Come doveva essere
bello il mondo classico a colori, vivo come la sua poesia e la sua
musica. Quello che conosciamo noi (e che pure amiamo) ne è solo una
pallida copia. In bianco e nero e senza colonna sonora.
Eva Cantarella
Rosso per le
stoffe e ocra sui templi, così gli antichi vedevano il mondo
Resteremmo
trasecolati, oggi, se apparissero davanti a noi — portati da
una macchina del tempo — un’opera d’arte, un edificio,
un’intera città antica. Siamo troppo abituati a pensare
l’antico come un film in bianco e nero. Dico antico qui,
meglio specificarlo, pensando alla Grecia o a Roma. Siamo
troppo abituati a immaginarle prive di ogni colore: bianche le
statue, grigi i muri... Solo gli affreschi romani (quando non
sono andati distrutti dal tempo e dall’incuria) si salvano da
questa monocromia. La pittura greca, non essendo su muratura,
purtroppo non ci è arrivata.
Ma sto parlando
solo della Grecia e di Roma, come dicevo: assai minore sarebbe
la sorpresa se dovessimo trovarci di fronte a opere di altre
civiltà antiche: ad esempio quella egizia, i cui colori a
partire dall’Ottocento sono noti. Ma fino a non molto tempo
fa, quando si pensava all’antico si pensava solo ai greci e
ai romani (spesso pensati solo come imitatori dei greci). Gli
altri popoli non interessavano, non erano «classici».
E nel mitico
neoclassico costruito nel Settecento da Winckelmann i classici
erano immacolati nella loro eterna «purezza», mai contaminata
dal colore: le statue greche erano di marmo chiaro, dunque,
possibilmente pario. Solo i romani, meno «puri», le avevano a
volte in parte colorate.
E anche se oggi
questo modo di pensare l’antico è cambiato, a noi continua a
restare negli occhi l’immagine di un mondo i cui colori sono
quelli che vediamo nei musei, nelle esposizioni e in quel che
resta dell’architettura. Un mondo diverso, dunque, molto
diverso da quel che era.
Sia i greci sia
i romani amavano i colori. Li amavano e li usavano molto.
Allora — sia detto per inciso — questi venivano ricavati
dal mondo animale, vegetale e minerale (il rosso, ad esempio,
si ricavava generalmente da un miscuglio di ossido di ferro e
di argilla dalla grana molto sottile). Ma questo non significa
che non se ne usasse una notevole varietà, in gran parte
prodotta in loco, ma anche importata: azzurro, rosso, verde,
giallo, ocra e bruno, in varie tonalità, per non parlare
dell’oro, rendevano vivi gli edifici pubblici, le case, i
templi, le vie, animate anch’esse delle vesti colorate dei
passanti, soprattutto se di sesso femminile.
E così
dovremmo sforzarci di vederli, oggi, gli antichi, quando ne
visitiamo i resti: usando l’immaginazione, così che il
passato non ci sembri il residuo, bello ma inutile, di un mondo
morto, così lontano da noi da essere ininfluente sul nostro
presente e il nostro futuro.
Conoscere gli antichi come
realmente erano, anche visivamente, ci aiuta a capirci e a
progettare il domani di cui abbiamo tanto bisogno.
Il Corriere della sera –
3 aprile 2014
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