20 gennaio 2015

MISERIE UMANE




Rileggendo Marx, si trovano qui e là annotazioni che colpiscono particolarmente. Prendiamo, per esempio, questa pagina sull'economia politica del suo tempo e rapportiamola all'oggi: non c'è economista, filosofo, giornalista o politico (di destra, sinistra e centro) che non rientri in una di quelle categorie che nel 1847 il giovane Marx metteva alla berlina.

Karl Marx
Miseria dell'economia


Più il carattere antagonistico [della società] viene in luce, più gli economisti, i rappresentanti scientifici della produzione borghese, entrano in contraddizione con le loro stesse teorie; e nascono diverse scuole.

Abbiamo così gli economisti fatalisti, che nella loro teoria sono indifferenti a ciò che essi chiamano gli inconvenienti della produzione borghese, come lo sono, nella pratica, i borghesi di fronte alle sofferenze dei proletari, che li aiutano ad acquistare le loro ricchezze. In questa scuola fatalista vi sono i classici e i romantici.

I classici, come Adam Smith e Ricardo, rappresentano una borghesia che, lottando ancora contro i resti della società feudale, opera solo per epurare i rapporti economici dai residui feudali, per aumentare le forze produttive e dare un nuovo impulso all'industria e al commercio. Il proletariato, che partecipa a questa lotta, assorbito in questo lavoro febbrile, non ha che sofferenze accidentali, passeggere, che esso stesso considera come tali.

Gli economisti come Adam Smith e Ricardo, che sono gli storici di quest'epoca, hanno soltanto la missione di dimostrare come si acquisti la ricchezza entro i rapporti di produzione borghesi, di formulare in secondo luogo questi rapporti in categorie, in leggi, di dimostrare infine quanto queste leggi, queste categorie, siano, per la produzione delle ricchezze, superiori alle leggi e alle categorie della società feudale. La miseria, ai loro occhi, non è che il dolore che accompagna ogni parto, nella natura come nell'industria.

Il giovane Marx

I romantici appartengono alla nostra epoca, in cui la borghesia si trova in diretta opposizione al proletariato, in cui la miseria si produce con un'abbondanza pari alla ricchezza. Gli economisti posano allora a fatalisti annoiati, che, dall'alto della loro posizione, gettano un superbo sguardo di disdegno sugli uomini-macchine che fabbricano le ricchezze. Essi ripetono tutte le spiegazioni già date dai loro predecessori, ma l'indifferenza, che per questi era ingenuità, diviene in loro civetteria.

Viene appresso la scuola umanitaria, che si prende a cuore il lato cattivo degli attuali rapporti di produzione. Questa scuola cerca, per scarico di coscienza, di trovare almeno dei palliativi ai contrasti reali: deplora sinceramente le miserevoli condizioni del proletariato, la concorrenza sfrenata dei borghesi fra loro; consiglia agli operai di essere sobri, di lavorare bene e di mettere al mondo pochi figli; raccomanda ai borghesi di mettere nella produzione un ardore ponderato. Tutta la teoria di questa scuola si basa su interminabili distinzioni fra la teoria e la pratica, fra i princìpi e i risultati, fra l'idea e l'attuazione, fra il contenuto e la forma, fra l'essenza e la realtà, fra il diritto e il fatto, fra il lato buono e quello cattivo.

La scuola filantropica poi è la scuola umanitaria perfezionata. Essa nega la necessità dell'antagonismo; vuol fare di tutti gli uomini dei borghesi; vuole realizzare la teoria, per quel tanto che essa si distingue dalla pratica e non racchiude antagonismi. È superfluo dire che nella teoria è facile fare astrazione dalle contraddizioni che si incontrano ad ogni istante nella realtà. Questa teoria sarebbe dunque la realtà idealizzata. I filantropi vogliono insomma conservare le categorie che esprimono i rapporti borghesi, senza l'antagonismo che li costituisce e che ne è inseparabile. Essi credono di combattere sul serio la prassi borghese e sono più borghesi degli altri.


(Da: Karl Marx, Miseria della filosofia, Editori Riuniti, Roma, 1969, pp.103-106)

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