Il Castello della Zisa di Palermo
Trovo sempre
stimolante leggere i libri e gli articoli di Pasquale Hamel. L’altro giorno sul
sito http://www.siciliainformazioni.com/ , con la sua consueta chiarezza ed
arguzia, ha invitato a rileggere criticamente la celebre Storia dei musulmani in Sicilia di Michele Amari.
Giustamente
Hamel ricorda che l’Amari, oltre che un grande storico, è stato anche un uomo del
suo tempo, impegnato, come molti suoi
contemporanei, a combattere ogni forma di oscurantismo e la pesante ingerenza
della Chiesa Cattolica nella lotta politica nazionale. Non può meravigliare, dunque, che la sua
ricerca storica sia stata influenzata da forti pregiudizi ideologici e
culturali:
Scriveva Goethe che “scrivere la storia è un
modo di sbarazzarsi del passato”, nel caso di Amari potremmo dire che, proprio
le sue passioni politiche, c’è un recupero del passato per poterlo utilizzare a
giustificazione di un’idea. Così, il nostro storico, dovendo portare acqua al
mulino della propria visione del mondo, trova corretto occuparsi ed enfatizzare
un periodo, per fortuna breve, della storia siciliana, quello appunto della
presenza musulmana, caricandolo oltremisura di positività.
Secondo
Hamel studi più recenti ( come quelli di Alessandro Vanoli La
Sicilia Musulmana e di Salvatore Tramontana, L’isola
di Allah) hanno
ridimensionato il valore dell’ opera dell’Amari.
All’amico
Pasquale Hamel desidero porre solo una domanda: considerato che ogni storia è “storia contemporanea” cosa ci permette
di escludere che la ricerca storica dei nostri giorni sia meno viziata dai
pregiudizi ideologici di quella di ieri?
Ma ecco di
seguito l’articolo in questione.
PASQUALE HAMEL
La Sicilia araba
tollerante?
Ecco cosa insegna la storia
Ecco cosa insegna la storia
Ma è proprio
vero che negli anni in cui gli arabi furono padroni della Sicilia,
parlo dei secoli dal IX al XI, l’Isola sia stata un luogo di tolleranza di
pace? La risposta, alla luce di quanto normalmente si racconta, sembrerebbe
scontata. Ci si potrebbe accontentare, per averne conferma, di leggere un
capolavoro della storiografia ottocentesca come “Storia dei musulmani in Sicilia”
di Michele Amari.
Amari, con
puntualità, ripercorre infatti quel periodo rilasciandocene un’immagine particolarmente positiva,
per cui, chi legge l’opera dello storico siciliano si fa un’idea ben precisa
del periodo della dominazione araba come di una parentesi luminosa della storia
siciliana. Fino a qual punto questa di Amari può essere considerata una
corretta rappresentazione di quel tempo?
Diciamo
subito che Amari, non è solo un grande storico, è anche un uomo impegnato
politicamente e che la sua cultura è figlia di quelle sensibilità intellettuali
proprie di molti uomini dell’Ottocento motivati dalla lotta all’oscurantismo e
al tradizionalismo. Amari è infatti dichiaratamente anticlericale e sicuramente
massone e, in quanto tale, vede la Chiesa e le sue istituzioni come il fumo
negli occhi.
Non
meraviglia, dunque, che la sua ricerca storica sia stata influenzata da forti
pregiudizi ideologici e culturali. Scriveva Goethe che “scrivere la storia è un
modo di sbarazzarsi del passato”, nel caso di Amari potremmo dire che, proprio
le sue passioni politiche, c’è un recupero del passato per poterlo utilizzare a
giustificazione di un’idea. Così, il nostro storico, dovendo portare acqua al
mulino della propria visione del mondo, trova corretto occuparsi ed enfatizzare
un periodo, per fortuna breve, della storia siciliana, quello appunto della
presenza musulmana, caricandolo oltremisura di positività. E, siccome di
quel periodo la ricerca storica non si era fino ad allora occupata, la
narrazione del grande intellettuale siciliano non ha trovato contraddittori
fino al punto da essere accettata senza contraddittori.
Oggi, però,
le cose per fortuna sono alquanto cambiate, storici di rilievo si sono spinti infatti nello
spazio di ricerca dove sembrava fosse stato detto tutto o quasi. Fra gli altri,
due bei libri, quello di Alessandro Vanoli “La Sicilia Musulmana” e
quello di Salvatore Tramontana “L’isola di Allah”, hanno aperto
brecce nella visione consolidata dell’Amari violando e ridimensionando la
visione paradisiaca che lui stesso ci ha regalato.
Ci siamo
chiesti, in avvio del discorso, se la Sicilia islamica fosse quell’esempio di tolleranza
che è stato tramandato ai posteri e la risposta non può che essere quantomeno
problematica perché alla luce dei documenti pervenuti bisogna riconoscere che
la tesi di Amari deve essere riconsiderata. La Sicilia al tempo dell’Islam non
fu più tollerante di come lo furono altri territori del mondo conosciuto dove
un vincitore si è insediato con la forza strappando il dominio ai popoli
indigeni.
