La caduta delle
nascite e la longevità incidono fortemente sulla popolazione Nel
2050 la Germania avrà perso 13 milioni di lavoratori, l’Italia
dieci e tra un secolo il Giappone avrà 40 milioni di abitanti. In
questo trend sta una delle cause dell'emigrazione dal sud del mondo.
Federico Fubini
Un futuro per vecchi
Dopo le due guerre e il
trauma della disfatta militare del 1940, la Francia della quinta
Repubblica prese una decisione per sempre: finanziare con generosità
le famiglie per ogni nuovo nato, in modo da non avere mai più una
popolazione e dunque un esercito meno numerosi della Germania. La
scommessa è riuscita, osserva Thomas Piketty nel suo libro «Il
capitale nel XXI secolo». Secondo lo scenario di base delle Nazioni
Unite, alle tendenze attuali la popolazione francese dovrebbe
superare quella tedesca prima del 2050. La prima a 77 milioni di
abitanti, in crescita di circa dieci, la seconda a 71 milioni e in
decrescita di altri dieci.
Jens Weidmann, il
quarantaseienne presidente della Bundesbank, a quel punto sarà un
venerabile pensionato: uno dei 67 che la Repubblica federale dovrà
mantenere per ogni cento persone in età da lavoro (l’Italia avrà
uno squilibrio simile).
Per
adesso però Weidmann è ancora uno dei più giovani banchieri
centrali d’Europa e nella sua recente intervista a Repubblica ha
parlato anche di questo, benché pochi in Italia sembrino essersene
accorti: la Germania, ha osservato, deve ridurre il suo debito perché
sta invecchiando e presto avrà bisogno di risorse per mantenere e
curare i suoi anziani.
Si può non essere
d’accordo con il leader della Bundesbank, non però negare che i
tedeschi stiano pensando in termini strategici. Lo fanno al pari
della Francia gollista del secondo dopoguerra. Con i suoi effetti di
onda lunga, che viene da lontano e approda lontano, la demografia è
quanto di più vicino esista a un destino ineluttabile.
Per questo in alcuni dei
Paesi intellettualmente più avanzati ci si inizia a preparare ad
alcune prospettive che somigliano da vicino a delle certezze. Eccone
alcune: secondo le proiezioni dell’Onu, per effetto della caduta
delle nascite e dell’invecchiamento, nel 2050 la Germania avrà
perso 13 milioni di lavoratori autoctoni; l’Italia ne avrà persi
dieci; e se il tasso di fertilità e la chiusura ai migranti continua
così come oggi, secondo stime dello stesso governo di Tokyo, la
popolazione giapponese crollerà dai 120 milioni attuali a 40 milioni
fra un secolo. Nel 2014 e il Giappone ha perso 268 mila abitanti
grazie al saldo negativo fra nuove nascite e decessi peggiore di
sempre.
Queste sono realtà che
incidono nel lungo periodo ma impongono ai Paesi ricchi di correre ai
ripari subito. C’è chi lo sta facendo. Proprio la Germania, uno
dei Paesi più colpiti dall’invecchiamento, è prima al mondo nel
puntare sempre di più sull’istruzione dai primi anni di età:
poiché le persone in età da lavoro saranno sempre di meno,
l’obiettivo adesso è rendere da subito gli adulti del 2050 più
capaci di produrre e portare crescita economica.
Per questo Basf, leader
mondiale della chimica, si è messa al centro di un club di 123
imprese tedesche, dalle medio-piccole a colossi come Daimler,
Continental o Boehringer Ingelheim Pharma, in un progetto che hanno
chiamato Wissensfabrik : la fabbrica della conoscenza. Non sono solo
annunci di buone intenzioni, una fabbrica da convegni. Il gruppo di
aziende si è anche collegato a decine di università e centri di
formazione, ma soprattutto ha stretto rapporti con qualcosa come 162
scuole materne in Germania, quasi mille scuole elementari, centinaia
di medie e di istituti superiori di ogni tipo.
Insieme, stabiliscono
programmi per bambini fin dalla prima infanzia – uso delle lingue,
numeri, strumenti digitali – destinati a rendere gli allievi adulti
più capaci in futuro. Una Germania con sempre meno lavoratori pensa
già a mettere quelli dei prossimi decenni in condizione di diventare
più produttivi.
Alla base di
Wissensfabrik c’è la scoperta che è valsa il Nobel per l’Economia
a James Heckman, dell’Università di Chicago. Heckman ha seguito un
gran numero di persone fin dalla prima infanzia e per decenni.
All’inizio ha misurato che nella primissima età scolare i bambini
con genitori disoccupati ascoltavano 3 milioni di parole l’anno,
quelli con genitori occupati in mestieri umili 6 milioni di parole e
i figli di professionisti laureati 11 milioni.
