30 gennaio 2015

L' ANIMA RUSSA SECONDO V. WOOLF


In un testo finora inedito la scrittrice inglese spiega l'opera di Dostoevskij. Ne riprendiamo una pagina.

Virginia Woolf

"Ecco cos'è l'anima russa"


Leggendo Cechov ci troviamo a ripetere ancora e ancora la parola "anima". È ovunque tra le sue pagine. Vecchi ubriaconi la usano liberamente: «…vi siete elevato di grado, siete di quelli che stanno molto in alto; ma, golubcik , quello che vi manca è una vera anima… nella vostra non c'è forza…».

In verità, è l'anima il personaggio principale della narrativa russa. Delicata e sottile in Cechov, essa è soggetta a un infinito numero di umori e malumori, mentre in Dostoevskij ha maggiore volume e profondità; spesso afflitta da violente malattie e furiose febbri, è comunque la preoccupazione predominante. Forse è per questo che ci vuole tanto sforzo da parte di un inglese per leggere I fratelli Karamazov o I demoni una seconda volta. L'anima gli è aliena. Gli è persino antipatica.

Ha poco senso dell'umorismo e nessun senso della commedia. È informe. Ha solo una vaga connessione con l'intelletto. È confusa, espansiva, tumultuosa e, a quanto pare, incapace di sottomettersi al controllo della logica o alla disciplina della poesia.

I romanzi di Dostoevskij sono vortici ribollenti, mulinelli di sabbia in una tempesta, trombe d'acqua che sibilano e gorgogliano e ci risucchiano. Sono composti puramente e completamente della materia dell'anima. Veniamo inghiottiti contro la nostra volontà, presi nel vortice, accecati, soffocati, e allo stesso tempo riempiti di un'estasi che ci stordisce.

All'infuori di Shakespeare, non c'è lettura più eccitante di questa. Apriamo la porta e ci ritroviamo in una stanza piena di generali russi, dei tutori di questi generali, delle loro figliastre e cugine, una folla di persone varie che parlano tutte ad alta voce dei loro affari più privati. Ma dove siamo? Di certo è compito di un romanziere comunicarci se siamo in un albergo, un appartamento, un alloggio in affitto. Eppure qui nessuno ritiene di dovercelo dire.

Siamo anime, torturate e infelici, la cui unica occupazione è parlare, rivelare, confessare, attingere a qualunque lacerazione della carne e dei nervi per estrarne quei peccati indecifrabili che strisciano nella sabbia, sul fondo di noi stessi. Ma, mentre ascoltiamo, la nostra confusione si placa lentamente. Ci viene gettata una fune; afferriamo un soliloquio; riusciamo a stento a mantenere la presa mentre veniamo trascinati fuori dall'acqua; continuiamo a procedere in modo febbrile, furioso, ora sommersi, ora comprendendo più di prima in un attimo di chiaroveggenza, ricevendo rivelazioni che di norma solo la forza della vita al suo massimo può sospingere verso di noi.

E nel nostro volo cogliamo tutto – i nomi delle persone, le loro relazioni, il fatto che soggiornano in un albergo a Roulettenburg, che Polina è coinvolta in un intrigo con il marchese des Grieux (nel romanzo Il giocatore , ndr) – ma sono tutte questioni ininfluenti se paragonate all'anima!

È l'anima che conta, la sua passione, il suo tumulto, la sua sconcertante mistura di bellezza e infamia. E se le nostre voci d'un tratto si sollevavano in grida di ilarità, o se veniamo scossi da violenti singhiozzi, cosa c'è di più naturale? Vale a stento la pena di notarlo.

Viviamo a una tale velocità che le ruote delle nostre carrozze lasciano una scia di scintille. Inoltre, quando il ritmo è così serrato gli elementi dell'anima non si mostrano separatamente in scene comiche o scene di passione tra loro distinte, così come le concepisce il nostro lento intelletto inglese, ma sono intrecciati, avvinti, inestricabilmente confusi, e ci viene rivelato un nuovo panorama della mente umana.

Le vecchie divisioni si fondono l'una nell'altra. Gli uomini sono allo stesso tempo malvagi e santi, i gesti sono insieme meravigliosi e deprecabili. Amiamo e odiamo contemporaneamente. Non c'è traccia di quella precisa divisione tra bene e male alla quale siamo abituati. Spesso coloro verso cui proviamo più affetto sono i peggiori criminali, e i più abietti peccatori suscitano in noi la più intensa ammirazione, oltre all'amore.

Scagliato sulla cresta delle onde, scosso e sbattuto sulle pietre al fondo, per il lettore inglese è difficile sentirsi a proprio agio. Il processo al quale la sua letteratura lo ha abituato viene invertito. Se noi avessimo voluto raccontare la storia d'amore di un generale (e prima di tutto avremmo trovato molto difficile non ridere del generale), avremmo dovuto iniziare con la sua casa, avremmo dovuto dare solidità al suo ambiente. Solo dopo avremmo potuto tentare di occuparci del generale stesso.

D'altra parte, non è il samovar ma la teiera a regnare in Inghilterra; il tempo è ristretto; lo spazio è affollato; l'influenza di altri punti di vista, di altri libri, persino di altre epoche, si fa sentire. La società viene suddivisa in classi inferiori, medie e superiori, ognuna con le proprie tradizioni, le proprie abitudini e, in certa misura, il proprio linguaggio.

Che lo voglia o no, il romanziere inglese subisce una pressione costante affinché riconosca queste barriere e, di conseguenza, gli vengono imposti un ordine e un qualche genere di forma; è incline alla satira piuttosto che alla compassione, alla disamina della società piuttosto che alla comprensione degli individui stessi. A Dostoevskij non vennero imposti questi limiti. Per lui non fa alcuna differenza che siate un nobile o una persona semplice, un barbone o una gran dama. Chiunque voi siate, siete un contenitore di questo liquido perplesso, questa materia nebulosa, in fermento, pregiata: l'anima.

L'anima non è trattenuta da barriere. Tracima, dilaga, si mescola con le anime di altri. La semplice storia di un impiegato di banca che non poteva pagare una bottiglia di vino si diffonde, prima che ce ne possiamo rendere conto, nelle vite di suo suocero e delle cinque amanti che quest'ultimo tratta in maniera abominevole, e nella vita del postino, e in quella della domestica, e in quella delle principesse alloggiate nello stesso palazzo; perché niente è al di fuori della provincia di Dostoevskij, che quando è stanco non si ferma, prosegue. Non può contenersi. E riversa su di noi questa sostanza calda, infuocata, varia, meravigliosa, terribile, opprimente – l'anima umana.
La Repubblica - 13 gennaio 2015

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