Adriano Sofri
La vera storia di
Caterina prostituta e santa
La venerabile Caterina Vannini, la “santa” della contrada senese della Tartuca, fu suora delle Convertite, dopo esser stata meretrice a Roma. Il suo nome va insieme a quello di Federico Borromeo, con cui ebbe un febbrile carteggio. Il cardinale ne scrisse la “Vita”, pubblicata nel 1618 (lei era morta il 30 luglio del 1606).
Descrisse le sue
fattezze: «Ella per donna fu di statura grande; e svelta della
persona; di membri dilicati, e di color bianco e vivace. Il viso non
era grande, e il sembiante fu giovenile ancora nell’età matura; la
fronte monda, e i capelli perfettamente negri; le ciglia e gli occhi
parimenti neri...
Il naso non fu proffilato, ma leggiermente depresso. Ebbe piccola bocca; né le labbra erano sottili, né molto rubiconde. Nelle guance appariva sempre alquanto di rossore; ed alcuni nei sparsi nel viso…». Correggendo il testo per la ristampa, Federico decise di cassare le righe sul “sembiante”, preoccupato di averla ritratta troppo “secondo il senso”.
La famosa predilezione
del Borromeo per le monache, e più particolare per Caterina senese,
appartiene a un tempo di superstizioni, feticismi e morbosità. Le
quali, come avvertì Manzoni, non possono per intero giustificarsi
con l’epoca, e agli stessi protagonisti apparvero non di rado
compromettenti.
Federico si preoccupava
che le sue lettere cadessero sotto occhi estranei. Quelle di Caterina
lasciano intuire perché i processi di beatificazione di ambedue, il
gran cardinale e la sua “piccinina”, si siano insabbiati.
Federico aveva saputo di lei nel 1601, mentre era in viaggio e in
pericolo di vita, dal pittore Francesco Vanni, e ritenne di doverle
la guarigione. L’avrebbe incontrata solo due volte, nel 1604 e nel
1605.
Tolta la vita matura, di Caterina si sa pochissimo. La si volle poi, infondatamente, di nobili natali, di gran bellezza – che poté esser vero – e di una carriera brillante di cortigiana, intrapresa undicenne, fino al bando di Gregorio XIII che volle sbarazzare Roma dalle meretrici alla vigilia del giubileo del 1575. In realtà la data di nascita che il Borromeo accoglie, il 1562, va retrocessa al 1558, sicché alla vicenda romana sarebbe arrivata quindicenne. Il successo mondano non dovette essere smagliante, e almeno non ce n’è traccia.
Ho trovato a Roma due verbali del marzo 1574, in cui gli indagati sono il «Magnificus Dominus Fortunatus de Flaminiis», e suo figlio. A domanda, il primo risponde: «Sì che alli giorni passati ci è stata una certa Caterina Senese /…/ po esser stata con me da un mese et mezzo in circa in due mesi/…/ Io li ho dato licentia / l’ho mandata via/ perché non mi piaceva il suo vivere et perché anchora è una poltrona / puttana/ che si faceva chiavare da questo et da quello /…/ Io non ho voluto mai cognoscer carnalmente la detta Cat. a nemmeno la ho mai ricercata che dovessi dormire con me nemmeno ho mai auto fantasia di farli tal cosa che si lei vuol dire tal cosa se ne mente per la gola come puttana poltrona che lei è … et mi meraviglio che io son vecchio di 68 anni et mi confesso et comunico ogni settimana… et si dice che io l’habbia date le bastonate dice mille bugie …. Io non ho fatto tal cosa quale voi me dite di haverli stracciata la cinta et di volerla sforzare…».
Che cosa dica il figlio
potete immaginarlo: «La è una puttana che faceva venire li bertoni
/ puttanieri/ per farsi chiavare in casa… Signorno che io non ho
mai chiavato detta Cat. a…». Che la Caterina denunciante sia la
Nostra, è impossibile dire.
