sorella di quattro narcotrafficanti, tre assassinati e uno
latitante (vedi immagine), e presumibilmente coinvolta negli affari
criminosi del marito, costituiscono nuovi tasselli del puzzle, ma oramai
il quadro generale è stato rivelato e i nodi vengono al pettine. Le
vene aperte del Messico e del caso Iguala/Ayotzinapa non possono
confluire semplicemente nello stato del Guerrero ma trasportano il loro
sangue fino a tutti gli apparati del sistema della narco-politica e di
un narco-stato assuefatto alla violenza come strumento di repressione,
controllo e gestione del potere.
E’ stato lo Stato
Tanto
le testimonianze degli studenti sfuggiti all’attacco come vari
documenti ufficiali, elaborati dalla procura del Guerrero, confermano
che alcuni membri dell’esercito, della polizia federale e di quella
statale erano presenti quando gli studenti sono stati aggrediti e, prima
che venissero rapiti e fatti sparire, non gli hanno prestato aiuto.
Anzi, li hanno perquisiti, fotografati, spogliati, ignorati quando
chiedevano assistenza medica e accusati di essersela cercata prima di
lasciarli in balia dei narcos. Persino i tassisti avevano l’ordine di
non aiutare gli studenti. Lo stato c’era, non ha agito e ha addirittura
facilitato il lavoro sporco della autorità locali e della criminalità
organizzata.
Il direttore per le
Americhe di Human Rights Watch (HRW), José Miguel Vivanco ha segnalato
in conferenza stampa che gli accadimenti di Iguala sono frutto
dell’impunità che regna in Messico da tanti anni e che il presidente ha
reagito tardi: “Peña Nieto ha reagito quattro giorni dopo i fatti e l’ha
fatto tardi e male perché ha parlato del problema come se si trattasse
del Guatemala e invece siamo in Messico. Doveva muovere in quel momento
tutti i mezzi e le risorse per impedire quanto successo”. I familiari e
le organizzazioni della società civile, insieme ai movimenti sociali, si
sono occupate di risvegliare l’attenzione su quanto stava succedendo e
di spingere alla ricerca dei desaparecidos e al chiarimento degli
eventi. “I diritti umani e la sicurezza pubblica non sono temi
prioritari per il governo attuale, infatti sono temi tossici che
arrecano un danno all’immagine del paese”, ha spiegato Vivanco.
Volti noti, ma non si interviene
Mario Pineda, El MP, e Alberto Pineda Villa, El Borrado, fratelli
di María de los Ángeles Pineda Villa da anni sono volti noti. Sono
coinvolti nella operazione pulizia, la Operación Limpieza, condotta
nel 2008 dal governo federale in quanto pagatori o operatori finanziari
del cartello dei Beltran Leyva, incaricati di versare 450mila dollari
al mese a funzionari della procura generale della repubblica, secondo
quanto dichiarato dal giornalista esperto di narcotraffico José Reveles.
Lo scrittore ha parlato di soldi “per le coperture, per essere avvisati
di quando c’erano operazioni di polizia, per essere tenuti informati e
protetti”. Anche un documento del 29 luglio 2014 li segnala come alleati
de “La Barbie”, il boss Edgar Valdez Villarreal.
I
due Pineda Villa avrebbero anche dato 150mila dollari al mese al
responsabile della sicurezza dello stato del Morelos, Luis Angel Cabeza
de Vaca, secondo quanto riportato dalle conclusioni dell’accusa e dalle
testimonianze dello stesso Valdez Villareal. “Il crimine organizzato è
arrivato a comprare una franchigia chiamata ‘Comune’”, spiega Reveles.
Il sindaco Abarca, tra l’altro, ha sostenuto la campagna elettorale del
governatore Aguirre e, insieme a sua moglie, ha costruito un piccolo
impero di gioiellerie, negozi e un mini-centro commerciale sparsi tra
Iguala e la frontiera con gli USA, il che fa pensare a un business
funzionale al riciclaggio di denaro sporco.
