Rileggendo Marx, si trovano qui e
là annotazioni che colpiscono particolarmente. Prendiamo, per esempio, questa pagina
sull'economia politica del suo tempo e rapportiamola all'oggi: non
c'è economista, filosofo, giornalista o politico (di destra, sinistra e
centro) che non rientri in una di quelle categorie che nel 1847 il
giovane Marx metteva alla berlina.
Karl
Marx
Miseria
dell'economia
Più il carattere
antagonistico [della società] viene in luce, più gli economisti, i
rappresentanti scientifici della produzione borghese, entrano in
contraddizione con le loro stesse teorie; e nascono diverse scuole.
Abbiamo così gli
economisti fatalisti, che nella loro teoria sono indifferenti a ciò
che essi chiamano gli inconvenienti della produzione borghese, come
lo sono, nella pratica, i borghesi di fronte alle sofferenze dei
proletari, che li aiutano ad acquistare le loro ricchezze. In questa
scuola fatalista vi sono i classici e i romantici.
I classici, come Adam
Smith e Ricardo, rappresentano una borghesia che, lottando ancora
contro i resti della società feudale, opera solo per epurare i
rapporti economici dai residui feudali, per aumentare le forze
produttive e dare un nuovo impulso all'industria e al commercio. Il
proletariato, che partecipa a questa lotta, assorbito in questo
lavoro febbrile, non ha che sofferenze accidentali, passeggere, che
esso stesso considera come tali.
Gli economisti come Adam
Smith e Ricardo, che sono gli storici di quest'epoca, hanno soltanto
la missione di dimostrare come si acquisti la ricchezza entro i
rapporti di produzione borghesi, di formulare in secondo luogo questi
rapporti in categorie, in leggi, di dimostrare infine quanto queste
leggi, queste categorie, siano, per la produzione delle ricchezze,
superiori alle leggi e alle categorie della società feudale. La
miseria, ai loro occhi, non è che il dolore che accompagna ogni
parto, nella natura come nell'industria.
Il giovane Marx
I romantici appartengono
alla nostra epoca, in cui la borghesia si trova in diretta
opposizione al proletariato, in cui la miseria si produce con
un'abbondanza pari alla ricchezza. Gli economisti posano allora a
fatalisti annoiati, che, dall'alto della loro posizione, gettano un
superbo sguardo di disdegno sugli uomini-macchine che fabbricano le
ricchezze. Essi ripetono tutte le spiegazioni già date dai loro
predecessori, ma l'indifferenza, che per questi era ingenuità,
diviene in loro civetteria.
Viene appresso la scuola
umanitaria, che si prende a cuore il lato cattivo degli attuali
rapporti di produzione. Questa scuola cerca, per scarico di
coscienza, di trovare almeno dei palliativi ai contrasti reali:
deplora sinceramente le miserevoli condizioni del proletariato, la
concorrenza sfrenata dei borghesi fra loro; consiglia agli operai di
essere sobri, di lavorare bene e di mettere al mondo pochi figli;
raccomanda ai borghesi di mettere nella produzione un ardore
ponderato. Tutta la teoria di questa scuola si basa su interminabili
distinzioni fra la teoria e la pratica, fra i princìpi e i
risultati, fra l'idea e l'attuazione, fra il contenuto e la forma,
fra l'essenza e la realtà, fra il diritto e il fatto, fra il lato
buono e quello cattivo.
La scuola filantropica
poi è la scuola umanitaria perfezionata. Essa nega la necessità
dell'antagonismo; vuol fare di tutti gli uomini dei borghesi; vuole
realizzare la teoria, per quel tanto che essa si distingue dalla
pratica e non racchiude antagonismi. È superfluo dire che nella
teoria è facile fare astrazione dalle contraddizioni che si
incontrano ad ogni istante nella realtà. Questa teoria sarebbe
dunque la realtà idealizzata. I filantropi vogliono insomma
conservare le categorie che esprimono i rapporti borghesi, senza
l'antagonismo che li costituisce e che ne è inseparabile. Essi
credono di combattere sul serio la prassi borghese e sono più
borghesi degli altri.
(Da: Karl Marx, Miseria
della filosofia, Editori Riuniti, Roma, 1969, pp.103-106)
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