Retorica della ripartenza e immaginazione del tempo nuovo
La ricerca (…) è di storia della cultura e non di
storia letteraria,
meglio di storia letteraria
in quanto parte e
aspetto di una più vasta storia della cultura.
Antonio Gramsci, Letteratura e vita nazionale
A loro volta, questi punti di vista furono in grado di generare racconti differenti del Paese, gli autentici punti di origine del futuro immediato: oltre a quelli elaborati dagli intellettuali esiliati (“Giustizia e Libertà”, “Lo Stato operaio”), soprattutto quello elaborato in carcere da Antonio Gramsci nei suoi Quaderni che, composti tra 1929 e 1935 (l’autore muore nel 1937), videro la luce solo fra 1947 e 1951. In Gramsci c’è “un costante assillo di partire dall’esperienza di una grande sconfitta per cercarne le ragioni, per scoprire le insufficienze di uno schema di rappresentazione della realtà rivelatosi inadeguato, per congetturarne i mutamenti di posizione necessari”(P. Spriano, Introduzione a A. Gramsci, Scritti politici, Roma 1967, p. XXXVIII).
I Quaderni dunque si dispongono a un’immane operazione intellettuale: filtrare una quantità sterminata di materiali culturali elaborati dall’Italia postunitaria e borghese, alla ricerca delle radici del presente e delle ragioni profonde di questa sconfitta. Che, insieme al luogo fisico e mentale in cui essa viene elaborata – il carcere: lo spazio e il tempo della prigionia – diventano i generatori di un nuovo, inedito punto di vista sulla realtà italiana. Al monolite distopico del totalitarismo realizzato, il “cervello a cui per vent’anni bisogna impedire di funzionare” (la frase fu pronunciata dal pubblico ministero Michele Isgrò durante la requisitoria finale del processo contro Gramsci, nel 1928) è in grado, da solo, di opporre un intero mondo immaginario e culturale perfettamente coerente, fatto di narrazioni intrecciate tra loro in maniera articolatissima, di temi attuali e soprattutto di un punto di vista: di uno sguardo.
Ancora oggi – forse più che negli anni Trenta e Cinquanta – si tratta di far funzionare il cervello, e i cervelli. Si tratta di attivare processi mentali, immaginativi, creativi che sono stati troppo a lungo sopiti, sedati. Per vent’anni, ancora.
Come si immagina un tempo nuovo per la nazione. Immaginazione sotterranea, che sotterraneamente scorre rispetto all’attuale retorica della ripartenza.
***
E allora, un’opera nuova parte dalle premesse delle altre opere che
la circondano e che occupano il suo tempo e il suo spazio, e le
modifica: come afferma Frank Underwood, “se non ti piace come sono
disposte le carte sul tavolo, ribalta il tavolo”. My dreams, they’ll never surrender
(2014) di Gian Maria Tosatti a tutta prima si presenta come un’opera
ambientale con forti richiami, da una parte all’estetica poverista anni
Sessanta-Settanta, dall’altra a un modello specifico – il leggendario The Weather Project
(2003) di Olafur Eliasson alla Tate Modern di Londra. Da questi
riferimenti, però, l’opera di Tosatti si discosta in maniera decisa e
percettibilissima: oltre al forte impatto emotivo e visivo con questo
ambiente, oltre all’umile sole di latta che riverbera la luce
artificiale del faro e al desolato, commovente campo di grano, c’è tutto
quello che non si vede e che sostanzia questo lavoro.My dreams,… ha vinto il concorso per l’opera permanente a Castel Sant’Elmo: ciò vuol dire che non solo essa rimarrà, occupando quello spazio attraverso il tempo, ma che riflette nel suo stesso funzionamento interno su quello che realmente rappresenta e vuol dire questa “occupazione” (fisica, mentale, artistica). L’enorme cisterna è l’unico luogo dove non arriva – non è arrivato e non arriverà – nemmeno un raggio di sole: è la prigione, lo spazio concentrazionario per eccellenza. La chiusura di ogni orizzonte e di ogni opportunità– qualcosa con cui in Italia, nell’ultimo decennio in special modo, abbiamo singolarmente familiarizzato.
È esattamente questa chiusura che può generare, nelle condizioni giuste, una nuova visione e un nuovo progetto: l’immaginazione del tempo nuovo.
L’opera avrebbe potuto essere realizzata in un qualunque materiale indistruttibile, non deperibile: e sarebbe allora ricaduta quasi certamente nel terreno della retorica e dell’autocelebrazione, dando corpo e visione a un’immagine del Paese che si discosta dal suo presente; a una rappresentazione culturale che, come quasi sempre avviene, consola e assolve invece di incidere il tessuto della realtà. Queste centomilaspighe di grano, invece, marciranno negli anni a meno che qualcuno non decida di “aver cura”: e se nessuno si preoccuperà di tenere vivo questo lavoro, la sua “morte” non sarà una vera scomparsa, ma una forma più sottile e inquietante di vita. Una non-vita. L’esatta percezione, la rappresentazione fedele di quello che stiamo diventando; non solo di come una comunità nazionale esperisce e vive il proprio rapporto con l’arte e con la cultura, ma di come negli ultimi anni siamo scivolati e stiamo ancora scivolando in una dimensione estranea e sconosciuta di esistenza.
Questo articolo è apparso, con il titolo redazionale Ripartenza e tempo nuovo. Gian Maria Tosatti e Antonio Gramsci, su Artribune
Noi l'abbiamo ripreso dal sito http://www.minimaetmoralia.it
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