09 aprile 2014

LE GOFF E L'INFINITO MEDIOEVO





Ancora un bell'articolo su Jacques Le Goff. A lui - oltre a Marc Bloch, Fernand Braudel e tutta la scuola delle Annales - dobbiamo la comprensione del concetto di lunga durata che contrassegna ogni momento storico.

Marina Montesano

L'età infinita del Medioevo
Ha susci­tato qual­che foco­laio di pole­mica anche agli inizi del 2014, Jac­ques Le Goff, ormai novan­tenne, quando è uscito un suo breve libro (Faut-il vrai­ment décou­per l’histoire en tran­ches?, per ora pub­bli­cato solo in Fran­cia) nel quale ripro­po­neva un con­cetto che era andato svi­lup­pando in tanti anni di studi: quello di un «medioevo lungo» che rove­sciava le cate­go­rie sto­rio­gra­fi­che dell’Ottocento, epoca nella quale il suo con­ter­ra­neo (e peral­tro ammi­rato) Jules Miche­let aveva «inven­tato» il ter­mine Renais­sance, «Rina­sci­mento», pre­sunta cesura fra il mil­len­nio dei secoli bui e la nostra moder­nità; con­cetto che sarebbe stato ripreso, ampliato, por­tato al suo mas­simo svi­luppo dal grande Jakob Burc­khardt nella sua monu­men­tale Civiltà del Rina­sci­mento in Ita­lia.

La lunga durata

Dalle pagine del Cor­riere della Sera, in quell’occasione, uno stu­dioso legato a una visione essen­zial­mente sto­ri­ci­sta qual è Giu­seppe Galasso aveva riba­dito che intorno al Quat­tro­cento una cesura, un ini­zio di ciò che chia­miamo moder­nità c’è effet­ti­va­mente stato, men­tre Franco Car­dini, sto­rico ita­liano fra i più vicini alla visione anti­sto­ri­ci­stica delle Anna­les, soste­neva con Le Goff la neces­sità di supe­rare que­sta idea e cogliere nella sto­ria la lunga durata (altra espres­sione venuta fuori dal cir­colo delle Anna­les e da un altro dei suoi mas­simi espo­nenti, Fer­nand Brau­del) di tanti feno­meni che siamo abi­tuati a pen­sare come pret­ta­mente «medie­vali» o come esclu­si­va­mente «moderni».

Non che Jac­ques Le Goff, nato nel gen­naio 1924 e scom­parso ieri, fosse estra­neo alla visione otto­cen­te­sca del Medioevo; magari di quello eroico, caval­le­re­sco e roman­tico, se è vero che uno dei suoi primi approcci con quest’epoca gli giunse gra­zie alla let­tura dell’Iva­n­hoe di Wal­ter Scott. Ma la sua espe­rienza di sto­rico in for­ma­zione è venuta pro­prio da quella prima metà del Nove­cento, tanto dram­ma­tica sotto il pro­filo poli­tico, sociale e mili­tare quanto feconda per gli studi sto­rici in gene­rale e medie­vi­stici in particolare.



Nel 1929 Marc Bloch e Lucien Feb­vre ave­vano dato vita alla rivi­sta Anna­les d’histoire éco­no­mi­que et sociale, attorno alla qualle si pre­pa­rava il ter­reno per una grande rivo­lu­zione sul piano del metodo sto­rio­gra­fico. Le Goff non poté cono­scere diret­ta­mente Bloch, fuci­lato nel 1944, ma fu allievo di alcuni grandi nomi che par­te­ci­pa­vano al rin­no­va­mento di que­gli anni, avendo stu­diato e discusso la sua tesi con Charles-Edmond Per­rin, Mau­rice Lom­bard, lo stesso Brau­del, non­ché con lo sto­rico belga Henri Pirenne.

Que­sti primi passi, com­piuti nella Fran­cia di Vichy, li ha ricor­dati lui stesso nell’intervista-biografia Una vita per la sto­ria, uscita in Fran­cia nel 1996 e poi tra­dotta anche in Ita­lia per Laterza. Si appren­dono i suoi tra­scorsi uni­ver­si­tari a Praga, a Oxford e a Roma, la sua con­vi­venza non sem­pre facile con l’Accademia, il suo approdo nel 1969 alla pesti­giosa dire­zione delle Anna­les, con­di­visa con Emma­nuel Le Roy Ladu­rie e l’ingresso con com­piti diret­tivi nell’École des hau­tes étu­des en scien­ces socia­les a par­tire dagli anni Set­tanta; ossia in quella fucina di idee e di studi che amplia­vano la visione sto­rio­gra­fica verso nuovi lidi e nuove espres­sioni: la sto­ria seriale, la sto­ria mate­riale, la sto­ria quan­ti­ta­tiva, la sto­ria delle men­ta­lità, l’antropologia storica.

