19 gennaio 2015

NOI SIAMO LA NOSTRA MEMORIA




Noi siamo la nostra memoria, noi siamo questo museo chimerico di forme incostanti, questo mucchio di specchi rotti.” (Jorge Louis Borges)

Edoardo Boncivelli
Ogni notte riplasmiamo i ricordi da trattenere 
La memoria è una facoltà straordinaria, forse la più fantastica che possediamo, al pari del linguaggio e della coscienza, ma ne sappiamo assai poco. Sappiamo che i nostri ricordi vengono acquisiti attraverso un organo specifico, l’ippocampo, e poi, se tutto va bene, fissati in qualche parte della corteccia cerebrale (ma ignoriamo dove).

Anzi, non sappiamo nemmeno come sono scritti i ricordi, cioè conservati in maniera stabile o quasi stabile. Uno dei grandi compiti che i neuroscienziati dovranno affrontare nel prossimo futuro è proprio quello di determinare dove e come sono scritti i nostri ricordi, che prenderanno probabilmente la forma di tracce mentali custodite in un certo numero di cellule nervose, o forse un po’ in tutte.

Quello che abbiamo appreso di recente, però, è che queste tracce nervose non rimangono lì inerti e fisse, ma vengono sistemate e riorganizzate di continuo. Tale fatto può stupire perché il modo che a noi sembrerebbe migliore per conservare intatti i ricordi è quello di non toccarli proprio. Ma non è così. Per conservarli nella maniera più efficace sembra necessario modellarli e rimodellarli in continuazione, diciamo a intervalli regolari, anche perché di ricordi se ne accumulano sempre di nuovi e occorre «spostare» i vecchi per lasciar posto ai nuovi senza perdere né questi né quelli. Che cosa ciò voglia dire è perfino difficile da immaginare, ma le osservazioni sperimentali ci dicono che è così e che il processo in questione non si arresta mai.

Da ragazzo ho imparato per esempio il teorema di Pitagora e me lo ricordo, anche se passo lunghi periodi di tempo senza farne uso, senza rinfrescarne il ricordo. Ma nel frattempo ho imparato tante altre cose, tante altre nozioni e memorie di eventi che mi sono accaduti. È concepibile quindi che l’immagine interiore del teorema di Pitagora che avevo allora sia diversa da quella che ho oggi e che entrambe siano diverse da quella che potevo avere quando mi sono laureato, tanto per dirne una.

Ho imparato per esempio nel frattempo che non tutta la geometria è euclidea, pertinente cioè a uno spazio privo di curvatura. Esistono le geometrie non euclidee, a curvatura positiva o negativa, e per quelle il teorema di Pitagora prende forme ben diverse. Anche se non faccio il matematico e non so dire che forma prenda, ho acquisito comunque una nuova consapevolezza e per me il significato del teorema non può essere stato sempre lo stesso nel tempo. Per non parlare di cose che ho appreso di recente, come l’espansione dell’universo o l’esistenza della materia oscura.


Se i ricordi fossero taccuini conservati in un armadio o anche solo file elettronici conservati nella memoria di un hardware, con il passare degli anni l’armadio o la memoria dell’hardware dovrebbero essere sempre più grandi e a un certo momento raggiungere limiti invalicabili, tuttavia sappiamo che non è così. Posso sempre acquisire nuove nozioni o il ricordo di nuovi fatti senza per questo perdere il teorema di Pitagora né il ricordo della mia cresima.

Non riesco proprio a immaginare come questo sia possibile, ma arrivo a capire come il lavoro implicato in quest’opera sia titanico e allo stesso tempo della massima precisione. Un po’ accade tutte le notti. Il sonno è necessario — senza si muore — ed è necessario in particolare per l’acquisizione e la conservazione dei ricordi. Durante la notte il nostro cervello riesamina tutto quello che abbiamo imparato o percepito durante il giorno, vengono eliminati probabilmente un sacco di dettagli «inutili» — ma che cosa è inutile in biologia? — e quello che resta viene preparato per l’immagazzinamento.

Per ottenere questo occorrerà fare un po’ di posto per il nuovo senza perdere il vecchio e, soprattutto, senza perdere le connessioni, logiche e meno logiche, fra le varie nozioni e i vari vissuti.

Questo misteriosissimo lavorìo crea nuovi ricordi e conserva i vecchi, ma soprattutto trasforma le percezioni di ogni tipo in ricordi veri e propri. È concepibile che ciascuno abbia un po’ il suo stile. Noi siamo i nostri ricordi e in primo luogo il tipo di criterio utilizzato per far prendere forma di ricordo alle nostre percezioni.  


Il Corriere della sera – 18 gennaio 2015

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