31 gennaio 2015

UNGUENTI, TESORI E FINTI MIRACOLI



Un racconto di langa di Guido Araldo a proposito di un olio miracoloso e tesori perduti.

Guido Araldo

Quando Lavaniola cambiò nome in Gottasecca
Pochi anni dopo l’epopea di Abdul Amin, che secondo lo scrittore Alberto Fenoglio aveva alzato il suo alcazar, autentica Alhambra, sulla collina del Castelvecchio a Saliceto; quando la riscossa dei Cristiani aveva ricacciato in mare i Saraceni con il turbante, i frati Benedettini erano tornati ad affacciarsi sulle Langhe e uno dei loro più antichi insediamenti fu quello di Lavaniola, esattamente tra il Monte Circino e Prunetto dal castello sull’alta rupe.
In quel luogo, all’epoca prossimo sulla trafficata strada Maestra delle Langhe (Magistra Langarum: l’autostrada dell’antichità percorsa da mercanti e viandanti, briganti, mendicanti e oranti “pellegrini”), la vita non doveva essere facile, soprattutto per fraticelli dediti più alla preghiera che al lavoro.
Un giorno una notizia percorse le Langhe, arrivando al mare a meridione, nella turrita Albenga sul mare e nelle città altrettanto turrite di Alba, Acqui e Asti a settentrione. A Lavaniola era successo un miracolo! Da una pietra dell’altare nell’antica pieve monastica sgorgava un olio miracoloso, proprio come a Myra, in Licia, come accadeva presso il sarcofago di San Nicola!
Un olio miracoloso dai potenti poteri taumaturgici, che guariva gli storpi, donava la vista ai ciechi, restituiva la favella ai muti… Ben presto si generò una processione continua lungo la Magistra Langarum verso il piccolo borgo di Lavaniola e il suo minuscolo monastero, dove dalla pietra dell’altare della sua chiesa sgorgava a tratti l’olio miracoloso. Si diceva che fosse stata toccata dall’arcangelo Michele, disceso dal cielo nottetempo per sostenere il prode Aleramo, sterminatore dei Saraceni.

Quel gocciolamento di olio santo divenne ben presto famosissimo, in tutta la regione, e i pellegrini accorrevano a frotte. In quegli anni, dopo le devastazioni dei Mori, la diocesi di Alba era stata soppressa e l’antica pieve era passata sotto la giurisdizione del vescovo di Savona, con tanto di bolla papale, insieme a gran parte delle Alte Langhe, usque ad Curteliam.
Quel vescovo, un sant’uomo della casata dei Del Carretto, volle vederci chiaro in quell’olio che sgorgava da una pietra, e si mise personalmente in viaggio. Chissà perché, sentiva puzza di bruciato. Diversamente dalle folle avide di miracoli, aveva letto gli antichi incunaboli custoditi tra le sante mura dell’isola di Bergeggi.
Giunto in incognito a Lavaniola il buon vescovo notò immediatamente, preoccupato, come i fraticelli dagli occhi vispi fossero affannati nell’arraffare le offerte, per quanto misere, a dritta e a manca, e come i loro occhietti brillassero alla vista di monete, capponi, uova, galline, conigli e otri di vino.
Anche il buon vescovo credeva nei miracoli; ma San Nicola era lontano, troppo remoto! Oh sì, i Baresi avevano dimezzato le distanze portandolo nella loro città; ma la grande città bizantina di Bari restava pur sempre troppo remota!
In quanto all’arcangelo Michele, il buon vescovo sapeva che non era avvezzo a compiere simili miracoli: era il guardiano del paradiso, con spada infuocata! Santo cielo, a ogni santo la sua specializzazione.!
Il vescovo sagace non tardò a scoprire l’arcano: alla sommità dell’altare, dietro a una spessa tenda, era occultata una cannuccia dove i fraticelli intraprendenti versavano accuratamente, con un piccolo imbuto, ampolle d’olio d’oliva, per farlo gocciolare nella sottostante pietra d’altare “miracolosa”.
Quel sant’uomo afferrò allora un nodoso bastone di frassino, ma gli mancò il tempo di fare giustizia a suon di randellate, ché già i fraticelli imbroglioni correvano giù dall’erta collina, nei boschi della Valle Uzzone.
A ogni modo, come d’antica consuetudine, i panni sporchi furono lavati in casa, ovvero in chiesa, e nulla trapelò della truffa miracolosa. Alcuni giorni dopo si diffuse la notizia che un rozzo villano aveva commesso un sacrilegio, ungendo con l’olio santo un porcellino ammalato e la fonte si era essiccata! Tale fu la commozione generale che il paese, da quel giorno, cambiò nome e da Lavaniola divenne Gauta Sicca, evolutosi ben presto in Gottasecca.
Restò la diceria di un forziere pieno delle monete che i fraticelli intraprendenti erano riusciti a racimolare e che il vescovo cercò a lungo, senza riuscirlo a trovare.
E poiché i fraticelli truffaldini non tornarono più alla Gauta Sicca per le randellate che li aspettavano da parte del nuovo pievano lasciato dal vescovo, uomo assai nerboruto, da qualche parte lassù sulla ventosa e solitaria collina il forziere ci deve ancora essere!
Ancora pochi anni fa, nella chiesetta sul poggio ameno a due chilometri da Gottasecca, ora consacrata a Maria Assunta, si potevano vedere le cannucce nella pietra dell’altare dove gocciolava l’olio santo mille anni fa; cancellate da un recente restauro iconoclasta. 
 
 
L'antica chiesetta di Gottasecca restaurata


Articolo tratto da http://cedocsv.blogspot.it/2015/01/quando-lavaniola-cambio-nome-in.html
 

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