04 aprile 2014

Che fine hanno fatto gli intellettuali?


«Che fine hanno fatto gli intellettuali?» di Enzo Traverso per ombre corte. Una limpida e critica ricostruzione storica di una figura chiave della modernità.


Benedetto Vecchi

Il silenzio dei sapienti


Negli Stati Uniti i semi­nari di Judith Butler fanno il tutto esau­rito, men­tre teo­rici «post­co­lo­niali» come Homi Bha­bha e Gaya­tri Cha­kra­vorty Spi­vak sono vere e pro­prie «star» nei cam­pus sta­tu­ni­tensi. Tutti loro però hanno un'influenza risi­bile nei movi­menti sociali nel Nord e nel Sud del pia­neta. Sono certo letti, discussi, ma quando si tratta di agire poli­ti­ca­mente le loro opere sono lasciate alla cri­tica rodi­trice dei topi. 
È que­sta la sin­tesi di uno dei pas­saggi che rias­su­mono il volume Che fine hanno fatto gli intel­let­tuali? (ombre corte, pp. 103, euro 10), libro inter­vi­sta a Enzo Tra­verso, uno degli sto­rici con­tem­po­ra­nei che ha scelto di essere un «cer­vello in fuga» (è stato ricer­ca­tore e docente prima a Parigi e adesso alla Cor­nell Uni­ver­sity di Ithaca negli Stati Uniti). Ha scritto libri impor­tanti sul Nove­cento — A ferro e fuoco (Il Mulino) e Il secolo armato (Fel­tri­nelli) – e sulla cul­tura ebraica (La fine della moder­nità ebraica, Fel­tri­nelli).

In que­sto volume affronta la crisi di una figura cen­trale nella sto­ria della moder­nità, l'intellettuale, sia nella sua decli­na­zione come intel­let­tuale orga­nico, intel­let­tuale spe­ci­fico e maî­tre à pen­ser. Una rifles­sione, la sua, che aiuta a com­pren­dere come la «fab­brica del con­senso» pro­duce opi­nione pub­blica nelle società con­tem­po­ra­nee, con la scena occu­pata appunto dagli opi­nion makers, men­tre gli intel­let­tuali sono tor­nati a eser­ci­tare la fun­zione ancil­lare verso il potere costi­tuito, come d'altronde testi­mo­nia l'esperienza dei nou­veaux phi­lo­so­phes e dei loro epi­goni, che in nome dell'universalismo dei diritti umani hanno legit­ti­mato guerre impe­riali e il domi­nio dell'ideologia del libero mercato.

UNA TRAMA CHE VIENE DA LONTANO

L'autore con­cen­tra la sua ana­lisi sui motivi del per­ché una figura così fami­liare nelle cro­na­che del lungo Nove­cento ha ormai una posi­zione mar­gi­nale sulla scena pub­blica. Non essendo più orga­nico a una classe sociale o a un par­tito, l'intellettuale deve sem­mai «deco­struire» l'ordine del discorso domi­nante in asso­luta auto­no­mia e indi­pen­denza da ogni potere eco­no­mico o poli­tico. In que­sta con­no­ta­zione del suo agire pub­blico nulla però è con­cesso a una visione ari­sto­cra­tica della loro pre­senza in società: l'intellettuale deve con­ti­nuare a pren­dere posi­zione, anche se quando lo fa non ha nes­sun «com­pa­gno di strada» al suo fianco.

Nella rico­stru­zione sto­rica pre­sen­tata in que­sto volume, il Nove­cento è, oltre che il secolo del movi­mento ope­raio, anche il secolo degli intel­let­tuali che, abu­sando di una espres­sione dive­nuta tri­viale per l'uso che ne è stato fatto nel recente pas­sato, «sono scesi in campo», si sono schie­rati, mani­fe­stando punti di vista «par­ti­giani». Nel cer­care la genesi della loro poli­ti­ciz­za­zione tesse una trama che parte da lon­tano, da quei passi della Repub­blica di Pla­tone, dove il filo­sofo greco indi­cava nei sapienti il com­pito di illu­mi­nare la caverna dove vive­vano gli uomini, ma insi­ste a con­cen­trare l'attenzione sul punto di svolta costi­tuito dagli enci­clo­pe­di­sti fran­cesi. È con loro che gli intel­let­tuali abban­do­nano il back­stage del tea­tro poli­tico, dismet­tendo così i logori abiti del con­si­gliere del principe.

Gli enci­clo­pe­di­sti met­tono infatti a dispo­si­zione del «pub­blico» il loro sapere affin­ché le neb­bie della super­sti­zione e del pre­giu­di­zio dell'ancient regime lascino il posto al domi­nio della ragione. Ma anche in que­sto caso non è il caso di par­lare di intel­let­tuale in senso moderno. Certo, alcuni filo­sofi, mate­ma­tici, fisici, archi­tetti, inge­gneri par­te­ci­pano diret­ta­mente alla Rivo­lu­zione fran­cese, ma è con l'«affaire Drey­fus» che entra in scena l'intellettuale moderno. È infatti in quell'occasione che gli intel­let­tuali danno vita a una cam­pa­gna poli­tica con­tro chi tira le fila del potere. 
E poche frecce al loro arco hanno coloro che, pochi decenni dopo, denun­ciano, come Julian Benda, que­sto «tra­di­mento dei chie­rici», invi­tando let­te­rati e filo­sofi a tor­nare a scri­vere e pen­sare al riparo delle cose ter­rene. La spinta a que­sta poli­ti­ciz­za­zione degli intel­let­tuali viene da una suc­ces­sione di «eventi» che hanno reso il Nove­cento il secolo del «ferro e del fuoco»: il primo con­flitto mon­diale, la rivo­lu­zione russa, il fasci­smo, il nazi­smo, il new deal sta­tu­ni­tense, la decolonizzazione.
Baj, Il pianto degli anarchici

