Ancora un
bell'articolo su Jacques Le Goff. A lui - oltre a Marc Bloch, Fernand Braudel e tutta la scuola delle Annales -
dobbiamo la comprensione del concetto di lunga durata che contrassegna ogni momento storico.
Marina
Montesano
L'età
infinita del Medioevo
Ha
suscitato qualche focolaio di polemica
anche agli inizi del 2014, Jacques Le Goff, ormai
novantenne, quando è uscito un suo breve libro
(Faut-il vraiment découper l’histoire en
tranches?, per ora pubblicato solo in
Francia) nel quale riproponeva un concetto
che era andato sviluppando in tanti anni di studi:
quello di un «medioevo lungo» che rovesciava le
categorie storiografiche
dell’Ottocento, epoca nella quale il suo conterraneo
(e peraltro ammirato) Jules Michelet aveva
«inventato» il termine Renaissance,
«Rinascimento», presunta cesura fra il
millennio dei secoli bui e la nostra
modernità; concetto che sarebbe stato ripreso,
ampliato, portato al suo massimo sviluppo dal
grande Jakob Burckhardt nella sua monumentale
Civiltà del Rinascimento in Italia.
La lunga durata
Dalle pagine del
Corriere della Sera, in quell’occasione, uno
studioso legato a una visione essenzialmente
storicista qual è Giuseppe Galasso
aveva ribadito che intorno al Quattrocento
una cesura, un inizio di ciò che chiamiamo
modernità c’è effettivamente stato,
mentre Franco Cardini, storico italiano
fra i più vicini alla visione antistoricistica
delle Annales, sosteneva con Le Goff la necessità
di superare questa idea e cogliere nella
storia la lunga durata (altra espressione venuta
fuori dal circolo delle Annales e da un altro
dei suoi massimi esponenti, Fernand Braudel)
di tanti fenomeni che siamo abituati a pensare
come prettamente «medievali» o come
esclusivamente «moderni».
Non che
Jacques Le Goff, nato nel gennaio 1924
e scomparso ieri, fosse estraneo alla visione
ottocentesca del Medioevo; magari di quello
eroico, cavalleresco e romantico,
se è vero che uno dei suoi primi approcci con
quest’epoca gli giunse grazie alla lettura
dell’Ivanhoe di Walter Scott. Ma la sua
esperienza di storico in formazione
è venuta proprio da quella prima metà del
Novecento, tanto drammatica sotto il profilo
politico, sociale e militare quanto feconda
per gli studi storici in generale e medievistici
in particolare.
Nel 1929
Marc Bloch e Lucien Febvre avevano dato vita
alla rivista Annales d’histoire économique
et sociale, attorno alla qualle si preparava il
terreno per una grande rivoluzione sul piano
del metodo storiografico. Le Goff non poté
conoscere direttamente Bloch, fucilato
nel 1944, ma fu allievo di alcuni grandi nomi che
partecipavano al rinnovamento
di quegli anni, avendo studiato e discusso la
sua tesi con Charles-Edmond Perrin, Maurice
Lombard, lo stesso Braudel, nonché con lo
storico belga Henri Pirenne.
Questi
primi passi, compiuti nella Francia di Vichy, li
ha ricordati lui stesso nell’intervista-biografia Una
vita per la storia, uscita in Francia nel 1996
e poi tradotta anche in Italia per Laterza.
Si apprendono i suoi trascorsi
universitari a Praga, a Oxford e a
Roma, la sua convivenza non sempre facile con
l’Accademia, il suo approdo nel 1969 alla pestigiosa
direzione delle Annales, condivisa con
Emmanuel Le Roy Ladurie e l’ingresso con
compiti direttivi nell’École des hautes
études en sciences sociales a partire
dagli anni Settanta; ossia in quella fucina di idee
e di studi che ampliavano la visione
storiografica verso nuovi lidi e nuove
espressioni: la storia seriale, la storia
materiale, la storia quantitativa,
la storia delle mentalità, l’antropologia
storica.
