Della storia si è sempre fatto un uso politico. E non bisogna pensare che si tratti di un costume affermatosi negli ultimi tempi. Fin dall'antichità, da Tucidide a Erodoto, da Cesare a Tacito la storia è stata scritta e usata dai vincitori. Si è arrivati persino a inventare o falsificare i documenti. Esemplere rimane, per tutte, la storia dell'imperatore Costantino usata dalla Chiesa Cattolica per legittimare il suo potere temporale. Son passati secoli, infatti, prima che un filologo come Lorenzo Valla dimostrasse la falsità della cosiddetta "Donazione di Costantino" . (fv)
Luca Kocci
L'imperatore Costantino,
la sua conversione al cristianesimo, la
battaglia di Ponte Milvio, l’Editto di Milano
costituiscono uno dei più riusciti modelli di «uso
pubblico della storia», per riprendere l’espressione
di Nicola Gallerano. Un processo con cui – scriveva
Gallerano nel volume Le verità della storia. Scritti
sull’uso pubblico del passato, manifestolibri
–, mediante i mezzi di comunicazione di massa,
la scuola, i monumenti si promuove una «lettura
del passato polemica nei confronti del senso comune
storico o storiografico» e si usa la
storia per la battaglia politica.
Complice
l’anniversario numero 1.700 della promulgazione di
quello che è spesso chiamato Editto di Milano, il 2013
appena concluso è stato costellato di iniziative
per celebrare la ricorrenza dell’evento dell’anno 313.
Mostre, francobolli, pubblicazioni, numeri
speciali di riviste anche a grande tiratura,
trasmissioni televisive che hanno contribuito
a rafforzare nell’immaginario collettivo
convinzioni tanto acquisite quanto
storiograficamente errate, ovvero che la
battaglia di Ponte Milvio fra Costantino
e Massenzio fu vinta grazie ad un sogno-visione
e che a Milano fu promulgato un editto.
Arriva allora opportuna
la pubblicazione di Costantino e le sfide
del cristianesimo. Tracce per una difficile
ricerca, curata da Stanislaw Adamiak e Sergio
Tanzarella (Il Pozzo di Giacobbe, pp. 288, euro 23).
Un volume collettivo coraggioso perché nato
all’interno di un «libero seminario» di storia
della Chiesa tenuto nell’università Gregoriana, ateneo
pontificio retto dai gesuiti, uno dei «templi»
della cultura cattolica, a cui hanno
partecipato giovani storici provenienti
da decine di nazioni, per lo più extra-europee.
E questa
è stata una delle condizioni che ha reso possibile
la realizzazione di una ricerca non viziata da
pregiudizi romanocentrici. L’altra,
necessaria in ogni ricerca, è il ritorno rigoroso
alle fonti, per disinnescare «i meccanismi
di un uso pubblico della storia del cristianesimo
e dei mascheramenti del potere che ha costruito la
figura di un Costantino cristiano al quale Dio concede
potere e protezione a cominciare da un
campo di battaglia fino all’indizione di un Concilio».
Il risultato è un libro che problematizza
la questione costantiniana, liberando il campo
da semplificazioni e falsificazioni
attorno ai nodi più discussi della vicenda di Costantino.
Come appunto l’Editto
di Milano del 313, erroneamente considerato
il primo provvedimento di tolleranza per
i culti – fra cui il cristianesimo –,
poiché già due anni prima, a Nicomedia,
l’imperatore Galerio, aveva emanato un provvedimento
grazie al quale il cristianesimo era diventato
«religione lecita». Che a Milano sia stato promulgato
un editto è dubbio, in ogni caso non dal solo
Costantino: a Milano si sono incontrati i due
«augusti» dell’epoca, Costantino e Licinio,
per discutere questioni relative «al rispetto della
divinità», successivamente diventate
norme che hanno assicurato ai cristiani la libertà
religiosa e la restituzione dei luoghi di
culto confiscati. Del resto dell’Editto non esiste
alcun testo, ma solo una lettera inviata al governatore
della Bitinia da Licinio dopo il suo arrivo a Nicomedia
nel giugno 313 in cui si fa riferimento alle
decisioni di Milano.
La vittoria
finale di Costantino, secondo la dinamica per cui la
storia viene scritta dai vincitori (le fonti
principali sono Eusebio e Lattanzio,
cristiani e costantiniani), ha oscurato la
figura di Licinio. Ed essendo Costantino il primo
imperatore ad optare per il cristianesimo,
la legislazione del 313 e successiva –
che, fra l’altro, concedeva al clero l’esenzione dal
pagamento delle tasse – si è andata configurando
come primo editto di tolleranza del primo imperatore
cristiano.
Altri due nodi,
correlati fra loro: il sogno-visione di Costantino
alla vigilia della vittoriosa battaglia di
Ponte Milvio del 312, la conversione e il
battesimo dell’imperatore. Le versioni di Eusebio
e Lattanzio non coincidono: Costantino
viene avvertito in sogno di segnare sugli scudi dei suoi
soldati il nome di Cristo, ma ha anche una visione della
croce con la scritta Hoc signo victor eris (con questo
segno sarai vincitore).
Nelle fonti non
cristiane si segnala però che due anni prima lo stesso
Costantino, in Gallia, ebbe una visione diversa: non del
Dio cristiano, ma del pagano Sol invictus accompagnato
da tre X, i successivi tre decenni di regno.
Evidente quindi una cristianizzazione
a posteriori dell’apparizione pagana. Avvalorata
dal fatto che nell’Arco di Costantino, successivo
alla battaglia di Ponte Milvio ma precedente
ai testi di Lattanzio ed Eusebio, non vi è alcun
riferimento al Dio cristiano, bensì diverse
divinità pagane e la generica iscrizione di una
vittoria instinctu divinitatis (per
ispirazione di una divinità).
Così come non vi
è alcuna evidenza storica della conversione
di Costantino, che peraltro sarebbe stato battezzato
a Nicomedia poco prima della sua morte nel 337 e non
al Laterano da papa Silvestro. Chiaro il disegno
politico: rafforzare il papato e preparare
la strada alla (falsa) Donazione di Costantino –
l’imperatore convertito concedeva al papa il
potere sull’Italia –, fondamento del potere
temporale e dello Stato pontificio.
Più che alla fede cristiana, allora, quella di Costantino
è una conversione alla Chiesa, alleata dell’impero
e utile al consolidamento del proprio
potere.
Il Manifesto – 7 marzo
2014
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