Non avevamo dubbi che
il coretto (ipocrita) “Siamo tutti Charlie” sarebbe durato lo
spazio di un mattino. Evidentemente per il rettore della Statale, come per tanti altri, la
difesa della libertà d'espressione vale solo per Parigi.
Questa volta il
dispositivo di sicurezza internazionale
— perché Expo è un evento transcontinentale
— ha funzionato alla perfezione. La logica
è quella della guerra preventiva ma visti
i risultati bisogna rassegnarsi, perché
è solo grazie a questa sofisticata
operazione di intelligence che il rettore
dell’Università Statale e il prefetto di Milano
sono riusciti a garantire l’inviolabilità di un
luogo sacro del pensiero occidentale.
Si potrà dibattere
a lungo sulla necessità di sospendere l’universale
diritto alla libertà d’espressione (verrebbe da scriverlo
in francese), ma è così facendo che le aule di una
delle più celebrate istituzioni cittadine
non sono state profanate da un’assemblea pubblica
della Rete Attitudine No Expo. Sarà la storia, un
giorno, a dire se anche il Comune di Milano ci ha messo del
suo per impedire una discussione pubblica
sull’evento planetario che non si può nemmeno
discutere (non c’è riuscita nemmeno la
magistratura), oppure se si è limitato a non
prendere posizione. Che forse è anche peggio.
Fatto sta che ieri la
Statale è stata chiusa per motivi di ordine pubblico.
Tutti a casa per tre giorni, un fatto senza precedenti.
Una decisione ridicola. La popolazione è stata
avvisata con un’ordinanza affissa al portone che
avrebbe potuto essere scritta in caratteri gotici: Per motivi
di sicurezza, la sede di via Festa del Perdono resterà
chiusa… Informazioni più dettagliate sulle
aule saranno fornite nel più breve tempo possibile».
A sottolineare
la perentorietà dell’atto, un discreto plotone
di poliziotti in tenuta anti sommossa. Di contorno,
anche un atto di sovversione esibito su
un’impalcatura da alcuni esponenti di un centro
sociale: «Tutti paladini dell’informazione eppure
chiudono l’ateneo per impedire l’assemblea». Sui
social network invece ognuno dice la sua sotto l’hashtag
#jesuishypocrite. Niente di eversivo, ma il
clima resta teso.
In assenza di un
pericolo reale — era nell’aria solo l’occupazione di
un’aula per trasformarla in una base per le
iniziative di lotta e approfondimento
in vista dell’Expo — le reazioni e lo
sbigottimento non si sono fatti attendere.
Sembra che nei giorni scorsi la Statale, governata
dal rettore Gianluca Vago, abbia chiesto 150 euro
all’ora di affitto agli organizzatori
dell’assemblea, i quali, fatti due conti, per otto ore
avrebbero dovuto sborsare 1.200 euro.
Troppi soldi,
trattativa saltata, assemblea non
autorizzata, telefonata al prefetto,
poliziotti in assetto di guerra. Il prefetto di Milano,
Francesco Paolo Tronca, ha dato una spiegazione:
«È stata una decisione del rettore, che l’ha
sottoposta al Comitato provinciale
per l’ordine pubblico e la sicurezza, che a sua
volta l’ha condivisa. Sono manifestazioni
che il rettore ha valutato estranee al contesto
universitario».
Le valutazioni
del rettore non godono di grande popolarità. C’è
chi parla di scelta grave che lede il diritto di opinione,
chi intravede le storture di una deriva autoritaria
nel trasformare un luogo come l’università in una
zona rossa militarizzata, e chi irride la
«ridicola esibizione di incapacità
gestionale». Da registrare anche l’opinione di un
professore della Statale, Aldo Giannuli, che
smessi i panni del ricercatore nel dipartimento
di studi storici, traccia un parallelo sensato
che spiega bene l’aria che tira: «La decisione di
chiudere l’università è una scivolata che
si poteva evitare. Trovo questa decisione poco
opportuna e forse dettata da timori eccessivi
e pregiudiziali».
Tanto più
considerando «che avviene negli stessi giorni in
cui Expo e Regione Lombardia confermano
il patrocinio al convegno omofobo
previsto per il 17 gennaio, in cui verrà dato
spazio a posizioni bollate dal logo ufficiale
dell’Expo, come dire che la libertà di espressione non
vale per tutti» (a proposito: oggi alle 14, in piazza
Einaudi — MM Gioia — presidio contro il
convegno omofobo promosso da ultrà
cattolici).
E la rete No Expo?
Dopo una giornata di toni agitati ieri sera hanno
trovato una nuova sede per discutere, perché di
una discussione plurale si tratta, non di un corteo
e nemmeno di una manifestazione. Hanno
occupato l’ex sede Anpi di via Mascagni 6, a due
passi da San Babila. Da stamattina, workshop
e sberleffi ai “sorbonisti” con
l’elmetto in testa.
Il Manifesto – 17
gennaio 2015
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