Infatti, gli
islamici, fin dall’inizio della loro avventura siciliana – un’avventura che durò 137 anni a
causa della strenua resistenza che i siciliani opposero all’invasore – furono
abbastanza rigidi e il loro impegno teso all’islamizzazione dell’isola non fu
per niente indifferente. Impegno che non si rivolse solo nei confronti delle
istituzioni e delle evidenze architettoniche, creazione di un emirato islamico
e trasformazione di chiese e sinagoghe in moschee, ma si rivolse soprattutto nei
confronti delle comunità cristiane ed ebraiche.
Non per
nulla, in maniera più o meno rigida, fu applicato nel tempo, l’aman del
califfo Omar,
personaggio reso famoso dalla storia per essere stato responsabile
dell’incendio della biblioteca di Alessandria, uno dei più grandi delitti
contro l’umanità. Questa sorta di editto, elencava tutta una serie di obblighi
o divieti cui erano sottoposti i dhimmi, cioè i non musulmani che
vivevano nell’isola. La condizione di dhimmi, diremmo, con linguaggio
moderno, di cittadini a diritti limitati, era quella che, secondo il dettato
del Corano, veniva attribuita alla gente del libro, cioè agli
ebrei e ai cristiani.
Per
garantirsi questi pur limitati diritti, i dhimmi dovevano pagare una tassa di
capitazione, la jizyae, se proprietari di fondi, dovevano aggiungere la
“kharàg” una sorta di sovrimposta sugli immobili che i musulmani non erano
tenuti a pagare. Ma erano soprattutto le limitazioni imposte dall’aman di Omar
che pesavano sui dhimmi. L’elenco dell’aman indicava diciassette
divieti estremamente pesanti e in qualche caso addirittura umilianti. Fra
questi divieti, a parte quelli di manifestare e praticare in pubblico la
propria fede e di costruzione o riparazione di edifici di culto, ve n’erano
alcuni che incidevano sulla vita privata dei singoli.
C’era fra
questi l’obbligo di ospitare un musulmano nella propria dimora, quella di cedere i posti a sedere
ai musulmani, di non utilizzare selle per le cavalcature o di non costruire
edifici che fossero più alti di quelli dei musulmani. Ma c’erano anche
imposizioni umilianti come quello di portare segni distintivi per distinguersi
dai musulmani; tipico segno distintivo era, ad esempio, l’obbligo di rasarsi la
parte anteriore della testa. Questi divieti che, ripeto, non furono sempre
applicati rigidamente, e la pesantezza delle imposte applicate, furono lo
strumento che consentì di attuare una rapida islamizzazione dell’isola,
fatto a cui gli stessi governanti musulmani cercarono di porre un freno per
ragioni economiche. Le conversioni facevano venir meno le ingenti risorse
provenienti dalle imposte cui erano sottoposti i dhimmi.
Questa
situazione vessatoria, ben lontana dalla idea comune di tolleranza cui ci ha abituati certa
letteratura, ci da anche la chiave di lettura dello straordinario successo
della conquista normanna. Trecento o mille cavalieri normanni che furono, il
numero è imprecisato, pur ben armati e motivati, non avrebbero mai potuto
battere le migliaia di armati islamici presenti nell’Isola se non avessero
avuto l’aiuto dei residenti cristiani cui si aggiunse la sapiente politica di
sfruttamento dei conflitti e delle lotte fra i potentati isolani.
Tornando al
nostro tema, con buona pace di quanti ancora coltivano il mito della presenza
musulmana in Sicilia, bisogna
riconoscere che la tolleranza non fu la cifra specifica di quel tempo quanto
piuttosto, e anche qui da prendere cum grano salis, del successivo
periodo normanno; il Granconte Ruggero d’Altavilla e il figlio Ruggero II,
opponendosi alle insistenze di Roma che avrebbe voluto una immediata
ricristianizzazione dell’Isola, intuirono infatti che, quel che chiamiamo oggi
tolleranza, sarebbe stata una valore aggiunto per il benessere dei loro domini
e non ebbero dubbi a farla propria.
19 GENNAIO
2015, http://www.siciliainformazioni.com/
Alla domanda posta Pasquale Hamel mi ha risposto in facebook:
RispondiEliminaFrancesco Virga: considerato che ogni storia è “storia contemporanea” , cosa ci permette di escludere che la ricerca storica dei nostri giorni sia meno viziata dai pregiudizi ideologici di quella di ieri?
Pasquale Hamel: Croce è stato archiviato da tempo.
Francesco Virga:Il buon Benedetto certamente! Ma non mi pare per nulla archiviato un certo modo di fare storia che, anche si spaccia per antideologico, è ancora più ideologico di quello di ieri!
Pasquale Hamel Assolutamente no, caro Francesco ! Ecco perché percorro la strada dello scandalo-verità
Francesco Virga: Non mi riferisco ai tuoi saggi storici che anch'io ho avuto modo di apprezzare. Mi riferisco, solo per fare qualche nome, ai libri di Luttwack e a quello famoso di Fukujama che è arrivato persino a parlare di FINE DELLA STORIA!