Tornata a Siena, Caterina si impone una vita di penitente ed è accolta fra le Convertite. Finché l’avvento di Federico – è storpia, digiuna, non si lava «i piedi mai, né altra parte del corpo», si flagella… – inaugura una corrispondenza tipica e sconvolgente. È il gioco delle parti fra l’uomo dotto, committente di confessioni intime e reportage soprannaturali, e la (santa) donna dedita a un’effusione amorosa. Lui esige che lei «dica tutto». In cambio delle porzioni di aldilà che lei concede alla sua “curiosità”, le distanze di sicurezza si bruciano. «Quando io vi scrivo non posso trovare la via di fenire; sì bene non fenisco mai e mai fenisco perché Iddio è senza mai fine, e così ha da esser el mio amarvi…».
I lettori, maschi finora,
hanno trovato le lettere miserelle, o peggio. Hanno ragione quanto
alle “visioni”. Hanno torto quanto alla passione: «Perché il
grande Iddio mi conosce furicosa hami troncato l’ali»; «Sono come
lo sparviere che vive di cori / cuori/»; «Quel che scrivo mi esce
dalle viscere del core». La scrittura bruciante di lei fa da materia
grezza per quella spenta di lui, che tuttavia raschia e custodisce la
polvere assorbente delle sue lettere. Lei ama, lui prende appunti.
Il 24 ottobre Dario Pappalardo ha presentato qui un quadro che Mina Gregori ritiene l’originale Maddalena in estasi del Caravaggio. Confermandone l’opinione, Bert Treffers (nell’intervista uscita su Repubblica uscita il 2 dicembre) ha collegato la versione ritrovata alla Vannini. La connessione era già stata segnalata con forza da Maurizio Calvesi.
I portamenti e le visioni
di Caterina avrebbero fornito, per il tramite di Federico Borromeo,
un modello alla pittura di Caravaggio. In particolare, alla Madonna
della Morte della Vergine ( oggi al Louvre), fin nel dettaglio più
“scandaloso”, il ventre enfiato, che riprodurrebbe l’idropisia
della Vannini. Anche la Maddalena seduta vi richiamerebbe l’abitudine
di Caterina a star «su una bassa e piccola seggiola».
Ma un’altra Maddalena
di Caravaggio, quella della Galleria Doria Pamphili, era già seduta
su una seggiola bassa, ed era stata dipinta almeno cinque o sei anni
prima che il Borromeo sentisse parlare di lei.
Al di là delle date, è
difficile riscontrare nelle fattezze delle rosse Maddalene
caravaggesche, fedeli a se stesse, un rimando a Caterina. Calvesi
ipotizza che Caravaggio l’avesse “conosciuta” attraverso il
ritratto che ne fece nel 1606 il Vanni, su commissione del Borromeo:
lo stesso Vanni peraltro dipinge la sua Maddalena secondo tradizione,
capelli d’oro e veste rossa.
Il Borromeo teneva bensì
a farsi descrivere nei dettagli dalle sue monache quello che vedevano
(lui le chiama estasi, io li chiamo sogni, lui visioni, io pensieri,
diceva Caterina). A una di loro manderà un ritratto della Maddalena,
«fu fatto dalla serva di Dio /Caterina Vannini/ con occasione di una
visione che ella ebbe o vero a lei parve di vedere».
Ma la Maddalena descritta
nelle “visioni” di Caterina è bionda, vestita di verde, o con un
manto turchino… Treffers propone ora di traslocare il richiamo alla
Vannini morente di idropisia dalla Vergine alla Maddalena in estasi
ritrovata. «Sulla Vergine non sono sicuro… Ma nella Maddalena la
pancia gonfia appare di un naturalismo spietato, quasi crudele».
In Calvesi la pancia
gonfia (che aveva fatto pensare al modello di un’annegata, o
all’allusione alla maternità) è attribuita alla Vergine morente,
nella Maddalena diventerebbe l’attributo di un’estasi. Occorre
affidarsi a chi ha visto il quadro, dato che la fotografia non dirime
i dubbi sul ventre enfiato. Che Caravaggio si ispirasse a lei, e
anche solo ne fosse informato, sembra azzardato e oltretutto
gratuito.
Intanto la Controriforma impone che alle monache sia proibito ricevere e inviare lettere, e Federico esclama: «Benedetti quei chiostri nei cui parlatori i ragni possono stendere tranquillamente le loro tele fra le grate!». Caterina gli aveva scritto: «Aspetto in breve di rivederla a questa gratina che ogni ora mi par millanni».
La Repubblica – 14
gennaio 2015
Nessun commento:
Posta un commento