01 novembre 2014

ALLA RICERCA DEI CIBI GENUINI




1958, finisce l’era dell’autoconsumo e si apre quella dell’industria alimentare. Mario Soldati con le sue inchieste televisive registra con acume i cambiamenti in atto. Terza e ultima tappa del nostro viaggio nella storia gastronomica d'Italia.

Benedetta Diamanti

La resistenza di mondi divini


Siamo nel 1958, anno di con­fine. Que­sta è la defi­ni­zione data da Guido Crainz dell’anno che segna il punto di non ritorno per l’Italia e l’avvio del boom eco­no­mico: c’è una forte impen­nata nello svi­luppo indu­striale, ini­zia l’esodo dei meri­dio­nali verso le città indu­striali set­ten­trio­nali, le cam­pa­gne si spo­po­lano e si dif­fon­dono nuovi feno­meni di costume, come ad esem­pio la tele­vi­sione.

Un altro anno cru­ciale è il 1968, quando final­mente si rag­giun­gono le 3000 calo­rie medie per abi­tante. Così, in ritardo rispetto a molti paesi euro­pei, ini­zia a spez­zarsi il rap­porto fra cibo e ter­ri­to­rio e si svi­luppa l’industria ali­men­tare, che for­ni­sce pro­dotti con­ve­nienti e acces­si­bili per tutti. Fini­sce l’era dell’autoconsumo.

Pian piano il modello ali­men­tare «urbano» si dif­fonde e cadono le anti­che distin­zioni tra città e cam­pa­gna, si impon­gono pro­dotti desti­nati a diven­tare sim­bolo dell’italianità a tavola, come la pasta, il par­mi­giano, la moz­za­rella, i biscotti e infine la dif­fu­sione su larga scala della carne, per una popo­la­zione che aveva avuto fino ad allora un’alimentazione sostan­zial­mente vege­ta­riana. Povertà quindi non è più sino­nimo di denu­tri­zione e si apre la corsa al cibo, dive­nuto a tutti gli effetti sta­tus sym­bol del con­quistato benes­sere.



Un decen­nio di cam­bia­menti di cui si fa inter­prete Mario Sol­dati. Scrit­tore, regi­sta, gior­na­li­sta, sem­pre al passo con i tempi, pronto a cogliere con sen­si­bi­lità e acume i cam­bia­menti in atto. Pre­sente fin dal primo giorno di tra­smis­sione della tele­vi­sione ita­liana, il 3 gen­naio 1954, con un suo film, decide di cimen­tarsi nel ruolo di con­dut­tore tra il 1956 e il 1957. Viag­gio nella valle del Po alla ricerca dei cibi genuini è la sua prima tra­smis­sione, che gli darà noto­rietà, creando la sua imma­gine memo­ra­bile: basco, occhiali tar­ta­ru­gati, baffo e l’immancabile sigaro.
 
 
 

Appas­sio­nato gastro­nomo, sentendo vicina la fine di un’epoca, avverte la neces­sità di fis­sare in qual­che modo il tempo, di docu­men­tare un’Italia che sta mutando. Sulla scia del Ghiot­tone errante di Monelli, Sol­dati si mette in viag­gio adot­tando un punto d’osservazione late­rale, eppure effi­cace per l’interpretazione della società: il cibo. Per Sol­dati pra­ti­care la cucina del luogo in cui si viag­gia vuol dire cono­scerlo con imme­dia­tezza, approc­ciare con sem­pli­cità tra­di­zioni, cul­tura, usi.



Oltre a creare uno straor­di­na­rio docu­mento di antro­po­lo­gia sociale, Sol­dati capi­sce la neces­sità di fare intrat­te­ni­mento, crea così una tra­smis­sione dina­mica e accat­ti­vante che ripro­duce la cadenza rit­mata della sua prosa. Incon­tra i per­so­naggi più dispa­rati, agri­col­tori, pesca­tori, impren­di­tori, pro­dut­tori di vino e con tutti dia­loga: incalza, inter­rompe, domanda, spiega, con uno stile chiaro e sem­pre fluente.

