Non è più tempo di miti! Anche se gli uomini pare che non ne possano fare a meno, penso che sia un bene imparare a osservare criticamente tutto.
Studi recenti hanno ipotizzato che Stalin e Mao
(così caro, quest'ultimo, al "comunismo" salottiero alla Magri-Rossanda) usarono
l'arma della carestia e della fame come strumento di governo.
Andrea Graziosi
Il secolo breve che
generò le carestie "politiche"
IL Ventesimo secolo è
stato segnato da carestie terribili: tranne quella del 1943 in
Bengala, si è trattato in genere di carestie politiche, causate da
scelte statali. Se si escludono quelle organizzate dal nazismo contro
le popolazioni slave, le altre hanno avuto luogo in paesi socialisti.
Tre sono quelle sovietiche: 1921-22 (circa 1,5 milioni di morti);
1931-33 (6,5-7,5 milioni, concentrati in Ucraina, con 4 milioni, e
Kazachstan, con quasi 1,5 milioni); e 1946-47 (1,5). Vi sono poi la
carestia del 1983-85 in Etiopia; quella del 1994-98 in Nord Corea, e
soprattutto la carestia cinese del 1958-62, forse la maggiore della
storia con 30-45 milioni di vittime.
Queste grandi carestie
politiche sono state a lungo poco studiate perché era difficile
concepire la possibilità di carestie causate da decisioni umane e
l'associazione tra fame e comunismo sembrava una contraddizione in
termini. Solo oggi, grazie ai progressi della ricerca, appaiono i
primi tentativi di comparazione ma, specie in Italia, la conoscenza
di questi eventi è ancora limitata e persino il Grande balzo in
avanti di Mao, sfociato in una tragedia che è persino difficile
immaginare, viene ancora citato come un evento positivo.
La situazione dovrebbe
migliorare: Adelphi sta per pubblicare il saggio Tombstone, The Great
Chinese Famine, 1958 1962 , scritto da uno dei maggiori studiosi
cinesi dell'argomento, Yang Jisheng, che si spera avrà maggior
successo della traduzione del Saggiatore del bel libro La rivoluzione
della fame di Jasper Becker (1998). Anche se lavori come Mao's Great
Famine di Frank Dikötter o le memorie del medico di Mao, Zhisui Li,
restano da noi sconosciuti e poco si pubblica anche sulle carestie
sovietiche.
In Francia sta ora per
uscire da Gallimard La Récidive di Lucien Bianco, che analizza
analogie e differenze tra le carestie di Stalin e quella di Mao, e su
questi temisi è appena svolto a Toronto un convegno, intitolato
appunto Communism and Hunger , a cui hanno partecipato anche studiosi
della carestia kazaca del 1931-33, provocata dalla decisione degli
stalinisti di usare il bestiame dei nomadi per garantire le razioni
di carne a Mosca e Leningrado, come ha dimostrato Niccolò Pianciola
in Stalinismo di frontiera , edito da Viella.
Sia le maggiori carestie
sovietiche che quella cinese dipesero da tentativi di trasformare
dall'alto la struttura socio-economica di due paesi arretrati: la
Grande svolta di Stalin (1929) e il Grande balzo di Mao (1958). Essi
si basavano sull'idea di usare il piano, e quindi lo Stato, per
socializzare e quindi modernizzare nel più breve tempo possibile, e
provarono invece il naufragio della pianificazione centrale che,
eliminando ogni contrappeso, aprì la via al collasso sistemico. In
entrambi i casi, inoltre, il piano si trasformò da dispositivo
economico in strumento della volontà di due despoti che per loro
stessa ammissione non sapevano nulla di economia.
L'economia socialista
divenne così un sistema soggettivo, dominato da scelte politiche e
personali che, in Urss come in Cina, si fondavano sull'idea che fosse
possibile far pagare alle campagne la rapida trasformazione del
paese, sequestrando quote crescenti di prodotto agricolo per sfamare
città in rapida espansione e procurarsi, con l'esportazione, parte
della valuta necessaria all'acquisto di macchinari e tecnologia. In
entrambi i casi si sostenne che la socializzazione avrebbe causato un
tale aumento della produttività agricola da permettere quello del
livello di vita dei contadini, malgrado il maggior tributo loro
imposto.
