10 aprile 2014

IL PAPA INCONTRA IL TEOLOGO DELLA LIBERAZIONE FREI BETTO


Ci ha riportato alla memoria la storia tristissima dei trotskisti che in piena perestrojka chiedevano a Gorbacev la riabilitazione di Trotsky. Finì prima l'Unione Sovietica. Speriamo che questa volta vada meglio.

Paolo Rodari

Il Papa tentato dal teologo ribelle “Riabilitare Giordano Bruno”
Frei Betto, religioso brasiliano domenicano, fra i teologi della liberazione più famosi al mondo, autore di un celebre libro intervista con Fidel Castro di cui è amico, già assessore del programma Fome Zero (Fame Zero) del primo Governo Lula (autore di “Quell’uomo chiamato Gesù” Emi), è stato ricevuto ieri da Papa Francesco a casa Santa Marta.

Di cosa avete parlato?

«Da teologo domenicano gli ho chiesto di riabilitare ufficialmente Giordano Bruno, condannato al rogo dall’Inquisizione cattolica, e Meister Eckhart, contemporaneo di Dante, condannato anch’egli dalla Chiesa per eresia. La Chiesa può finalmente ridare loro la dignità perduta, può riabilitarli. E fare giustizia. Ho chiesto questo a papa Francesco perché ritengo che il tempo sia finalmente propizio in questo senso. Sono convinto infatti che, come Tommaso d’Aquino, i loro scritti superino i secoli e siano un contributo fondamentale alla teologia mistica. Giordano Bruno aveva una visione panteistica del mondo, era un umanista importante ma i suoi scritti sono un contributo da valorizzare. La Chiesa era spaventata da lui e non viceversa. Fu un martire e occorre riconoscerlo».

Papa Francesco cosa le ha risposto?

«Che ci pregherà. E ha chiesto anche a noi di pregarci sopra. E così faremo, sperando che una riabilitazione arrivi presto. Sono contentissimo di non aver ricevuto una risposta negativa. È davvero un Papa capace di ascoltare le istanze di tutti, senza chiusure né pregiudizi. Per questo non posso che ringraziarlo».


Frei Betto

















Ha parlato col Papa della teologia della liberazione?

«Certo, prima però gli ho detto che ho letto la sua lettera recentemente inviata alle comunità di base. Il Papa diceva che le comunità di base, a lungo bistrattate dalle gerarchie, sono un movimento nella Chiesa cattolica. Io gli ho detto che non sono un movimento, ma sono la Chiesa, un modo d’essere all’interno della stessa Chiesa, una realtà radicata internamente e non a essa esterna, non un corpo estraneo. E che loro per prime non desiderano essere considerate un movimento estraneo. Quanto alla teologia della liberazione, gli ho detto che il Papa deve essere per tutta questa teologia un padre amoroso, come di fatto egli già è. Noi teologi della liberazione siamo figli della Chiesa. Per troppo tempo ci hanno considerato corpi estranei. Invece siamo parte della Chiesa».

Jorge Mario Bergoglio a Buenos Aires era sempre dalla parte dei poveri e degli ultimi. Avete parlato del suo passato, del tempo trascorso a Buenos Aires da arcivescovo?

«Certamente. Francesco ha a cuore i poveri da sempre. Gli ho citato una frase in latino: “Extra pauperum nulla salus (senza poveri non c’è salvezza)”. E lui mi ha detto di essere del tutto d’accordo, annuendo soddisfatto. Sono i poveri e gli ultimi la forza della Chiesa, la luce del mondo. Insieme abbiamo parlato delle sofferenze degli indigeni, delle popolazioni locali. Francesco ritiene che in America Latina gli indigeni siano sfruttati e non amati. Egli soffre per e con loro. Il Papa ha detto di volere una Chiesa dei poveri e per i poveri. E per lui queste non sono parole ma vita vissuta».


La Repubblica – 10 aprile 2014

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