01 aprile 2014

CHE FINE HA FATTO LA LOTTA DI CLASSE?



Da http://cedocsv.blogspot.it/ questa mattina prendo un pezzo che fa davvero pensare:
 
A Genova i lavoratori della Piaggio di Sestri P. aggrediscono i rappresentanti sindacali dei lavoratori della Piaggio di Finale L. perchè forse l'azienda chiuderà l'impianto di Genova e salverà quello di Savona. Questo in una categoria considerata d'avanguardia (i metalmeccanici) e con un sindacato (la FIOM genovese) egemonizzata da un partito (Lotta comunista) che si dice internazionalista, ma non riesce ad unire neppure i lavoratori di due stabilimenti divisi da 50 Km. A Vado L. la magistratura blocca una centrale elettrica superinquinante e i lavoratori (e i loro rappresentanti) invece di denunciare la logica del profitto che sta dietro la distruzione del territorio, non trovano di meglio che prendersela con ambientalisti e magistrati, accusati (come nel caso dell'ILVA di Taranto) di causare con la loro azione la perdita di posti di lavoro. Per trovare una lucida (una volta avremmo detto “di classe”) analisi dell'attuale congiuntura europea dobbiamo sfogliare le pagine del borghesissimo e confindustriale Corriere della sera. E questo la dice lunga sul collasso della sinistra italiana.

Giuseppe Sarcina

La lotta di classe che divide l'Europa


Impossibile andare avanti. Impossibile tornare indietro. Ma anche lo status quo è insostenibile. Conclusione: L'Europa è in trappola . Questo è il titolo dell'ultimo libro di Claus Offe, 73 anni, uno dei più importanti intellettuali tedeschi, già professore all'Università Humboldt di Berlino e oggi docente di Sociologia politica nell'Università Hertie School of Governance sempre nella capitale.

Sarebbe sbagliato, però, inserire questo breve saggio, pubblicato dal Mulino (pp. 102, e 10), nella folta schiera di omelie funebri in memoria del progetto europeo. Offe, studioso con ascendenze marxiste, sensibile alla lezione di Jürgen Habermas sul deficit di legittimità delle istituzioni occidentali, prova a indicare come superare la «contraddizione fondamentale» che imprigiona la Ue.
In linea di principio, sostiene l'autore, tutti concordano su ciò che bisognerebbe fare con urgenza, tanto nel Nord quanto nel Sud dell'Europa.

I Paesi più solidi, a cominciare dalla Germania, dovrebbero accettare di mettere a fattore comune il debito dell'intera Unione Europea. Nel concreto significherebbe chiedere ai cittadini tedeschi, olandesi o finlandesi di concorrere a coprire le passività accumulate negli ultimi vent'anni nei bilanci pubblici italiani, greci, spagnoli.

Di converso le autorità degli Stati «periferici», appunto Grecia, Spagna, Portogallo e Italia, dovrebbero imporre misure severe per aumentare la competitività del sistema economico, partendo dalla riduzione del costo del lavoro che vuol dire produrre di più a parità di salario oppure, brutalmente, produrre le stesse cose, ma con retribuzioni minori.

Ma, argomenta Offe, sia la «mutualizzazione» del debito pubblico che la riduzione del costo del lavoro, si sono dimostrate politicamente impraticabili tanto nel centro quanto nella periferia dell'Unione europea. Anzi la loro semplice evocazione ha favorito la crescita tumultuosa delle formazioni anti-europeiste. Con motivazioni opposte, ma in un certo senso complementari. Nel Nord Europa lo slogan ricorrente è: mai più regali ai Paesi mediterranei. Nel Sud, invece, si proclama: basta con l'austerity e dunque basta con «l'euro germanico».

Sul piano politico l'Europa è assediata da forze tra loro contrastanti, ma oggettivamente alleate e con un obiettivo comune. Il sociologo tedesco richiama i successi elettorali di Alleanza per la Germania e, soprattutto, del Movimento 5 Stelle. Entrambi i raggruppamenti chiedono la dissoluzione di «questa» Europa. I primi paventando la fine dell'Eden tedesco, travolto dal dissesto mediterraneo. I secondi pronosticando l'asfissia dell'Italia per l'eccesso di rigore finanziario imposto dalla Germania di Angela Merkel.

La domanda, dunque, dovrebbe essere questa: i partiti anti-europei (definizione forse più precisa di quella troppo generica di «populisti») saranno davvero in grado di distruggere la costruzione di Bruxelles? Il libro di Offe fornisce solo una risposta indiretta: tocca alle formazioni tradizionali europeiste (popolari, liberaldemocratici, socialisti, verdi) cambiare il paradigma della contesa politica. E qui Offe mette in campo l'analisi economica, ripercorrendo i dati sugli squilibri strutturali all'interno della Ue (disavanzi commerciali e dei bilanci pubblici) per concludere, un po' marxianamente, che lo scontro non è tra nazioni. La Germania «contro» la Grecia; l'Olanda «contro» la Spagna o l'Italia. Bensì tra classi sociali.

Il sociologo tedesco fa un solo esempio, ma è più che sufficiente: «Ogni anno i greci ricchi trasferiscono 40 miliardi di euro fuori dal Paese sui loro conti in Svizzera o altrove». I grandi partiti storici tedeschi, francesi o olandesi avrebbero, dunque, il dovere di distinguere tra la Grecia degli evasori e quella dei disoccupati. Ma, osserva con amarezza Offe, non è così: questo slittamento dei grandi partiti, questa «miseria politica» impedisce di riformare le istituzioni comunitarie, di adottare i provvedimenti che servirebbero. Spetta, dunque, agli schieramenti politici tradizionali liberare l'Europa dalla trappola, cessando, innanzitutto, di rincorrere gli avversari.

È una conclusione cui giunge anche Michele Salvati, economista e politologo, che firma la presentazione del volume di Offe. In chiave italiana Salvati si «stupisce» che esista qualcuno che seriamente proponga «la catastrofe» cioè il ripudio dell'euro, come via d'uscita dalla crisi. L'unica strada, osserva concordando con il collega tedesco, «è la speranza di un risveglio di serietà, di concretezza e di orgoglio nel mondo della politica».

Il Corriere della Sera - 27 Marzo 2014  

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