Tentativi presidenziali
Il
presidente Peña ha presentato l’arresto del sindaco e della moglie come
un passo che “contribuirà a chiarire il caso Iguala in modo decisivo” e
ha parlato della “cattura dei responsabili”. In realtà non è così. Il
caso non è chiuso e le manifestazioni di questi giorni lo dimostrano. Il
tassello fondamentale sono i 43 studenti scomparsi che, nonostante le
dichiarazioni dei narcos e la conferenza stampa del procuratore,
continuano comunque a restare ufficialmente, secondo lo stesso Murillo
Karam, “desaparecidos”. Peña ha proposto agli altri partiti e alla
società un “patto per la sicurezza”. Lo fa solo ora, dopo aver
sottovalutato il problema per quasi due anni, dopo aver tralasciato il
tema dell’impunità, del sistema giudiziario viziato e politicizzato e
dopo aver nascosto i morti del conflitto interno sotto il tappeto di
casa. I familiari hanno incontrato il presidente. Peña li ha ascoltati e
ha dialogato. “Gli stessi discorsi di sempre”, “Non ci sono risultati”,
hanno detto i genitori deli studenti dopo l’incontro.
Alla
fine della manifestazione del 5 novembre, durante il comizio finale, i
genitori hanno addirittura anticipato l’annuncio del procuratore,
annunciando che questi avrebbe presto “risolto il caso” rivelando
nuovamente la morte degli studenti e prolungando indefinitamente la
raccolta di prove scientifiche che la certificano. “Vogliamo dirvi che
non accetteremo che venga fuori il presidente, in una conferenza stampa
che sta per annunciare, a dire che nostri figli sono morti”, afferma uno
di loro. “Solo vorrei dire al signor Peña Nieto che doveva firmare un
accordo per far venire dall’estero dei periti per le ricerche e non l’ha
fatto”, dice un altro. E’ un coro di critiche. “In una riunione che
abbiamo avuto con il procuratore ci dicono che il sindaco Abarca è
innocente perché stava dormendo e non s’è accorto di nulla”, impreca un
altro familiare. Una madre conclude: “Facciamo un appello a tutta la
cittadinanza affinché non ci lascino soli, rivogliamo vivi i nostri
figli, vogliamo giustizia”.
Domande
Di
chi sono i 30 cadaveri trovati nelle fosse comuni intorno ad Iguala se,
come già dimostrato, non sono quelli degli studenti? Dove sono i
responsabili nelle file della polizia che nel 2011 uccisero altri due
studenti della normale di Ayotzinapa? Perché, se la procura già nel
2008, nel 2009 e nel 2013 aveva avuto modo di verificare i precedenti
criminali di J. L. Abarca e consorte ed era a conoscenza del patto
d’impunità in vigore nel Guerrero e a Iguala, non è intervenuta? La
strage di Iguala si poteva evitare, così come tante altre. Quanti altri
comuni in Messico sono nelle stesse condizioni e nessuno interviene?
Quanti sono amministrati dal PRI? Quanti dal PRD o dal PAN (Partido
Accion Nacional, di destra)?
Perché
le autorità, i militari e gli altri corpi della polizia presenti il
26-27 settembre a Iguala hanno lasciato che i narcos e la polizia locale
agissero indisturbati? Perché i narcos imprigionati raccontano versioni
diverse ogni due settimane su come e dove avrebbero ucciso gli studenti
e nascosto i loro resti? Come mai due importanti personaggi del PRD
come Angel Aguirre e René Bejarano sapevano delle reti di narco-politica
e non hanno impedito la degenerazione della situazione? La risoluzione
di un caso di desaparicion forzata si conclude con la scoperta
del luogo in cui si trova, viva o morta, la persona scomparsa, con la
definizione completa delle responsabilità e il castigo di tutti i
responsabili. Può lo stato messicano processare e punire se stesso? Ayotzinapa #FueElEstado.
In tanti l’hanno scritto sulle pareti di decine di città messicane e
sull’asfalto delle piazze. E il mondo comincia a crederci e ripete il
grido: “¡Vivos se los llevaron, vivos los queremos!”.
Articolo pubblicato il · in Osservatorio America Latina ·
Ripreso da http://www.carmillaonline.com/
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