“Noi siamo la nostra memoria, noi siamo questo museo chimerico di forme incostanti, questo mucchio di specchi rotti.” (Jorge Louis Borges)
Edoardo
Boncivelli
Ogni notte
riplasmiamo i ricordi da trattenere
La memoria è una facoltà
straordinaria, forse la più fantastica che possediamo, al pari del
linguaggio e della coscienza, ma ne sappiamo assai poco. Sappiamo che
i nostri ricordi vengono acquisiti attraverso un organo specifico,
l’ippocampo, e poi, se tutto va bene, fissati in qualche parte
della corteccia cerebrale (ma ignoriamo dove).
Anzi, non sappiamo
nemmeno come sono scritti i ricordi, cioè conservati in maniera
stabile o quasi stabile. Uno dei grandi compiti che i neuroscienziati
dovranno affrontare nel prossimo futuro è proprio quello di
determinare dove e come sono scritti i nostri ricordi, che
prenderanno probabilmente la forma di tracce mentali custodite in un
certo numero di cellule nervose, o forse un po’ in tutte.
Quello che abbiamo appreso di recente, però, è che queste tracce nervose non rimangono lì inerti e fisse, ma vengono sistemate e riorganizzate di continuo. Tale fatto può stupire perché il modo che a noi sembrerebbe migliore per conservare intatti i ricordi è quello di non toccarli proprio. Ma non è così. Per conservarli nella maniera più efficace sembra necessario modellarli e rimodellarli in continuazione, diciamo a intervalli regolari, anche perché di ricordi se ne accumulano sempre di nuovi e occorre «spostare» i vecchi per lasciar posto ai nuovi senza perdere né questi né quelli. Che cosa ciò voglia dire è perfino difficile da immaginare, ma le osservazioni sperimentali ci dicono che è così e che il processo in questione non si arresta mai.
Da ragazzo ho imparato per esempio il teorema di Pitagora e me lo ricordo, anche se passo lunghi periodi di tempo senza farne uso, senza rinfrescarne il ricordo. Ma nel frattempo ho imparato tante altre cose, tante altre nozioni e memorie di eventi che mi sono accaduti. È concepibile quindi che l’immagine interiore del teorema di Pitagora che avevo allora sia diversa da quella che ho oggi e che entrambe siano diverse da quella che potevo avere quando mi sono laureato, tanto per dirne una.
Ho imparato per esempio
nel frattempo che non tutta la geometria è euclidea, pertinente cioè
a uno spazio privo di curvatura. Esistono le geometrie non euclidee,
a curvatura positiva o negativa, e per quelle il teorema di Pitagora
prende forme ben diverse. Anche se non faccio il matematico e non so
dire che forma prenda, ho acquisito comunque una nuova consapevolezza
e per me il significato del teorema non può essere stato sempre lo
stesso nel tempo. Per non parlare di cose che ho appreso di recente,
come l’espansione dell’universo o l’esistenza della materia
oscura.
Se i ricordi fossero taccuini conservati in un armadio o anche solo file elettronici conservati nella memoria di un hardware, con il passare degli anni l’armadio o la memoria dell’hardware dovrebbero essere sempre più grandi e a un certo momento raggiungere limiti invalicabili, tuttavia sappiamo che non è così. Posso sempre acquisire nuove nozioni o il ricordo di nuovi fatti senza per questo perdere il teorema di Pitagora né il ricordo della mia cresima.
Non riesco proprio a immaginare come questo sia possibile, ma arrivo a capire come il lavoro implicato in quest’opera sia titanico e allo stesso tempo della massima precisione. Un po’ accade tutte le notti. Il sonno è necessario — senza si muore — ed è necessario in particolare per l’acquisizione e la conservazione dei ricordi. Durante la notte il nostro cervello riesamina tutto quello che abbiamo imparato o percepito durante il giorno, vengono eliminati probabilmente un sacco di dettagli «inutili» — ma che cosa è inutile in biologia? — e quello che resta viene preparato per l’immagazzinamento.
Per ottenere questo
occorrerà fare un po’ di posto per il nuovo senza perdere il
vecchio e, soprattutto, senza perdere le connessioni, logiche e meno
logiche, fra le varie nozioni e i vari vissuti.
Questo misteriosissimo
lavorìo crea nuovi ricordi e conserva i vecchi, ma soprattutto
trasforma le percezioni di ogni tipo in ricordi veri e propri. È
concepibile che ciascuno abbia un po’ il suo stile. Noi siamo i
nostri ricordi e in primo luogo il tipo di criterio utilizzato per
far prendere forma di ricordo alle nostre percezioni.
Il Corriere della sera – 18 gennaio 2015
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