Man mano che progrediscono le ricerche, sempre meno il Medioevo
appare quella cupa epoca buia di cui ci hanno
parlato a scuola. Le poesie di Giovanni Scoto Eriugena testimoniano di
come già nel IX secolo le dispute teologiche sapessero talvolta
colorarsi di ironia.
Maria Bettetini
Scoto
Eriugena Giovanni, poeta del vino
«Qui giace Incmaro,
ladro terribilmente avaro: / questo solo fece di nobile, il fatto che
morì». Lo sberleffo di un giullare di corte? Uno stornello
studentesco? No, un epitaffio anticipatorio di un grande pensatore
del IX secolo, scritto contro l'arcivescovo di Reims ancora
allegramente in vita (per questo "anticipatorio").
La ragione del contendere
è un argomento che tuttora danna filosofi e teologi e tuttora divide
i credenti, il tema della predestinazione e del libero arbitrio.
Giovanni l'Irlandese, quindi Scoto o Eriugena, scrisse diversi
componimenti poetici, alcuni in latino, altri in greco. Quasi tutti
di occasione, trattano di argomenti ardui, come la discesa agli
Inferi di Cristo, o la sua resurrezione, ma anche di amenità
quotidiane, dall'importanza del vino in ordine alla socializzazione
alle ruggini personali, per esempio quella contro Incmaro.
La traduzione e la cura
di Filippo Colnago, autore anche di un volume sul tema, permette un
accesso facilitato a testi comunque complessi, sia per gli intrecci
argomentativi che per l'alternanza di espressioni latine e vocaboli
greci. Un unicum nella letteratura, come decisamente particolare è
l'autore, che grazie a queste poesie sembra più vicino all'umanità,
meno perso tra le altezze delle quattro nature, o dei testi
dionisiani. Giovanni è un monaco nato in Irlanda, allora denominata
Scotia maior per differenza con la Scotia minor, l'attuale Scozia.
Sappiamo molto poco della
sua vita, collocata indicativamente tra l'810 e l'877. Sappiamo che
si definì l'Eriugena, nato (dal greco gen) in Irlanda (Eriu), ma non
sappiamo dove acquisì lo stupefacente bagaglio di erudizione e di
conoscenza del latino e del greco: forse in una scuola monastica
irlandese, forse solo in terra francese, dove comunque giunse poco
prima dell'850. Andò dapprima a Laon, cittadina in Piccardia, che
radunava già numerosi studiosi irlandesi. Qui proseguì la sua
formazione, per poi essere chiamato a corte e subito coinvolto nella
disputa sulla predestinazione proprio da colui che sbeffeggerà nel
distico citato prima, Incmaro.
Il dissapore successivo è
dovuto alla presa di distanza di Incmaro rispetto alla tesi di
Giovanni, che riteneva fonte dell'errore eretico solo l'ignoranza
delle artes, in particolare della dialettica, e la poca o nulla
conoscenza della lingua greca. Uno schiaffo ai chierici, forse più
attenti alla politica che intenti allo studio.
Non si deve però pensare
che Giovanni rappresenti una luce isolata in un contesto di
abbrutimento. Da qualche decennio, infatti, gli interventi di Carlo
Magno prima e poi di suo figlio Ludovico il Pio avevano garantito una
vivace ripresa degli studi, con particolare attenzione alle arti
liberali. Già la cultura tardo antica, con Agostino, Boezio,
Cassiodoro, Marziano Capella (con le Nozze di Filologia e Mercurio,
di grande fortuna medievale), aveva definito le artes gradini verso
la sapienza, anche la sapienza teologica, ove non fosse direttamente
infusa da Dio, come di solito non era. Per i carolingi si trattò
dunque di riconnettere tra loro cammini noti, attraverso
l'istituzione di scuole (monastiche e cattedrali, dove potevano
accedere anche laici) e la schola per eccellenza, quella palatina.
L'aspetto interessante di
questa era poi il fatto di essere una scuola sì di corte, ma non "di
palazzo", perché la corte carolingia non si tratteneva a lungo
nella stessa città. Quali che fossero i motivi politici di tale
vagabondare, e ce ne furono tanti, dal punto di vista culturale non
si può che prendere atto delle origini lontane dei programmi di
scambio e incontro come il nostro Erasmus. Carlo Magno raccolse
intorno a sé i migliori tra ispanici, franchi, germanici, italiani.
