Un
racconto di langa di Guido Araldo a proposito di un olio miracoloso e
tesori perduti.
Guido Araldo
Quando Lavaniola
cambiò nome in Gottasecca
Pochi anni dopo l’epopea
di Abdul Amin, che secondo lo scrittore Alberto Fenoglio aveva alzato
il suo alcazar, autentica Alhambra, sulla collina del Castelvecchio a
Saliceto; quando la riscossa dei Cristiani aveva ricacciato in mare i
Saraceni con il turbante, i frati Benedettini erano tornati ad
affacciarsi sulle Langhe e uno dei loro più antichi insediamenti fu
quello di Lavaniola, esattamente tra il Monte Circino e Prunetto dal
castello sull’alta rupe.
In quel luogo, all’epoca
prossimo sulla trafficata strada Maestra delle Langhe (Magistra
Langarum: l’autostrada dell’antichità percorsa da mercanti e
viandanti, briganti, mendicanti e oranti “pellegrini”), la vita
non doveva essere facile, soprattutto per fraticelli dediti più alla
preghiera che al lavoro.
Un giorno una notizia
percorse le Langhe, arrivando al mare a meridione, nella turrita
Albenga sul mare e nelle città altrettanto turrite di Alba, Acqui e
Asti a settentrione. A Lavaniola era successo un miracolo! Da una
pietra dell’altare nell’antica pieve monastica sgorgava un olio
miracoloso, proprio come a Myra, in Licia, come accadeva presso il
sarcofago di San Nicola!
Un olio miracoloso dai
potenti poteri taumaturgici, che guariva gli storpi, donava la vista
ai ciechi, restituiva la favella ai muti… Ben presto si generò una
processione continua lungo la Magistra Langarum verso il piccolo
borgo di Lavaniola e il suo minuscolo monastero, dove dalla pietra
dell’altare della sua chiesa sgorgava a tratti l’olio miracoloso.
Si diceva che fosse stata toccata dall’arcangelo Michele, disceso
dal cielo nottetempo per sostenere il prode Aleramo, sterminatore dei
Saraceni.
Quel gocciolamento di
olio santo divenne ben presto famosissimo, in tutta la regione, e i
pellegrini accorrevano a frotte. In quegli anni, dopo le
devastazioni dei Mori, la diocesi di Alba era stata soppressa e
l’antica pieve era passata sotto la giurisdizione del vescovo di
Savona, con tanto di bolla papale, insieme a gran parte delle Alte
Langhe, usque ad Curteliam.
Quel vescovo, un
sant’uomo della casata dei Del Carretto, volle vederci chiaro in
quell’olio che sgorgava da una pietra, e si mise personalmente in
viaggio. Chissà perché, sentiva puzza di bruciato. Diversamente
dalle folle avide di miracoli, aveva letto gli antichi incunaboli
custoditi tra le sante mura dell’isola di Bergeggi.
Giunto in incognito a
Lavaniola il buon vescovo notò immediatamente, preoccupato, come i
fraticelli dagli occhi vispi fossero affannati nell’arraffare le
offerte, per quanto misere, a dritta e a manca, e come i loro
occhietti brillassero alla vista di monete, capponi, uova, galline,
conigli e otri di vino.
Anche il buon vescovo
credeva nei miracoli; ma San Nicola era lontano, troppo remoto! Oh
sì, i Baresi avevano dimezzato le distanze portandolo nella loro
città; ma la grande città bizantina di Bari restava pur sempre
troppo remota!
In quanto all’arcangelo
Michele, il buon vescovo sapeva che non era avvezzo a compiere simili
miracoli: era il guardiano del paradiso, con spada infuocata! Santo
cielo, a ogni santo la sua specializzazione.!
Il vescovo sagace non
tardò a scoprire l’arcano: alla sommità dell’altare, dietro a
una spessa tenda, era occultata una cannuccia dove i fraticelli
intraprendenti versavano accuratamente, con un piccolo imbuto,
ampolle d’olio d’oliva, per farlo gocciolare nella sottostante
pietra d’altare “miracolosa”.
Quel sant’uomo afferrò
allora un nodoso bastone di frassino, ma gli mancò il tempo di fare
giustizia a suon di randellate, ché già i fraticelli imbroglioni
correvano giù dall’erta collina, nei boschi della Valle Uzzone.
A ogni modo, come
d’antica consuetudine, i panni sporchi furono lavati in casa,
ovvero in chiesa, e nulla trapelò della truffa miracolosa. Alcuni
giorni dopo si diffuse la notizia che un rozzo villano aveva commesso
un sacrilegio, ungendo con l’olio santo un porcellino ammalato e la
fonte si era essiccata! Tale fu la commozione generale che il paese,
da quel giorno, cambiò nome e da Lavaniola divenne Gauta Sicca,
evolutosi ben presto in Gottasecca.
Restò la diceria di un
forziere pieno delle monete che i fraticelli intraprendenti erano
riusciti a racimolare e che il vescovo cercò a lungo, senza
riuscirlo a trovare.
E poiché i fraticelli
truffaldini non tornarono più alla Gauta Sicca per le randellate che
li aspettavano da parte del nuovo pievano lasciato dal vescovo, uomo
assai nerboruto, da qualche parte lassù sulla ventosa e solitaria
collina il forziere ci deve ancora essere!
Ancora pochi anni fa,
nella chiesetta sul poggio ameno a due chilometri da Gottasecca, ora
consacrata a Maria Assunta, si potevano vedere le cannucce nella
pietra dell’altare dove gocciolava l’olio santo mille anni fa;
cancellate da un recente restauro iconoclasta.
L'antica chiesetta di Gottasecca restaurata
Articolo tratto da http://cedocsv.blogspot.it/2015/01/quando-lavaniola-cambio-nome-in.html
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