Giornata della memoria: “La Zona grigia” di Primo Levi è la mia lettura più difficile
L’ingresso in Lager era invece un urto per la sorpresa che portava con sé. Il mondo in cui ci si sentiva precipitare era sì terribile, ma anche indecifrabile: non era conforme ad alcun modello, il nemico era intorno ma anche dentro, il “noi” perdeva i suoi confini, i contendenti non erano due, non si distingueva una frontiera ma molte e confuse, forse innumerevoli, una fra ciascuno e ciascuno. Si entrava sperando almeno nella solidarietà dei compagni di sventura, ma gli alleati sperati, salvo casi speciali, non c’erano; c’erano invece mille monadi sigillate, e fra queste una lotta disperata, nascosta e continua. Questa rivelazione brusca, che si manifestava fin dalle prime ore di prigionia, spesso sotto la forma immediata di un’aggressione concentrica da parte di coloro in cui si sperava di ravvisare i futuri alleati, era talmente dura da far crollare subito la capacità di resistere. Per molti è stata mortale, indirettamente o anche direttamente: è difficile difendersi da un colpo a cui non si è preparati.
[…] Tuttavia al rituale d’ingresso, ed al crollo morale che esso favoriva, contribuivano più o meno consapevolmente anche le altre componenti del mondo concentrazionario: i prigionieri semplici ed i privilegiati. Accadeva di rado che il nuovo venuto fosse accolto, non dico come amico, ma almeno come un compagno di sventura; nella maggior parte dei casi, gli anziani (e si diventava anziani in tre o quattro mesi: il ricambio era rapido!) manifestavano fastidio o addirittura ostilità. Il “nuovo” (Zugang: si noti, in tedesco è un termine astratto, amministrativo; significa “ingresso”, “entrata”) veniva invidiato sembrava che avesse ancora indosso l’odore di casa sua, ed era un’invidia assurda, perché in effetti si soffriva assai di più nei primi giorni di prigionia che dopo, quando l’assuefazione da una parte, e l’esperienza dall’altra, permettevano di costruirsi un riparo. Veniva deriso e sottoposto a scherzi crudeli, come avviene in tutte le comunità di “coscritti” e le “matricole”, e con le cerimonie di iniziazione presso i popoli primitivi: e non c’è dubbio che la vita in Lager comportava una regressione, riconduceva a comportamenti, appunto, primitivi.
[…] Per quanto riguarda i prigionieri privilegiati, il discorso è più complesso, ed anche più importante: a mio parere, è anzi fondamentale. È ingenuo, assurdo e storicamente falso ritenere che un sistema infero, qual era il nazionalsocialismo, santifichi le sue vittime: al contrario, esso le degrada, le assimila a sé, e ciò tanto più quanto più esse sono disponibili, bianche, prive di un’ossatura politica o morale. Da molti segni, pare che sia giunto il tempo di esplorare lo spazio che separa (non solo nei Lager nazisti!) le vittime dai persecutori […]
I prigionieri privilegiati erano in minoranza entro la popolazione dei Lager, ma rappresentavano invece una forte maggioranza fra i sopravvissuti.
Ecco, in queste pagine, e in quelle che seguono queste righe prese dal secondo capitolo de I sommersi e i salvati, Primo Levi introduce e sviluppa il tema della “zona grigia”: una delle analisi più profonde, e disturbanti per la nostra coscienza, dell’universo concentrazionario nazista (ma non solo nazista, in fondo la zona grigia è fondamentale anche nei gulag) .
Quella zona che “separa e congiunge i due campi dei padroni e dei servi. Possiede una struttura interna incredibilmente complicata, ed alberga in sé quanto basta per confondere il nostro bisogno di giudicare”.
La zona abitata dal “prigioniero-funzionario, che invece di prenderti per mano, tranquillizzarti, insegnarti la strada, ti si avventa addosso urlando in una lingua che tu non conosci, e ti percuote sul viso”. E ti uccide se provi a reagire, a obiettare. “Il privilegio, pr definizione, difende e protegge il privilegio”.
Il capitolo “La Zona grigia” (il secondo) de I Sommersi e i Salvati è il testo più difficile da sostenere – quello sul quale occorre tornare, sempre – fra quelli scritti a proposito del dolore infinito causato dall’uomo ad altri uomini; a proposito della colpa; della possibilità di perdere tutte quelle risorse morali che ci fanno rispettare gli altri essere umani; del dubbio di poter diventare uno dei privilegiati, di coloro che stanno fra le vittime che soccombono e i carnefici che vincono e che di questi diventano complici. Per sopravvivere.
La prima volta che lessi I Sommersi e i Salvati, negli anni ’80 – forse troppo giovane per sostenerlo – abbandonai il libro, proprio nel mezzo di questo capitolo che cancella ogni alibi di ingenuità sulla condizione umana e ogni illusione sulla semplicità del giudizio morale.
Inutile dire, che si tratta di leggerlo e rileggerlo. Sempre. E parlarne ai vicini di tram, ai compagni di vita, agli ingenui che sorseggiano il caffè troppo sicuri della propria condotta morale.
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