I risultati
che ne sarebbero usciti ci possono sembrare
appartenere a indirizzi
diametralmente opposti, ma sono
comunque il portato di un unico, collettivo
sforzo di ripensamento del modo di fare storia.
Dall’intervista si apprende anche la storia di un
uomo profondamente laico e profondamente
francese, che ha trascorso l’esistenza
a interessarsi con passione di un’epoca
in cui la cultura religiosa è ovunque,
cercando di guardarla in una prospettiva
globale, mai localistica.
Modelli colti
e popolari
La storia
delle mentalità e l’antropologia storica
sono senz’altro i settori nei quali ha operato
Jacques Le Goff, raro esempio di specialista
che riesce a giostrare fra tematiche
ed epoche anche lontane tra loro. Ai primi decenni
della sua carriera appartengono opere come
Gli intellettuali nel medioevo (prima edizione
1957), La civiltà dell’Occidente medievale (prima
edizione 1964), la direzione con Pierre Nora
dell’opera collettiva Fare Storia. Una
pietra miliare è, nel 1981, il volume La nascita del
Purgatorio, monografia nella quale
sembra confluire tutto ciò che Le Goff ha
realizzato fino a quel momento.
Da una parte
la straordinaria conoscenza delle fonti
del medioevo latino e volgare, della cultura
teologica di quell’epoca, dei suoi modelli
«colti»; dall’altra il tentativo di andare
oltre tutto questo per comprendere i grandi
fenomeni culturali condivisi, il
modo in cui gli uomini e le donne di un’epoca hanno
plasmato la società in base a determinate
idee, e in che modo tali idee hanno poi condizionato
la società. In tal senso, quella di Le Goff è stata
una vera antropologia storica, secondo
la migliore lezione di Marc Bloch che invitava
a calarsi nel passato come un antropologo
si calerebbe in una civiltà «altra» rispetto
alla sua.
La storia
delle mentalità, espressione oggi poco
apprezzata e piuttosto passata di
moda, era il tentativo di cogliere questa
complessa fenomenologia. In
particolare, un tema che allo studioso
francese stava a cuore, così come a molti
altri tra anni ’60 e ’70, era il rapporto tra
società e cultura, tra stratificazione
sociale e motivi culturali, in sintesi
tra cultura dotta e popolare: un tema che una
parte della storiografia pure cresciuta
in seno alle Annales, ma con una più forte influenza
marxiana, tendeva a risolvere in
termini di dicotomia, lì dove Le Goff
preferiva prestare attenzione alla
circolazione di modelli (secondo la lezione
mai dimenticata di Jakobson e Bogatyriev)
tra ceti sociali.
Vedeva nella cultura popolare
una delle fucine creatrici, in particolar
modo per secoli — quelli del medioevo centrale —
nei quali la cultura scritta era appannaggio
dei chierici e i laici, anche quelli dei ceti
elevati, partecipavano di idee,
concezioni, modi di pensare legati a quella
che viene chiamata «cultura folklorica».
L’Europa
sorgiva
Negli anni più
tardi, Jacques Le Goff non ha mai abbandonato
queste passioni; in fondo, anche la monumentale
biografia su San Luigi (uscita nel 1996) aveva
alle spalle già degli scritti sul tema precedenti
di un paio di decenni. Ma la sua produzione più
recente mostra anche un’attenzione agli sviluppi
della storiografia contemporanea
(si vedano i suoi lavori sulla concezione del
corpo), nonché un interesse per gli sviluppi
della società tout court: a questo secondo filone
appartengono le riflessioni sull’Europa
e le sue radici, che era poi soprattutto una
riflessione per i suoi esiti politici
presenti e futuri.
Aveva
cominciato la sua vita accademica (e non
solo) in un momento in cui l’Europa si dibatteva fra
le guerre, ha fatto in tempo a sognare insieme a molti
un’Europa diversa, si è spento quando questo
sogno pare ormai sulla via del tramonto.
Il manifesto – 2 aprile
2014
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