Suo nipote Carlo il
Calvo, decisamente più colto del nonno geniale ma analfabeta,
proseguì nel reclutamento. Fu proprio il re che affidò a Giovanni
l'Irlandese la traduzione delle opere dello pseudo-Dionigi
Areopagita, con un'apertura mentale tutta da invidiare rispetto ai
particolarismi attuali. Il re era infatti insoddisfatto della
traduzione dell'abate Ilduino, come risulta anche da uno dei carmi.
Dallo studio dell'opera
dionisiana, ancora oggi anonima ma datata con abbastanza sicurezza
nel V secolo, Giovanni Eriugena trae una lettura cristiana, poetica e
grandiosa allo stesso tempo, del neoplatonismo. Da lì, e da altre
letture dei Padri della Chiesa orientale, la struttura eriugeniana
della natura, quadruplice nel suo creare ed essere creata, ferma
nella sua razionalità e dunque nella capacità di essere compresa
dalla ragione.
Da poco è uscita per la
Fondazione Lorenzo Valla la traduzione del terzo libro delle Nature
dell'universo, dedicato al manifestarsi di Dio nella creazione dal
nulla, dove il creato è tutto "teofania". Ma torniamo alle
poesie. Certo non scorrono come i versi della Commedia, spesso
l'afflato dedicatorio ne oscura la perizia metrica. Sono comunque
carmi scritti tra l'865 e l'870, quando si poteva ancora raccogliere
l'eredità tardoantica e, paradossalmente, chi la raccoglieva erano
proprio stati periferici rispetto alla centralità di Roma.
Come si diceva, alcune
poesie introducono lavori di Eriugena, molte invece trattano temi
filosofici e teologici: spesso scritte in occasione di speciali
festività, sempre dedicate al re Carlo il Calvo, festeggiato anche
in occasione della vittoria contro il fratellastro Ludovico il
Germanico. Organizzate in base ai manoscritti che le tramandano e non
in base al contenuto, di venticinque si è certi della paternità,
mentre per altre sedici ci si attesta sulla forte probabilità.
Con il re è lodata anche la regina Ermentrude, come nel carme 4, rimangono poi alcune composizioni di carattere personale, in cui non si cela il focoso carattere dell'irlandese Giovanni: Incmaro, come sappiamo, non gli era simpatico, ma nemmeno nascondeva la profonda avversione per religioni diverse dalla propria, e addirittura per un maestro arrogante. Solo lodi invece per Bacco, purtroppo così difficile da reperire in Irlanda.
Il Sole 24 ore – 4
gennaio 2015
Giovanni Eriugena
Carmi, a cura di Filippo
Colnago
Jaca Book, 2014
€ 28,00
Giovanni Eriugena
Sulle nature
dell'universo, vol. III
Fondazione Lorenzo Valla,
- Mondadori, 2014
€ 30,00
Filippo Colnago
Poesia e teologia in
Giovanni Scoto Eriugena,
Herder Editrice, 2014
€ 48,00
Le recensioni che segnali oggi mi riguardano per diversi motivi. Prima di tutto vedere il libro della jaca book sul tuo blog mi ha portato un tuffo al cuore. Per anni sono stato socio della Jaca di Sante Bagnoli. Contribui non poco al passaggio della Jaca goliardica e ciellina (non poco coccolata da Giussani) alla Jaca editrice di livello internazionale. Fu il tempo delle grandi opere (Gli italici, i reprint vaticani con la Besler, le coedizioni con Hachette e Larusse , i libri figurati per bambini, ecc.ecc.). Poi mi vedo lo Scoto della Valla appena entrato in casa mia per appostarsi a tutte le altre edizioni della Valla dalla sua nascita compresa quella del Gregorio di Tours ritirata dall’editore. Sono legatissimo a questa collana perché non solo ha il testo a fronte, ma sia i commenti che le note raggiungono sempre l’8o per cento delle pagine dei vari volumi. Notevole l’edizione dei viaggi di Pausania (manca ancora un volume per finirli)che per anni ero costretto a consultare in inglese in greco o in latino…o in toscano... Per finire la collana medievale della Jaca (oltre 50 volumi) ti sembra una Rerum scriptores di muratoriana memoria.
RispondiEliminaHai fatto bene a segnalare le tre edizioni. Ciao
Come vedi, Onofrio, dietro le apparenze, sono più numerose le cose che ci uniscono che quelle che ci dividono!
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