I risul­tati che ne sareb­bero usciti ci pos­sono sem­brare appar­te­nere a indi­rizzi dia­me­tral­mente oppo­sti, ma sono comun­que il por­tato di un unico, col­let­tivo sforzo di ripen­sa­mento del modo di fare sto­ria. Dall’intervista si apprende anche la sto­ria di un uomo pro­fon­da­mente laico e pro­fon­da­mente fran­cese, che ha tra­scorso l’esistenza a inte­res­sarsi con pas­sione di un’epoca in cui la cul­tura reli­giosa è ovun­que, cer­cando di guar­darla in una pro­spet­tiva glo­bale, mai localistica.
Modelli colti e popolari

La sto­ria delle men­ta­lità e l’antropologia sto­rica sono senz’altro i set­tori nei quali ha ope­rato Jac­ques Le Goff, raro esem­pio di spe­cia­li­sta che rie­sce a gio­strare fra tema­ti­che ed epo­che anche lon­tane tra loro. Ai primi decenni della sua car­riera appar­ten­gono opere come Gli intel­let­tuali nel medioevo (prima edi­zione 1957), La civiltà dell’Occidente medie­vale (prima edi­zione 1964), la dire­zione con Pierre Nora dell’opera col­let­tiva Fare Sto­ria. Una pie­tra miliare è, nel 1981, il volume La nascita del Pur­ga­to­rio, mono­gra­fia nella quale sem­bra con­fluire tutto ciò che Le Goff ha rea­liz­zato fino a quel momento.

Da una parte la straor­di­na­ria cono­scenza delle fonti del medioevo latino e vol­gare, della cul­tura teo­lo­gica di quell’epoca, dei suoi modelli «colti»; dall’altra il ten­ta­tivo di andare oltre tutto que­sto per com­pren­dere i grandi feno­meni cul­tu­rali con­di­visi, il modo in cui gli uomini e le donne di un’epoca hanno pla­smato la società in base a deter­mi­nate idee, e in che modo tali idee hanno poi con­di­zio­nato la società. In tal senso, quella di Le Goff è stata una vera antro­po­lo­gia sto­rica, secondo la migliore lezione di Marc Bloch che invi­tava a calarsi nel pas­sato come un antro­po­logo si cale­rebbe in una civiltà «altra» rispetto alla sua.

La sto­ria delle men­ta­lità, espres­sione oggi poco apprez­zata e piut­to­sto pas­sata di moda, era il ten­ta­tivo di cogliere que­sta com­plessa feno­me­no­lo­gia. In par­ti­co­lare, un tema che allo stu­dioso fran­cese stava a cuore, così come a molti altri tra anni ’60 e ’70, era il rap­porto tra società e cul­tura, tra stra­ti­fi­ca­zione sociale e motivi cul­tu­rali, in sin­tesi tra cul­tura dotta e popo­lare: un tema che una parte della sto­rio­gra­fia pure cre­sciuta in seno alle Anna­les, ma con una più forte influenza mar­xiana, ten­deva a risol­vere in ter­mini di dico­to­mia, lì dove Le Goff pre­fe­riva pre­stare atten­zione alla cir­co­la­zione di modelli (secondo la lezione mai dimen­ti­cata di Jakob­son e Boga­ty­riev) tra ceti sociali.

Vedeva nella cul­tura popo­lare una delle fucine crea­trici, in par­ti­co­lar modo per secoli — quelli del medioevo cen­trale — nei quali la cul­tura scritta era appan­nag­gio dei chie­rici e i laici, anche quelli dei ceti ele­vati, par­te­ci­pa­vano di idee, con­ce­zioni, modi di pen­sare legati a quella che viene chia­mata «cul­tura folklorica».



L’Europa sor­giva

Negli anni più tardi, Jac­ques Le Goff non ha mai abban­do­nato que­ste pas­sioni; in fondo, anche la monu­men­tale bio­gra­fia su San Luigi (uscita nel 1996) aveva alle spalle già degli scritti sul tema pre­ce­denti di un paio di decenni. Ma la sua pro­du­zione più recente mostra anche un’attenzione agli svi­luppi della sto­rio­gra­fia con­tem­po­ra­nea (si vedano i suoi lavori sulla con­ce­zione del corpo), non­ché un inte­resse per gli svi­luppi della società tout court: a que­sto secondo filone appar­ten­gono le rifles­sioni sull’Europa e le sue radici, che era poi soprat­tutto una rifles­sione per i suoi esiti poli­tici pre­senti e futuri.

Aveva comin­ciato la sua vita acca­de­mica (e non solo) in un momento in cui l’Europa si dibat­teva fra le guerre, ha fatto in tempo a sognare insieme a molti un’Europa diversa, si è spento quando que­sto sogno pare ormai sulla via del tramonto.


Il manifesto – 2 aprile 2014

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