29 gennaio 2015

S. SPIELBERG SPIEGA COSA GLI HA INSEGNATO AUSCHWITZ


Riprendiamo da La repubblica il testo del discorso pronunciato dal regista Steven Spielberg davanti ad alcuni sopravvissuti dell’Olocausto per la Giornata della Memoria a Cracovia.

Steven Spielberg 

Ciò che ho capito da Auschwitz

Voglio ringraziare i tanti sopravvissuti e i loro familiari per la possibilità di essere qui, a condividere questo momento con voi. Ha un grandissimo significato per noi, e per me personalmente è un grande onore. Cinquantatremila di voi hanno donato alla nostra fondazione le vostre storie di vita e di morte.

Da allora mi sento come se appartenessi a ciascuno di voi. Tutti ci sentiamo così. Quando siamo giovani viviamo esperienze profonde, di cui sul momento non ci accorgiamo, ma che gettano le basi del nostro modo di concepire il comportamento umano, e più nello specifico il dolore e il trauma.
Ho detto in passato che una delle mie prime esperienze di apprendimento, uno dei miei primi ricordi, è di quando imparavo a leggere i numeri dai sopravvissuti dell’Olocausto che mi facevano vedere i loro tatuaggi: mia nonna e mio nonno insegnavano l’inglese, a Cincinnati, a dei sopravvissuti ungheresi, e io, con la mia mente da bambino, capivo che cosa dicevano quei numeri, ma di sicuro non riuscivo ad afferrare la loro importanza, non riuscivo a capire che si trattava in realtà di marchi indelebili di morte, sofferenze inimmaginabili, lutti inimmaginabili.
Ma ora so che rintracciare le radici della mia identità di ebreo è un processo in continua evoluzione.
Innanzitutto l’apprendimento dei numeri, da bambino. Poi, da adolescente, il vedere l’antisemitismo in alcuni dei miei compagni di classe e in persone del mio quartiere, e ancora, da adulto, il mio arrivo qui a Cracovia per girare Schindler’s List .
Se siete sopravvissuti all’Olocausto, la vostra identità di ebrei è stata minacciata dal Terzo Reich. La vostra identità è inondata di mortalità, e di atti di odio indicibili, ma è anche un’identità pervasa di resistenza e di un apprezzamento incomparabile per la vita, a dispetto di tutti quelli che hanno cercato di togliervela.

La vostra identità è nel coraggio che avete dimostrato raccontando le vostre storie. La vostra identità è nell’aver affidato a me e alla Shoah Foundation la custodia di alcune delle vostre storie. Voi sopravvivrete fintanto che i bambini potranno ascoltare le vostre parole, e anche ascoltare quello che dicono i vostri occhi, e potranno trasmettere i vostri messaggi al futuro e a tutte le generazioni a venire. Questa è la missione che ci siamo dati noi della Shoah Foundation.

Se siete nati ebrei dopo l’Olocausto, come me, la vostra identità potrà essere esplorata fino in fondo solo se sarete disposti a riconoscerla e ad abbracciarla, se sarete ansiosi di scovare ed estirpare ciò che ha evocato l’Olocausto e scatenato quelle e tante altre atrocità sotto forma di genocidio e terrorismo. L’Olocausto, e questa è una cosa che comprendiamo e rispettiamo, l’Olocausto, tranne che per voi e forse perfino per voi, è qualcosa di incomprensibile.

Ed è girando Schindler’s List qui a Cracovia e parlando con i sopravvissuti che ho cercato, personalmente, di comprendere l’Olocausto. Quando parlai con i sopravvissuti loro mi dissero che il pensiero del giorno in cui avrebbero potuto essere ascoltati, in cui avrebbero potuto condividere le loro storie e le loro identità, aveva dato loro sollievo.

E io sono riconoscente a questi sopravvissuti, non solo per il loro coraggio di fronte al genocidio, ma perché cercando di aiutarli a trovare la loro voce sono riuscito a trovare la mia, di voce, sono riuscito a trovare la mia identità ebraica.

Se siete ebrei oggi, anzi se siete persone che credono nella libertà di religione, nella libertà di parola, nella libertà di espressione, sapete che come molti altri gruppi ci troviamo di nuovo a far fronte ai demoni eterni dell’intolleranza.
Gli antisemiti, gli estremisti radicali e i fanatici religiosi che stimolano crimini di odio: tutte queste persone vogliono, di nuovo, spogliarvi del vostro passato, della vostra storia e della vostra identità, e anche ora, mentre siamo qui a parlare delle nostre storie personali e di quello che ha fatto di noi ciò che siamo, queste persone ribadiscono le loro tesi, per esempio con le pagine Facebook che segnalano gli ebrei con nome, cognome e indirizzo, a scopo di aggressione, e con gli sforzi crescenti per cacciare gli ebrei dall’Europa.

Il modo più efficace per combattere questa intolleranza e per rendere onore a coloro che sono sopravvissuti e a coloro che sono morti è di esortarci l’un l’altro a fare quello che i sopravvissuti hanno già fatto: ricordare e non dimenticare mai.

Assumersi questo compito è una responsabilità enorme. Significa preservare luoghi come Auschwitz, perché la gente possa vedere con i suoi occhi come le ideologie dell’odio possano diventare atti tangibili di omicidio. Significa condividere e sostenere le testimonianze di chi ha vissuto direttamente quell’orrore, perché possano perpetuarsi a beneficio degli insegnanti e degli studenti di tutto il mondo: le testimonianze offrono a ogni sopravvissuto una vita imperitura, e offrono a tutti noi un valore imperituro.
E questo ci porta ad adesso, al settantesimo anniversario della liberazione di Auschwitz: nonostante gli ostacoli che dobbiamo affrontare, mi sento confortato dai nostri sforzi comuni per combattere l’odio. E la mia speranza per la commemorazione è che i sopravvissuti che sono qui e i soprav- vissuti di ogni parte del mondo possano star certi che stiamo rinnovando il loro appello a ricordare, che non solo faremo conoscere la loro identità, ma che facendo conoscere la loro identità contribuiremo alla formazione di una coscienza collettiva importante per le generazioni a venire.
In questo anniversario dobbiamo sentirci tutti incoraggiati dalla consapevolezza che la nostra è una causa giusta, e faremo in modo che gli insegnamenti del passato rimangano con noi nel presente, per riuscire, ora e per sempre, a trovare modi umani per combattere l’inumanità. È un onore essere qui con tutti voi.

(Traduzione di Fabio Galimberti)

la Repubblica – 28 gennaio 2015

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