03 aprile 2014

LA POLITICA DEGLI ANNUNCI




La politica dell’annuncio è politica. Produce fatti e conseguenze politiche”. Non c'era bisogno di un illustre notista per capire quello che almeno di tempi dei discorsi del Duce era chiaro a tutti. Le parole (anche quelle a vuoto) producono fatti, che siano poi fatti positivi è tutto da vedere.

Antonio Polito

Il castello degli annunci

La politica dell’annuncio è politica. Produce fatti e conseguenze politiche. Non è solo marketing. Se un annuncio convince dieci milioni di italiani che dal giorno dopo le Europee staranno un po’ meglio, non solo vanno meglio le Europee, ma cresce anche l’indice di fiducia delle famiglie, e si può sperare in più consumi e investimenti.

Tony Blair visse per l’intera prima legislatura sull’onda degli annunci: si chiamavano white paper , riforme annunciate, date in pasto alla stampa, digerite dal pubblico come cambiamenti epocali, e poi dimenticate. Ma tirarono su il morale di una nazione depressa dal post-thatcherismo. Mentre fu solo quando dagli annunci passò ai provvedimenti che Gerhard Schröder perse le elezioni, per aver davvero rifatto il welfare tedesco e salvato la Germania dal declino economico.

Ma il problema di Renzi, come ha notato ieri il Financial Times , è che i suoi giorni non ricordano neanche pallidamente gli anni ruggenti di Blair e Schröder. I quali danzarono su un’era di espansione e di crescita. Mentre Renzi si deve calare nella peggiore recessione del dopoguerra.

La politica dell’annuncio di Renzi è l’opposto di quella praticata dal suo predecessore. Quando Letta voleva fare una cosa, prima cercava il consenso dei tecnici e della sua maggioranza, e poi procedeva col minimo comun denominatore. Quando Renzi vuole fare una cosa, prima l’annuncia e poi chiede ai tecnici e alla sua maggioranza di realizzarla. In questo modo Letta produsse uno sconto fiscale di 18 euro al mese per i redditi bassi e Renzi ne produrrà uno da 80 euro al mese. Si direbbe dunque che funziona.

Non c’è però bisogno di essere un gufo, un rosicone, un disfattista (o come altro si chiama oggi chi si permetta di coltivare l’arte liberale del dubbio) per capire che tutto ciò comporta dei rischi. Questa tattica, che nel ciclismo si chiama «dell’elastico» (uno in testa scatta a ripetizione, e il gruppo deve accelerare per stargli dietro) ha i suoi limiti: se l’elastico si allunga troppo, si spezza.

Fuor di metafora: Renzi ottiene ciò che vuole minacciando ogni volta di andarsene. Siccome oggi a nessuno conviene che se ne vada, la spunta. Ma prima o poi a qualcuno converrà, e i termini dell’equazione cambieranno. Per questo l’esperimento Renzi dipende così tanto dal risultato delle Europee.

In secondo luogo bisogna considerare l’effetto boomerang che potrebbe derivare da una inflazione degli annunci. In Europa, dove è essenziale essere creduti quando offriamo riforme in cambio di flessibilità. Ma anche in Italia, dove si vive in uno stato di sospesa incertezza, come in un castello delle fiabe, e tutti attendono di capire, prima di agire, se Renzi riuscirà a fare tutto ciò che dice, o solo una parte, e come.

Facciamo l’esempio del lavoro. Se un imprenditore può assumere, oggi sta sicuramente aspettando l’esito del braccio di ferro tra governo e sinistra parlamentare sull’unico decreto fin qui varato, che rende più facili i contratti a tempo determinato. E poi aspetterà di vedere se il disegno di legge seguente, il Jobs Act propriamente detto, lo contraddirà, restaurando un contratto unico a tempo indeterminato. Del resto è già successo che aspettative generate da Renzi siano cadute: quella di ricavare maggiori risorse dalle pensioni, per esempio, o dalla lotta all’evasione.

Il governo è quindi giunto a un momento cruciale. A metà mese ci saranno le tabelle del Def, numeri vincolanti. Gli annunci sono stati tutti fatti, e da qui alle Europee bastano e avanzano. Ora serve che diventino leggi e provvedimenti. Come in ogni storia d’amore, alla seduzione deve seguire l’atto.


Il Corriere della sera – 3 aprile 2014

Nessun commento:

Posta un commento