Il viag­gio si snoda in maniera asi­ste­ma­tica, senza la pre­tesa di voler vedere tutto, sulla scia dell’ispirazione momen­ta­nea, mostrando un paese dall’indole dia­let­tale, legato alle tra­di­zioni locali, eppure in movi­mento verso nuovi oriz­zonti. L’obiettivo del viag­gio è tro­vare il cibo genuino, ma dare una defi­ni­zione uni­voca di genui­nità è dif­fi­cile anche per Sol­dati, che oscilla di con­ti­nuo tra l’approvazione per le acqui­si­zioni moderne e la volontà di rifu­giarsi in un pas­sato nostal­gico e più vicino al «naturale».

Dopo un decen­nio decide di met­tersi di nuovo in viag­gio per il pro­getto di Vino al vino, Alla sco­perta dei vini genuini, che esce a tre riprese, nel 1968, nel 1971 e infine l’ultimo viag­gio nel 1975. Siamo nel clou dell’industrializzazione ita­liana, gli anni dell’avanzata della società dei con­sumi e di un benes­sere dif­fuso. Dovendo ammet­tere i lati posi­tivi del pro­gresso, tut­ta­via ne porta alla luce anche le con­se­guenze, nella fat­ti­spe­cie per la cul­tura eno­lo­gica ita­liana, che ha subìto un pro­cesso veloce di deca­denza da quando gli ita­liani hanno tagliato i legami con la campagna.



Sol­dati vuole capire qual è la verità sulla con­di­zione dei vini in Ita­lia, se die­tro ai nomi è rima­sto ancora qual­cosa di buono. Anche in que­sti viaggi è asi­ste­ma­tico, segue il sen­ti­mento e l’intuito. Non vuole sti­lare una lista di vini, ma inse­gnare un metodo, quello della ricerca stre­nua e con­ti­nua, la curio­sità di guar­dare al di là dei pochi nomi noti, di cer­care ciò che di genuino rimane. Biso­gna andare dal vino, per poterlo assag­giare vera­mente, e così fa Sol­dati, che visita can­tina dopo can­tina, inter­ro­gando le per­sone del vino, dia­lo­gando ani­ma­ta­mente, inda­gando su metodi di rac­colta, di pro­du­zione, di con­ser­va­zione, senza paura di scen­dere nei det­ta­gli tec­nici.

Ma par­lare del vino è vano, ogni assag­gio è legato alla con­tin­genza, ogni bot­ti­glia è un mondo a sé, qual­cosa di unico e irri­pe­ti­bile. Il vino è inef­fa­bile, non ci sono parole suf­fi­cienti a descri­verlo, appar­tiene più alla sfera del sogno, al di là del lin­guag­gio. Tut­ta­via Sol­dati non smette mai di ten­tare, inne­scando col let­tore il gioco del desi­de­rio, let­tore e autore con­di­vi­dono quello spa­zio vuoto che si crea là dove le parole non bastano più.



Il vino non potrà essere descritto, ma parla a chi sa ascol­tarlo e rac­conta la sto­ria della sua pro­du­zione, l’impegno del vini­fi­ca­tore, la terra che lo ha pro­dotto, il sole che ha fatto matu­rare l’uva. Con Vino al vino Sol­dati vuole inse­gnare il metodo più effi­cace per far par­lare il vino, le domande che biso­gna por­gli. Con il suo viag­gio vuole spro­nare i let­tori a met­tersi alla ricerca: per tro­vare i pro­pri vini genuini, le pro­prie isole felici che oppon­gono resi­stenza al dila­gare della società dei con­sumi con il lavoro one­sto. Senza estre­mi­smi e toni accesi Sol­dati ci invita a com­bat­tere e a per­se­ve­rare, ad avere fidu­cia in un’idea.

«Se l’Italia resi­ste, se l’Italia si sal­verà, lo dovrà, prima che a tutti gli altri, a gente come que­sta: che accetta la nuova civiltà ma solo fino a un certo punto; che non crede neces­sa­rio, pro­gre­dendo, rinun­ciare a tutto il pas­sato; che non vede insa­na­bili con­trad­di­zioni tra i costumi moderni e quelli anti­chi; che ha nelle sue mani anche l’avvenire del vino».


Il Manifesto – 24 ottobre 2014

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