Nella riforma elettorale in
discussione ad un Senato non elettivo si aggiungerebbe una Camera con
una presenza determinante di eletti su liste bloccate e dunque di
nominati. Di fatto un parlamento totalmente asservitoalle segreterie di partito, cioè agli “uomini forti” del
momento.
Gianpasquale
Santomassimo
Un parlamento di
oligarchi
Stiamo uscendo dalla
democrazia parlamentare, ma la cosa sembra
non interessare a nessuno. Anche le
opposizioni, interne ed esterne al partito di
maggioranza relativa, agitano emendamenti
su questioni abbastanza secondarie, come le
preferenze, ma sembrano accettare il principio
di fondo, lo stravolgimento della rappresentanza,
il considerare le elezioni come pura e semplice
investitura di un potere assoluto e senza
controllo.
Mi pare che l’opposizione
all’Italicum, in Parlamento come nel discorso pubblico,
guardi all’albero senza vedere la foresta, come si usava dire.
L’evidenza è quella di una legge-truffa che dà a un
solo partito, che rappresenterà in ogni caso una
minoranza relativa sempre più esigua di fronte
al crollo della partecipazione popolare, una
consistenza parlamentare spropositata,
che può consentire di fare il bello e il cattivo
tempo, di nominare tutte le cariche istituzionali,
di correggere e stravolgere la
Costituzione a colpi di maggioranza.
Distruggere insomma
la divisione e l’equilibrio dei poteri che
nell’esperienza repubblicana furono comunque
salvaguardati.
La democrazia
parlamentare è stata riconosciuta, da
tutte le culture democratiche, come il quadro
istituzionale in cui le lotte sociali potevano
svolgersi liberamente e potevano ottenere
conquiste durature, in un clima che pur nell’asprezza
dello scontro poteva garantire condivisione
di princìpi e ascolto di istanze. A maggior
ragione ciò è stato compreso dopo le esperienze del
Novecento, e la Costituzione repubblicana
recepiva il lascito di quella consapevolezza.
Ma in Italia sembra
essersi smarrita, nell’ultimo quarto di secolo, la nozione di
cosa sia e a cosa debba servire il Parlamento:
rappresentare fedelmente il paese, dibattere
liberamente, elaborare e scrivere le
leggi, non votare a comando i decreti del governo.
Si sta per abolire
il Senato, trasformato in un “dopolavoro” di
consiglieri regionali. Perché non abolire
anche il Parlamento, a questo punto? Il
contraente più anziano del Patto del Nazareno proponeva
di far votare soltanto i capigruppo, col loro
pacchetto di voti, e il ducetto di contado che domina
questa fase terminale della democrazia
italiana non sembra avere idee molto diverse quanto ad
autonomia e libertà dell’istituzione parlamentare.
Il partito di
notabili che si appresta a questo scempio
del principio costituzionale sembra
aver rinnegato tutta la sua esperienza repubblicana,
e sembra oscuramente far riemergere dal
suo lontanissimo passato solo l’antica
propensione alle dittature di minoranza,
dove il segretario di partito comandava su tutto
(ma almeno si aveva il buon gusto di differenziare la
carica di primo ministro).
Andiamo verso tempi
durissimi, ancor più oscuri di quelli che abbiamo vissuto
recentemente, nei quali sarebbe fondamentale
avere istituzioni rappresentative che
rispecchino realmente e fedelmente la società,
pur nella sua frammentazione a volte caotica.
Si procede invece verso la negazione di ogni forma di
limpida rappresentanza, verso l’instaurazione
di un rigidissimo principio oligarchico,
che nega alla radice qualunque interlocuzione
con la società.
Tutto questo
è drammaticamente pericoloso,
è una china che andrebbe arrestata in qualunque
modo, prima che sia troppo tardi. Bisogna che qualcuno,
anche tra i “corpi intermedi” così vilipesi
e umiliati, cominci a mettere in dubbio la
stessa legittimità di un potere minoritario
che vuole spadroneggiare col sopruso, a contestare
il delirio di onnipotenza di un’accozzaglia di
parlamentari eletti con una legge incostituzionale
e che pretende di riscrivere a suo piacimento
la Costituzione.
Il Manifesto – 22
gennaio 2015
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