Nei Fuochi d'artificio
rivive un rito antico. Dai primi falò alla notte di San Silvestro
c’è un unico filo conduttore: il desiderio di scacciare la paura
della fine e voltare pagina.
Marino Niola
Fuochi
Quando l’anno gira l’angolo, gli uomini giocano col fuoco. Per scacciare la paura della fine e fare luce sul nuovo inizio. Non a caso il Capodanno è il più antico dei rituali umani. Dai falò comunitari dei nostri lontani progenitori ai botti di San Silvestro si snoda un lungo filo che attraversa i millenni.
Quando l’anno gira l’angolo, gli uomini giocano col fuoco. Per scacciare la paura della fine e fare luce sul nuovo inizio. Non a caso il Capodanno è il più antico dei rituali umani. Dai falò comunitari dei nostri lontani progenitori ai botti di San Silvestro si snoda un lungo filo che attraversa i millenni.
Ancor prima dell’invenzione della polvere da sparo e dell’arte pirotecnica si usava festeggiare i passaggi tra una stagione e l’altra facendo fuoco e rumore, con tutti i mezzi disponibili. Tamburi, sonagli, pentole, coperchi, martelli tutto ciò che era buono per produrre un frastuono assordante. Che aveva la funzione di spaventare e allontanare le forze del male, oggi diremmo le energie negative. Mentre i roghi purificatori servivano a bruciare i residui dell’anno vecchio, ma anche a illuminare il cammino di quello nuovo. Anche per questo la notte di fine anno tradizionalmente ci si liberava delle robe usate, per alleggerirsi del peso del passato e chiudere il conto con il tempo. Una sorta di bilancio consuntivo prima di voltare pagina. Anno nuovo, vita nuova.
Sono gesti scaramantici e propiziatori che continuiamo a ripetere anche oggi quando accendiamo una girandola, facciamo brillare un bengala, tiriamo un petardo, esplodiamo una castagnola. O incolliamo agli auguri un emoticon pirotecnico che lancia stelline fosforescenti. Per esprimere il calore e il colore degli affetti. Un modo per far divampare la festa, insomma. In fondo quella del fuoco è una passione elementare, un basic instinct che ci portiamo dietro da quando Prometeo rubò la prima scintilla agli dèi e la donò ai mortali, facendone il simbolo stesso dell’umanità e della civiltà. Ecco perché dalla fiamma delle Vestali alle fiaccolate per la pace il passo è meno lungo di quel che sembra.
Con la modernità il
potere propiziatorio della luce e del chiasso viene ereditato dai
giochi pirotecnici. Che mettono insieme fuoco e rumore in una
miscela esplosiva che trasforma il rituale scaccia guai in una
forma d’arte. Una poetica notturna che dà al cielo il colore
dei nostri desideri e la forma delle nostre speranze.
I primi a sparare botti sono stati i Cinesi che già nell’anno mille, al tempo della dinastia Sung, cominciano a festeggiare le svolte del calendario e i compleanni degli imperatori con lo sfolgorio della polvere nera.
Ma la nuova arte si trasferisce ben presto nella vecchia Europa dove nascono delle vere e proprie scuole di fuochisti. Come quelle gloriose dell’Italia rinascimentale. Grande tecnica artigianale e altrettanto grande teoria. Anche in versione scoppiettante, infatti, il made in Italy è sempre lui. Il senese Vannoccio Biringuccio, autentico genio della metallurgia e maestro di balistica, capo dell’artiglieria apostolica e artefice del mastodontico cannone Liofante, una proboscide di piombo che gitta palle a distanze fino ad allora impensabili, è passato alla storia per avere scritto nel 1540 il trattato “Della Pirotecnia ovvero arte del fuoco”, dove codifica l’abbiccì dell’esplosione gioiosa. E proprio “macchine di gioia” vengono chiamate nei secoli successivi le architetture effimere che servono da supporto ai fuochi d’artificio. Talmente amate da popolo e potenti che a progettarle sono chiamati architetti come Michelangelo Buonarroti, Pietro da Cortona e Gian Lorenzo Bernini.
Ideatore della famosa
Girandola, che trasforma Castel Sant’Angelo in una sorta di
vulcano balenante e fiammeggiante. Altrettanto spettacolari sono i
Vesuvi che Luigi Vanvitelli, l’architetto della settecentesca
reggia di Caserta, fa eruttare con tanto di lapilli e nubi ardenti
durante le sontuose feste di Carlo III di Borbone. In fondo
un’eruzione è un artificio della natura.
Ma il più grande inno
all’arte pirotecnica lo mette sullo spartito Georg Friedrich
Händel, il fiammeggiante musicista barocco che, nel 1749, viene
incaricato da re Giorgio II d’Inghilterra di scrivere le musiche
per celebrare la pace di Aquisgrana. Nasce così la stupefacente
suite per i “Reali fuochi d’artificio”, un autentico
capolavoro della storia della musica. Che è stato eseguito
solennemente anche il primo giugno 2002 per festeggiare i
cinquant’anni di regno della regina Elisabetta. Nozze d’oro
con sound and light show
.
Bruciare il tempo per guadagnare altro tempo. È questo, in sostanza, il senso millenario del nostro capodanno. Perché fuoco e rumore, luce e suono sono i più antichi simboli anti-spread. Ieri come oggi, infatti, servono a far quadrare i conti ed eliminare il debito che la società ha accumulato con se stessa e con gli altri. Insomma è un modo per manifestare la volontà di andare avanti e di superare le crisi. E del resto la parola crisi (dal greco krino) significa proprio differenziare. Svoltare. Dare un taglio al passato. Per andare sparati verso il futuro. Col botto.
Bruciare il tempo per guadagnare altro tempo. È questo, in sostanza, il senso millenario del nostro capodanno. Perché fuoco e rumore, luce e suono sono i più antichi simboli anti-spread. Ieri come oggi, infatti, servono a far quadrare i conti ed eliminare il debito che la società ha accumulato con se stessa e con gli altri. Insomma è un modo per manifestare la volontà di andare avanti e di superare le crisi. E del resto la parola crisi (dal greco krino) significa proprio differenziare. Svoltare. Dare un taglio al passato. Per andare sparati verso il futuro. Col botto.
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