26 gennaio 2015

LINGUAGGIO E MITI











Dal sito http://www.nazioneindiana.com/  mi piace prendere oggi quest'articolo:

Il linguaggio obliterato della dea

di Daniele Ventre

Una vecchia forma di esoterismo di primo Novecento concepisce la storia umana come trionfo e dominio dell’elemento uranico, giovio, sull’elemento terreno, ctonio, demetrico. Si allinea su questa visione, sostenuta con ampia dovizia di argomenti storico-religiosi apparentemente profondi, l’idea che l’elemento demetrico sia femmina, materia e terra, in opposizione allo spirituale elemento uranico maschile.
Peraltro è noto che Demetra, la dea della spiga, “spada-aurea ricca di frutti”, è facilmente identificabile, fra le altre dee, con una certa costellazione che ha in mano una stella Spica. Questa costellazione è fra l’altro coinvolta nel mito astronomico della nascita di Mitra e di Cristo, ma di ciò non  parlerò qui. Considerando però che Khthon/Gaia e Tellus presso gli antichi sono divinità di fondamento; considerando che definiscono esse stesse un elemento uranico, la terra piatta quadrangolare, un sistema di riferimento astronomico e cronologico -da non confondersi con la terra terra, che gli antichi sapevano tonda (tonde anche le veneri steatopigiche del 30000 a. C. e come la madre dei leoni di Chatal Hoyuk, neolitica prefigurazione di Cibèbe); considerando dunque che Demetra è una ierofania uranica e che esiste peraltro uno Zeus Khthonios, che non è Hades, ma è Zeus stesso in quanto principio fecondante intimamente radicato nella terra; considerando tutto questo, viene a cadere con sonoro tuono di confutazione l’idea che esista una opposizione fra elemento demetrico ed elemento uranico, che in realtà sono compenetrati in un complesso sistema di ierogamie fra ierofanie uraniche di diversa identità e provenienza.
Quanto agli argomenti paleoantropologici che oppongono esotericamente (e psicologicamente) da sempre il padre culturale alla madre materiale, farò incidentalmente notare che nel 4800 a.C., in Europa orientale, esistevano due gruppi di civiltà primitive. La società gilanica tardo-neolitica del Danubio, con le sue grandi dee madri, la sua parità sessuale e la sua struttura federativa, aveva una proto-scrittura complessa, il Balkan-Danube-script, un sistema di scrittura sacra che precede i Sumeri di 1800 anni. I vicini indoeuropei, col loro patriarcato aggressivo (ma su questo dirò qualcosa fra breve), non erano invece nemmeno entrati nella storia, ma possedevano due cose molto materiali, cioè il bronzo e il cavallo: in altre parole il carro da guerra e l’ascia da battaglia. I nostri padri linguistici avevano altresì cose molto carine come il sacrificio delle vedove sul rogo dei mariti e una struttura politica aggressiva e verticistica -di cosa sia il frutto questa struttura sociale lo si dirà fra poco. Comunque, la civiltà materiale e violenta era in origine la civiltà uranica del padre, che prevalse sulla più “spirituale” civiltà delle dee madri, dotata di scrittura e sistemi federativi disseminati, ma di un armamento meno efficiente. L’invasione dei portatori dell’elemento “uranico” costituisce dunque una battuta d’arresto violenta nell’evoluzione culturale dell’est europeo preistorico. I nostri padri linguistici, e in particolare gli Elleni -allora Danai-Achei-, si civilizzeranno solo a contatto con le civiltà egizia e mesopotamica, attraverso i centri-relais di Ebla e di Ras-shamra Ugarit -per intenderci, Athena, la dea uranica della ragione, viene in gran parte, anche se non del tutto, da Ugarit attraverso Cipro-Alasia e Creta, insieme al suo astuto Ulisse (e a Penelope). Lo yin e lo yang si intrecciano in modo non banale, insomma.
Quanto agli indoeuropei, la questione della loro religiosità non è così scontata. Certo, le loro dee spesso sono solo la controparte femminile del dio (Indra – Indrani; Varuna -Varunani; Zeus – Dione). Ma sottobanco le cose non sono così semplici. Per esempio, Hera dagli occhi bovini, dea dell’anno e delle stagioni (Jera/ Jora [hora] cfr. Jhar, year), ha come corrispettivo una dea indoaria della notte che è rappresentata come una vacca che dà latte. Segno che il mito che associa la via lattea allo sbuffo di latte di una potente dea urania notturna è panindoeuropeo. In sostanza, gli stessi indoeuropei sembrano aver posseduto, fra le righe, con buona pace del grandissimo George Dumézil, un sistema di dee. Non erano dee facili da trattare: una di esse era *Keluh1, la dea della morte antenata di Hell e Calypsò; altre, come *Donuh1, la grande dea madre delle acque profonde, vennero assimilate dalla civiltà Danu-biana (Danubius: indoeuropeo ablativo plurale *Danubhyos = “[acque] dagli abissi di Donu”; cfr. anche la Danae dei greci e i Danai signori del mare, nome arcaico degli Achei, già nominati). Altre, graziose e gentili in apparenza, si tramandano con molti nomi: Aphrodite: dea coperta dalla nube (nubis, nup-ta, nup-tiae) del velo (ie *n-bh-rò-), Freia (ie *PrjaH1, “l’amabile, la mite”), Venere (*wen-os: “desiderio”). In genere, una divinità con troppi nomi, e tutti aggettivi, è una divinità il cui vero nome è tabù, perché così potente da non evocarsi a cuor leggero. Meglio chiamarla con nomi gentili ed esorcizzatori, o addirittura coprirla dietro il nome della sua controparte ierogamica maschile. Ciò implica che la tendenza degli indoeuropei ad assimilare le dee delle aree invase o penetrate commercialmente non è soltanto la sacralizzazione di uno stupro etnico: dietro si celano complesse dinamiche di integrazione, simboleggiate in complesse e strane intronizzazioni di re sacri (comprendenti riti zoorastici, come quelli degli Arcadi o dell’antica Irlanda precristiana, entrambi coinvolgenti cavalle), connesse a fenomeni di sincretismo. In poche parole, il padre uranico indoeuropeo è l’ultimo strato di una religione complessa che ha avuto una sua evoluzione interna, in cui si nasconde un significativo fenomeno sociale: la virilizzazione di una costellazione di tribù cromagnoidi in uno stato di necessità economica determinatosi a fine-mesolitico dopo l’estinzione dei ghiacci del wurm III, fenomeno che portò prima a una espansione demografica, poi a un sovraffollamento, con esiti non dissimili da quelli che si sono riscontrati nell’evoluzione di tribù amazzoniche primitive, gli Yanomamo per esempio. In sostanza, l’aristocrazia guerriera si impose con i suoi dei uranici in uno stato di necessità, prevaricando i produttori e le antiche divinità e creando la figura del forte dio patriarcale, che tenta di differenziarsi in una feroce lotta con la dea.
Ciò vuol dire che tutta una certa corrente esoterica, che oggi da noi alligna nel retrobottega, fa capo a equivoci archeologici superati da più di mezzo secolo, e a equivoci interpretativi ormai insostenibili. Sarebbe bello se nel retroscena di una certa “cultura” “politica” se ne traessero le dovute conseguenze.

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