Al di sotto di queste
impressionanti somiglianze vi furono tuttavia differenze cruciali. I
due paesi erano guidati da due despoti, ma come Montesquieu ha
osservato, una volta che un despota si è impadronito del potere la
sua personalità diventa un fattore decisivo, e Stalin e Mao erano
davvero diversi. La Cina era inoltre più povera dell'Unione
sovietica, il suo equilibrio alimentare era più fragile, e una sua
rottura catastrofica era quindi più probabile.
Soprattutto, come ci
indicano i dati sulle vittime e la loro distribuzione, la "questione
nazionale" giocò nella carestia sovietica un ruolo che non ebbe
in quella cinese, malgrado la sua coincidenza con la rivolta tibetana
del 1959. In particolare, in Urss i picchi di mortalità furono
stretta- mente associati alla nazionalità, e non a caso che dopo il
1991 la "memoria" della carestia è divenuta in Ucraina un
importante strumento di costruzione e legittimazione statuale. In
Cina quei picchi dipesero invece dalla maggiore o minore possibilità
del centro di sfruttare questa o quella regione, per esempio grazie
alla presenza di ferrovie, nonché dall'estremismo di alcuni
dirigenti locali. Si spiega così il peso molto maggiore avutovi
dalla brutalità dei quadri, la cui crudeltà è sorprendente persino
per chi ha letto i rapporti sulle violenze anti-contadine dei primi
anni Trenta: le commissioni di inchiesta del 1960-61 parlano di
contadini sepolti vivi, costretti a nutrirsi dei loro escrementi,
mutilati e uccisi e si calcola che le vittime dirette di queste
violenze siano state alcuni milioni.
Anche la distribuzione
cronologica della mortalità mette in rilievo differenze importanti.
Mentre in Cina e nella carestia pan-sovietica si morì nell'arco di
diversi mesi, a loro volta suddivisi tra più anni, in Ucraina
milioni di persone perirono in poche settimane tra marzo e giugno
1933, un dato che lascia intravedere una decisione politica di usare
la fame come strumento per "risolvere" uno specifico
problema nazionale e sociale, una decisione confermata da altri
indicatori e che non trova riscontri in Cina.
Qui però le dimensioni
della tragedia furono di gran lunga superiori, la rottura del sistema
centrale più drammatica, e la reazione della leadership alla
catastrofe molto diversa da quella sovietica. Mentre Stalin vinse la
sua battaglia domando i contadini e l'Ucraina, e consolidò la sua
presa sul paese, dove nel 1934 celebrò il congresso dei "vincitori"
e nel 1936-38 liquidò con facilità i suoi presunti nemici nei
grandi processi-spettacolo, Mao dovette, anche se a malincuore,
ammettere la sconfitta delle sue politiche. Nel 1962 egli riconobbe
la propria responsabilità per una tragedia di cui altri leader, come
Deng Xiaoping, parlavano apertamente. Il suo potere ne fu indebolito
e per riconquistare le posizioni perse egli fu costretto a lanciare
tre anni dopo una Grande rivoluzione culturale chiamata a bombardare
il "Quartier generale", vale a dire il gruppo dirigente del
partito.
Differenze essenziali si
manifestarono anche sul lungo periodo. Nel 1956, tre anni dopo la
morte di Stalin, nel suo rapporto segreto al XX congresso Krusciov
condannò lo Stalin delle purghe e del terrore, ma esaltò la Grande
svolta del 1929 che aveva posto le basi del socialismo sovietico, e
ignorò le carestie del 1931-33. Due anni dopo la morte di Mao, con
le quattro modernizzazioni, Deng e i dirigenti cinesi, che tra loro
discutevano della carestia, fecero invece la scelta opposta,
ribaltando le politiche economiche del grande timoniere ma
formalizzandone al contempo il culto per consolidare il potere del
partito. La Grande svolta e il Grande balzo, e le tragedie da essi
causati, furono quindi eventi cardine anche per la storia successiva
dei due paesi, ma in modi diversi e persino opposti.
La Repubblica- 24 ottobre
2014
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