DA SAR­TRE A GRAMSCI

Una sto­ria nota. Merito di Enzo Tra­verso è di sot­to­li­neare il fatto che intel­let­tuali pub­blici non sono stati solo quelli schie­rati con i par­titi comu­ni­sti o socia­li­sti, ma anche stu­diosi raf­fi­nati, non­ché espres­sa­mente con­ser­va­tori, come il fran­cese Ray­mond Aron o il tede­sco Tho­mas Mann di Con­si­de­ra­zione di un impo­li­tico.Altret­tanto impor­tante è la sua con­te­sta­zione dell'immagine cari­ca­tu­rale del maî­tre à pen­ser, che per il secondo dopo­guerra è coin­ciso con il volto di Jean-Paul Sar­tre, un filo­sofo col­pito da una dam­na­tio memo­riae che lo ha dipinto come l'incarnazione dell'intellettuale asser­vito al tota­li­ta­ri­smo e sim­bolo di un «chie­rico» asser­vito a un potere tota­li­ta­rio che ha rinun­ciato ad eser­ci­tare il diritto di cri­tica. 
Tra­verso ricorda, invece, che Sar­tre era sì un filo­sofo impe­gnato, ma che non ha mai rinun­ciato alla libertà di cri­ti­care anche «la sua parte». Non è stato mai orga­nico a nes­sun par­tito, anche se Tra­verso resti­tui­sce bene l'articolazione dell'intellettuale orga­nico pro­po­sta da Anto­nio Gram­sci nei «Qua­derni dal car­cere». Anche qui, nulla è con­cesso alle let­ture ridu­zio­ni­ste e cari­ca­tu­rali che sono state fatte della figura gramsciana.

Ma se il maî­tre à pen­ser e l'intellettuale orga­nico non godono buona salute, quello spe­ci­fico di Michel Fou­cault sta cono­scendo con eguale inten­sità lo stigma che ha col­pito l'impegno poli­tico. Va ricor­dato che per il filo­sofo fran­cese, l'intellettuale spe­ci­fico era l'esito di un pro­cesso di poli­ti­ciz­za­zione che ha inve­stito non solo gli stu­diosi uma­ni­sti, ma anche le disci­pline tecnico-scientifiche. 
Gli esperti, gli scien­ziati sono anch'essi diven­tati il «vet­tore» attra­verso il quale viene pro­dotta l'opinione pub­blica, per­ché la scienza e la tec­no­lo­gia sono rite­nuti por­ta­trici di verità ogget­tive: l'esatto con­tra­rio di quanto scri­veva Fou­cault sugli intel­let­tuali spe­ci­fici, dive­nuti ele­menti cri­tici pro­prio della pre­tesa ogget­ti­vità della scienza e della tec­no­lo­gia, dive­nute nel tempo com­po­nenti del bio­po­tere nelle società capi­ta­li­ste «mature».

LA DIA­LET­TICA RIMOSSA

C'è un pas­sag­gio del libro che l'autore non appro­fon­di­sce e che forse potreb­bero spie­gare l'attuale mar­gi­na­lità degli intel­let­tuali. È quando accenna ai lavo­ra­tori della cono­scenza e alla loro con­di­zione di pre­ca­rietà. Poche righe lasciate lì sospese, quando potreb­bero diven­tare la leva di una ana­lisi spre­giu­di­cata dell'industria cul­tu­rale, il rimosso di que­sto volume, per­ché la sua esi­stenza pone nuovi ele­menti per ana­liz­zare il declino degli intel­let­tuali. 
Eman­ci­pati dal rap­porto con il potere poli­tico per la loro ripro­du­zione in quanto gruppo sociale, gli intel­let­tuale dipen­dono eco­no­mi­ca­mente pro­prio dall'industria cul­tu­rale. Da que­sto punto di vista la denun­ciata deriva di una loro ridu­zione a figure sala­riate fatta nella Dia­let­tica dell'illuminismo da Adorno assume una inat­tesa attualità.

Adorno indi­cava nell'industria cul­tu­rale il potere mani­po­la­to­rio delle coscienze e indi­cava nell'autonomia dell'intellettuale la via mae­stra per una cri­tica della realtà, omet­tendo la pro­gres­siva tra­sfor­ma­zione degli intel­let­tuali in lavo­ra­tori sala­riati. Allo stesso tempo, Edward Said, altra figura cen­trale in que­sto libro, scri­veva che tale atti­tu­dine cri­tica andava mani­fe­stata anche in assenza di una classe sociale o di un par­tito di rife­ri­mento. 
 Nell'era dell'informazione, la cri­tica all'ordine del discorso domi­nante si accom­pa­gna a una presa di parola sulla pro­pria con­di­zioni di sala­riati — anche se tal­volta lau­ta­mente retri­buiti — dell'industria cul­tu­rale. Solo così, il declino dell'intellettuale può favo­rire lo svi­luppo di quell'intellettuale col­let­tivo tanto caro ad Anto­nio Gramsci.

Il Manifesto – 4 aprile 2014

Enzo Traverso
Che fine hanno fatto gli intel­let­tuali?
Ombre corte, 2014
euro 10


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