In un testo finora
inedito la scrittrice inglese spiega l'opera di Dostoevskij. Ne riprendiamo una pagina.
Virginia Woolf
"Ecco cos'è
l'anima russa"
Leggendo Cechov ci
troviamo a ripetere ancora e ancora la parola "anima". È
ovunque tra le sue pagine. Vecchi ubriaconi la usano liberamente:
«…vi siete elevato di grado, siete di quelli che stanno molto in
alto; ma, golubcik , quello che vi manca è una vera anima… nella
vostra non c'è forza…».
In verità, è l'anima il
personaggio principale della narrativa russa. Delicata e sottile in
Cechov, essa è soggetta a un infinito numero di umori e malumori,
mentre in Dostoevskij ha maggiore volume e profondità; spesso
afflitta da violente malattie e furiose febbri, è comunque la
preoccupazione predominante. Forse è per questo che ci vuole tanto
sforzo da parte di un inglese per leggere I fratelli Karamazov o I
demoni una seconda volta. L'anima gli è aliena. Gli è persino
antipatica.
Ha poco senso
dell'umorismo e nessun senso della commedia. È informe. Ha solo una
vaga connessione con l'intelletto. È confusa, espansiva, tumultuosa
e, a quanto pare, incapace di sottomettersi al controllo della logica
o alla disciplina della poesia.
I romanzi di Dostoevskij
sono vortici ribollenti, mulinelli di sabbia in una tempesta, trombe
d'acqua che sibilano e gorgogliano e ci risucchiano. Sono composti
puramente e completamente della materia dell'anima. Veniamo
inghiottiti contro la nostra volontà, presi nel vortice, accecati,
soffocati, e allo stesso tempo riempiti di un'estasi che ci
stordisce.
All'infuori di
Shakespeare, non c'è lettura più eccitante di questa. Apriamo la
porta e ci ritroviamo in una stanza piena di generali russi, dei
tutori di questi generali, delle loro figliastre e cugine, una folla
di persone varie che parlano tutte ad alta voce dei loro affari più
privati. Ma dove siamo? Di certo è compito di un romanziere
comunicarci se siamo in un albergo, un appartamento, un alloggio in
affitto. Eppure qui nessuno ritiene di dovercelo dire.
Siamo anime, torturate e
infelici, la cui unica occupazione è parlare, rivelare, confessare,
attingere a qualunque lacerazione della carne e dei nervi per
estrarne quei peccati indecifrabili che strisciano nella sabbia, sul
fondo di noi stessi. Ma, mentre ascoltiamo, la nostra confusione si
placa lentamente. Ci viene gettata una fune; afferriamo un
soliloquio; riusciamo a stento a mantenere la presa mentre veniamo
trascinati fuori dall'acqua; continuiamo a procedere in modo
febbrile, furioso, ora sommersi, ora comprendendo più di prima in un
attimo di chiaroveggenza, ricevendo rivelazioni che di norma solo la
forza della vita al suo massimo può sospingere verso di noi.
E nel nostro volo
cogliamo tutto – i nomi delle persone, le loro relazioni, il fatto
che soggiornano in un albergo a Roulettenburg, che Polina è
coinvolta in un intrigo con il marchese des Grieux (nel romanzo Il
giocatore , ndr) – ma sono tutte questioni ininfluenti se
paragonate all'anima!
È l'anima che conta, la
sua passione, il suo tumulto, la sua sconcertante mistura di bellezza
e infamia. E se le nostre voci d'un tratto si sollevavano in grida di
ilarità, o se veniamo scossi da violenti singhiozzi, cosa c'è di
più naturale? Vale a stento la pena di notarlo.
Viviamo a una tale
velocità che le ruote delle nostre carrozze lasciano una scia di
scintille. Inoltre, quando il ritmo è così serrato gli elementi
dell'anima non si mostrano separatamente in scene comiche o scene di
passione tra loro distinte, così come le concepisce il nostro lento
intelletto inglese, ma sono intrecciati, avvinti, inestricabilmente
confusi, e ci viene rivelato un nuovo panorama della mente umana.
Le vecchie divisioni si
fondono l'una nell'altra. Gli uomini sono allo stesso tempo malvagi e
santi, i gesti sono insieme meravigliosi e deprecabili. Amiamo e
odiamo contemporaneamente. Non c'è traccia di quella precisa
divisione tra bene e male alla quale siamo abituati. Spesso coloro
verso cui proviamo più affetto sono i peggiori criminali, e i più
abietti peccatori suscitano in noi la più intensa ammirazione, oltre
all'amore.
Scagliato sulla cresta
delle onde, scosso e sbattuto sulle pietre al fondo, per il lettore
inglese è difficile sentirsi a proprio agio. Il processo al quale la
sua letteratura lo ha abituato viene invertito. Se noi avessimo
voluto raccontare la storia d'amore di un generale (e prima di tutto
avremmo trovato molto difficile non ridere del generale), avremmo
dovuto iniziare con la sua casa, avremmo dovuto dare solidità al suo
ambiente. Solo dopo avremmo potuto tentare di occuparci del generale
stesso.
D'altra parte, non è il
samovar ma la teiera a regnare in Inghilterra; il tempo è ristretto;
lo spazio è affollato; l'influenza di altri punti di vista, di altri
libri, persino di altre epoche, si fa sentire. La società viene
suddivisa in classi inferiori, medie e superiori, ognuna con le
proprie tradizioni, le proprie abitudini e, in certa misura, il
proprio linguaggio.
Che lo voglia o no, il
romanziere inglese subisce una pressione costante affinché riconosca
queste barriere e, di conseguenza, gli vengono imposti un ordine e un
qualche genere di forma; è incline alla satira piuttosto che alla
compassione, alla disamina della società piuttosto che alla
comprensione degli individui stessi. A Dostoevskij non vennero
imposti questi limiti. Per lui non fa alcuna differenza che siate un
nobile o una persona semplice, un barbone o una gran dama. Chiunque
voi siate, siete un contenitore di questo liquido perplesso, questa
materia nebulosa, in fermento, pregiata: l'anima.
L'anima non è trattenuta
da barriere. Tracima, dilaga, si mescola con le anime di altri. La
semplice storia di un impiegato di banca che non poteva pagare una
bottiglia di vino si diffonde, prima che ce ne possiamo rendere
conto, nelle vite di suo suocero e delle cinque amanti che
quest'ultimo tratta in maniera abominevole, e nella vita del postino,
e in quella della domestica, e in quella delle principesse alloggiate
nello stesso palazzo; perché niente è al di fuori della provincia
di Dostoevskij, che quando è stanco non si ferma, prosegue. Non può
contenersi. E riversa su di noi questa sostanza calda, infuocata,
varia, meravigliosa, terribile, opprimente – l'anima umana.
La Repubblica - 13 gennaio 2015
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