01 gennaio 2015

UN RACCONTO DEL LAVORO DEI NOSTRI PADRI



Guido Baglioni racconta in modo originale la storia di coloro che  hanno costruito la  ricchezza di un Paese che ladri e politicanti stanno distruggendo.

Tiziano Treu


Novecento. Narrare la storia del lavoro operaio


Il libro di Guido Baglioni, Un racconto del lavoro salariato, non è consueto, non solo per l'autore. Le riflessioni sui problemi del lavoro attingono alle vaste conoscenze dell'autore, ma sono intrecciate con la trama di un racconto. Il riferimento al lavoro salariato non esclude la considerazione di tutte le forme di lavoro, ma vuole segnalare la particolarità del lavoro operaio. La trama è legata alla biografia e all'esperienza diretta dell'autore.
Il ricordo parte dagli anni Cinquanta in cui Baglioni, giovane studioso e già impegnato nell'esperienza sindacale, comincia a occuparsi del tema lavoro. E arriva a oggi, in cui, anziano sociologo, ricerca le fila di un periodo eccezionale della nostra storia, che segna un netto miglioramento delle condizioni di gran parte del mondo del lavoro, e arriva alla "sorpresa" della crisi, con il blocco della crescita economica e l'aumento drammatico della disoccupazione e della povertà.

Per questo il racconto del lavoro salariato alterna approcci diversi e può suggerire riflessioni utili per lettori curiosi, non necessariamente specialisti. Si trovano analisi puntuali dei principali passaggi del nostro dopoguerra, a cominciare dalla ricostruzione e dalle ideologie che lo hanno accompagnato, e dai protagonisti collettivi, partiti politici, sindacati, imprenditori, ma anche il mondo cattolico.

I primi due capitoli ricostruiscono le vicende dei principali orientamenti politici del primo dopoguerra; il declino dell'ideologia marxista "del riscatto", con le particolarità del nostro partito comunista e della sua base operaia; l'influenza della dottrina sociale della Chiesa sul mondo del lavoro, non solo subordinato ma autonomo (coltivatori diretti e artigiani) di cui l'autore rileva la continuità di ispirazione, pur nella evoluzione dei contenuti sui temi critici del conflitto e della laicità del sindacato; l'evoluzione del movimento socialdemocratico nel "periodo d'oro", dal primo dopoguerra fino agli anni Settanta; l'azione "complessa e imponente" della Dc come partito popolare.

Soprattutto con riferimento a quel periodo l'autore formula un giudizio "impegnativo", ritenendo che per l'azione riformista di questi movimenti l'Italia sia andata configurando come una variante del capitalismo europeo, per il ruolo dello Stato nell'economia, per la costruzione del sistema di welfare e per l'azione riformista del sindacato. Anzi esprimeva tendenze non molto differenti da quelle socialdemocratiche, pur con i limiti di una «socialdemocrazia imperfetta, nella quale l'economia sociale di mercato proviene da culture che non amano (spontaneamente) il mercato, lo accettano come una istituzione non eludibile più di tanto, lo vedono un po' più necessario con la crescita della concorrenza internazionale».
Il capitolo III analizza le diversità e i mutamenti del lavoro nella visione delle scienze sociali. Baglioni ribadisce che il lavoro salariato è stato e resta un tema fondamentale delle scienze sociali, da trattare con metodo analitico empirico, in una logica di autonomia disciplinare, incompatibile con l'approccio delle concezioni ideologiche forti, anche se i sociologi non sono indifferenti rispetto alle vicende del lavoro. Le scienze sociali sconsigliano normalmente risposte antagonistiche, «privilegiano piuttosto soluzioni parziali e ripetibili, con conflitti, con relazioni regolate fra le parti e con scambi all'interno di un rapporto sociale accettato, che può essere migliorato, ma può anche peggiorare».
Le condizioni di salute dei sindacati nei vari Paesi restano diverse. Ma un dato comune, che Baglioni sottolinea giustamente, è che «risulta assai difficile un orientamento sindacale coerente in ordine ai problemi più rilevanti, come quelli della competitività, dell'occupazione, del debito pubblico, anche per i sindacati più forti e più avvezzi a comportamenti riformisti e a proposte ragionevoli (come quelli tedeschi).

Anche i problemi degli imprenditori, le loro visioni del lavoro, e le ideologie manageriali, sono cambiati nel tempo. L'analisi delle vicende e delle teorie dell'industrializzazione conduce l'autore a considerazioni non usuali, su quella che definisce "una strana vicenda". Nella fase del capitalismo in ascesa, fino alla soglia degli anni Ottanta, la legittimazione degli imprenditori era scarsa e le critiche abbondanti. Nei decenni seguenti, crisi compresa, essi sono molto più accettati, non sono vissuti come corresponsabili delle difficoltà attuali, vengono considerati sullo stesso piano di altri gruppi sociali per i costi che essi stessi sopportano.

Il capitolo VI ripercorre le vicende del periodo per alcuni aspetti più propriamente sociologici: dei caratteri del lavoro manuale, della percezione degli operai, della trasformazione del loro stile di vita, anche nel vissuto della comunità di Gardone Val Trompia, assai ben nota per esperienza diretta dell'autore. Originale il capitolo VIII che si occupa delle attività, degli interessi e delle "distrazioni" dei salariati oltre il lavoro.

Le pagine conclusive del volume esprimono bene le criticità e le contraddizioni di questi ultimi anni, che investono «i fondamentali dei sistemi capitalistici e delle nostre credenze». Secondo Baglioni è difficile pensare alla società del benessere senza il fiorire dei mercati, ma la difesa dei mercati non è sufficiente e neppure la loro regolamentazione, se non contempla due dimensioni essenziali per una economia sociale: l'occupazione e le relazioni industriali consensuali e partecipative.

Non manca il richiamo alle grandi risorse del patrimonio storico culturale e naturale che l'Italia può mobilitare per la sua ripresa e per stare al passo con i Paesi europei più avanzati. Ma per questo «dobbiamo diventare più seri, più organizzati, più affidabili, compiere scelte prioritarie e misurare i loro risultati, estendere la coscienza civica, favorire l'emergere di una nuova classe dirigente (non solo politica) meno avida e inconcludente. Per tutto ciò sarebbe necessario l'apporto di energie e volontà, individuali e collettive, private e pubbliche, fervide come negli anni della ricostruzione post bellica».
Il Sole 24 ore – 28 settembre 2014

Guido Baglioni
Un racconto del lavoro salariato
il Mulino, 2014
21,00

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