15 gennaio 2015

IL LATO OSCURO DEL PD



 
Nadia Urbinati
Il lato oscuro delle primarie aperte a tutti

Il Pd si offre ai riflettori dell’opinione pubblica come un partito aperto agli esiti più diversi e contraddittori. Il caso delle recenti primarie in Liguria genera vero sconcerto.

Prima di tutto perché, secondo testimonianze riportate dai quotidiani, in alcuni seggi si sono visti numerosi immigrati ricevere due euro per votare (tanto per avere il senso di quanto i tempi siano cambiati, quando il Pd istituì le primarie erano i votanti a dare un euro come segno di impegno). Se questi episodi fossero confermati ci troveremmo di fronte a un illecito. Sulla seconda ragione di sconcerto si può invece esprimere un giudizio politico, che vale a confermare quanto abbiamo altre volte scritto in senso critico a proposito dello statuto del Pd che ammette a votare alle sue primarie iscritti e non iscritti.

La candidata Raffaella Paita ha vinto le primarie liguri anche con il voto di simpatizzanti del centrodestra. Nei giorni scorsi, elementi di Forza Italia e del Ncd hanno annunciato pubblicamente il loro appoggio alla candidata che correva contro Sergio Cofferati. Questo è uno degli effetti deleteri delle primarie aperte: il fatto che il Pd possa diventare il partito di tutti. Non solo partito nazionale, come anche desidera il suo segretario, non solo partito che piglia tutto, ma purtroppo anche un partito che può essere preso da chi vuole.


Oltretutto, le primarie aperte sono aggravate anche dal fatto che non c’è una legge dello Stato che regoli le primarie e le istituisca per tutti i partiti. Ciò rende la situazione ancora più paradossale e al limite della legittimità: ci sono alcuni elettori (nel caso ligure quelli di centro destra) che hanno un potere doppio rispetto ad altri elettori (quelli del Pd) in quanto possono determinare il risultato in due schieramenti. Ma anche se le primarie fossero regolate da una legge nazionale, il caso di Genova dimostra che quelle aperte possono annullare il diritto di associazione politica. A provarlo sono gli Stati Uniti, il paese che il Pd ha preso a modello per le pri- marie.

Le primarie americane hanno una lunga storia. Vennero istituite nel 1899 con lo scopo benemerito di detronizzare le clientele e la macchina dei partiti ricorrendo al voto di tutto il popolo per ridare credibilità alla politica. Le primarie sono state un vero e proprio processo di sperimentazione, modificate varie volte. Con le riforme del 1968 e del 1972, il Partito Democratico le adottò anche per selezionare i delegati al congresso del partito. Nei propositi dei riformatori, le primarie dovevano essere aperte perché avevano il compito di disincentivare la partigianeria, accusata di essere dannosa per il bene comune. Ancora oggi nei vari stati sono in vigore varie forme di primarie, secondo modelli più partigiani (primarie chiuse) o meno partigiani (primarie aperte).


Le primarie aperte hanno fatto gridare allo scandalo varie volte, per esempio quando si seppe che in quelle democratiche del Massachusetts, nel 1992, Mitt Romney (rivale di Obama nelle ultime elezioni) votò per uno dei candidati e si giustificò così: «Quando non ci sono reali contendenti nel mio partito voto nelle primarie dei democratici per il candidato che per i repubblicani è l’oppositore più debole». Le primarie aperte, dunque, non sempre valgono a disincentivare la partigianeria politica, ma anzi possono diventare un modo subdolo per far vincere i partigiani più accaniti.

Nel 2000 l’ecumenismo delle primarie aperte della California è stato cassato dalla Corte Suprema degli Stati Uniti con la motivazione secondo cui esse trasformano i partiti al punto che i cittadini non li riconoscono più. Sfumare idee, fini e obiettivi per presentarsi a tutti gli elettori indistintamente significa togliere quei punti di riferimento rispetto ai quali i cittadini possono scegliere un partito invece di un altro. Secondo i giudici americani, inoltre, con le consultazioni aperte i votanti perdono anche il senso della libertà di associazione. Ma oltre a ciò, le primarie aperte possono diventare, come la sentenza californiana suggerisce, una porta spalancata alla manipolazione del voto e alla disintegrazione del partito.

La Repubblica – 14 gennaio 2015

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