Lo scarto fra loro era
già enorme all’età di ingresso nella scuola materna: i figli di
disoccupati disponevano di un vocabolario di non oltre 500 parole,
quelli di genitori con mestieri poco qualificati di 700 parole,
mentre i figli dei laureati arrivavano a 1.100. Soprattutto, seguendo
il suo gruppo-campione, Heckman ha notato che questo scarto apertosi
fra bambini del primo anno dell’asilo sembrava non chiudersi più.
Al contrario, negli anni
e nei decenni tendeva a crescere. Il livello cognitivo all’età di
tre anni, collegato alla cultura della famiglia di origine,
permetteva dunque di prevedere il successo nella vita per qualifiche,
produttività, reddito, stabilità familiare, salute o la capacità
di evitare il vizio del fumo o di obesità.
Per questo Heckman pensa
che la «predistribuzione» sia più efficace della redistribuzione:
programmi educativi rivolti alla prima infanzia, quando la capacità
di assorbimento degli allievi e la loro permeabilità all’istruzione
è massima, in modo offrire a tutti opportunità simili. Insegnare
alle persone a usare il cervello quando il cervello è più ricettivo
all’insegnamento. L’intervento del welfare classico è sì
necessario, ritiene Heckman, ma costa di più ed è meno efficace.
L’alleanza fra imprese
e scuole in Germania è la prima applicazione della teoria di Heckman
a un grande Paese sul quale grava la nube dell’invecchiamento.
L’intenzione è preparare una generazione di tedeschi a far
funzionare quella che viene chiamata Industrie 4.0 : gli impianti che
fra dieci o vent’anni saranno robottizzati e funzioneranno grazie
all’integrazione di sistemi meccanici e digi- tali. Anche a
migliaia di chilometri distanza, le macchine di un gruppo globale si
invieranno segnalazioni automatiche sullo stadio di produzione, le
catene di fornitura, il livello degli stock o il rischio di guasti
nel sistema.
Il piano scuola che il
governo di Matteo Renzi sta elaborando per ora non tiene conto di
tutto questo. Eppure l’Italia è uno dei Paesi che invecchia più
in fretta: nel 2014 sono nati oltre 70 mila bebé meno che nel 2008.
Certo esiste un’altra strada per compensare il crollo delle
nascite, l’immigrazione. Ma poiché la crescita è tanto frutto del
numero di lavoratori attivi che della loro produttività, è
determinante per l’economia che gli stranieri in arrivo siano
persone qualificate.
Una banca dati presente
da qualche giorno sul sito di Eurostat, l’agenzia statistica
europea, fa capire che questa selezione avviene. Ma non per tutti i
Paesi nella stessa misura. In Germania ha una laurea (o titolo
equivalente) il 26% degli stranieri residenti, in Francia il 22%, in
Italia solo il 14%.
Questi numeri non
sembrano casuali: corrispondono quasi esattamente alla quota dei
laureati rispettivamente tedeschi, francesi e italiani sul totale
della popolazione nazionale dei tre Paesi. In sostanza tanto più è
alto il livello di istruzione di una società, quanto più quella
società riesce ad attrarre persone qualificate anche da fuori.
Dove l’istruzione è
meno diffusa, anche i migranti che arrivano e si trattengono sono
meno preparati, meno produttivi e dunque meno utili all’economia.
La Gran Bretagna in questo ha una strategia che sembra vincente,
perché attrae stranieri più istruiti della media degli stessi
britannici. I «nativi » con una laurea sono il 24%, gli stranieri
residenti con un titolo di studio superiore invece sono il 42% del
totale degli immigrati.
Mentre i Paesi avanzati
invecchiano, queste realtà conteranno ogni anno di più e
produrranno anche nuove opportunità: in Giappone la carenza di uomini
sta già aprendo alle donne professioni tradizionalmente riservate
agli uomini come le costruzioni o la guida dei camion.
L’invecchiamento
porterà opportunità anche nell’innovazione industriale: quando
gli ultra-settantenni saranno oltre un quarto della popolazione in
Europa o in Giappone, nota l’economista dell’Università di Tokyo
Hiroshi Yoshikawa, richiederanno ogni sorta di sistemi e robot
disegnati per le loro esigenze: auto, appartamenti, apparecchi medici
e di cura personale, modalità di viaggio adatte a loro. Il Boston
Group, un consulente industriale, prevede che il giro d’affari
della vecchiaia varrà da 8 mila miliardi di dollari di qui a metà
secolo. Forse Weidmann dunque ha torto a pensare che l’invecchiamento
imponga soprattutto di risparmiare: ma lui, almeno, ha iniziato a
porsi il problema.
La Repubblica – 06
gennaio 2015.
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