04 aprile 2014

LUNGA VITA ALLA POESIA IN TUTTE LE LINGUE !


        
LIBERTA'  E  LINGUA


LINGUA E DIALETTU
Ignazio Buttitta
Un populu
mittitilu a catina
spughiatilu
attuppatici a vucca
è ancora libiru.

Livatici u travagghiu
u passaportu
a tavula unnu mancia
u lettu unnu dormi,
è ancora riccu.

Un populo
diventa poviru e servu
quannu ci arrubbano a lingua
addutata di patri:
è persu pi sempri.

Diventa poviru e servu
quannu i paroli non figghianu paroli
e si mancianu tra d’iddi.
Mi n’addugnu ora,
mentri accordu la chitarra du dialetto
ca perdi na corda lu jornu.

Mentre arripezzu
a tila camuluta
ca tissiru i nostri avi
cu lana di pecuri siciliani.

E sugnu poviru:
haiu i dinari
e non li pozzu spènniri;
i giuielli
e non li pozzu rigalari;
u cantu
nta gaggia
cu l’ali tagghiati.

Un poviru
c’addatta nte minni strippi
da matri putativa
chi u chiama figghiu
pi nciuria.

Nuatri l’avevamu a matri,
nni l’arrubbaru;
aveva i minni a funtana di latti
e ci vìppiru tutti,
ora ci sputanu.

Nni ristò a vuci d’idda,
a cadenza,
a nota vascia
du sonu e du lamentu:
chissi no nni ponnu rubari.

Non nni ponnu rubari,
ma ristamu poveri
e orfani u stissu.
Un popolo
mettetelo in catene
spogliatelo
tappategli la bocca
è ancora libero.

Levategli il lavoro
il passaporto
la tavola dove mangia
il letto dove dorme,
è ancora ricco.

Un popolo
diventa povero e servo
quando gli rubano la lingua
ricevuta dai padri:
è perso per sempre.

Diventa povero e servo
quando le parole non figliano parole
e si mangiano tra di loro.
Me ne accorgo ora,
mentre accordo la chitarra del dialetto
che perde una corda al giorno.

Mentre rappezzo
la tela tarmata
che tesserono i nostri avi
con la lana di pecore siciliane.

E sono povero:
ho i danari
e non li posso spendere;
i gioielli
e non li posso regalare;
il canto
nella gabbia
con le ali tagliate

Un povero
che allatta dalle mammelle aride
della madre putativa,
che lo chiama figlio
per scherno.

Noialtri l’avevamo, la madre,
ce la rubarono;
aveva le mammelle a fontana di latte
e ci bevvero tutti,
ora ci sputano.

Ci restò la voce di lei,
la cadenza,
la nota bassa
del suono e del lamento:
queste non ce le possono rubare.

Non ce le possono rubare,
ma restiamo poveri
e orfani lo stesso.



***


La lingua vuol dire tutto. Tu puoi privare un uomo

della sua casa, egli sarà ancora libero; puoi togliergli

il cibo, il lavoro, la moglie, egli sarà ancora libero; ma

se gli strappi la lingua non sarà più libero.



David Maria Turoldo, Da tempo la terra trema
     


Cu la me lenga, un puc spissada,
roseada cà e là tal manic, i vai
avant, sot chistu clar di luna,
e provi a disfidà sterps e stròpis
ch’a vòlin fami pòura, fami
il sgambèt, dimi di mètimi intôr
peraulis slusignòsis, coloràdis,
intant ch’a mi cres sot i piè
un aga sporcia di fangu...
Cu la me lenga plena di vinciars,
arcassis, poi, vits, i passi pai trois
strès di chista nustra etàt...

Giacomo Vit



Con la mia lingua, un po' appuntita,
rosicchiata qua e là sul manico, vado
avanti, sotto questo chiaro di luna,
e provo a sfidare sterpi e siepi
che vogliono farmi paura, farmi
lo sgambetto, dirmi di indossare
parole luccicanti, colorate,
mentre mi cresce sotto i piedi
un'acqua sporca di fango...
Con la mia lingua densa di salici,
acacie, pioppi, viti, passo per i viottoli
stretti di questa nostra epoca...



Da http://buchi-nella-sabbia.blogspot.it/2014/04/



****



i Martial Pyrrhus e Lucretius Porphirogenitus

1 Ave Bernhard
… morte le gore, morte le campagne,
morta la morte e morta la rimorte
(un sole nero in pieno giorno guarda
sul golgota due morti ed un rimorto),
rimorti i morti e i non ancora nati,
morti i sepolti, morti gli esumati,
gli agnelli divorati, con le cagne
morte già prima di averli sbranati …

.
2 Zwei lagen in ihrem eigenen Blut
Così, Porfirogenito, ritenti
uno che non è detto agli strumenti
rinunci del poeta ma li trova
alla portata ormai della gentuccia

che ha rimosso lo stile e si contenta
di saper imitare lo stilema
e scrive poesie da deficènti
con la camera del telefonino

la chiamano la camera d’alletto
stanno a virgilio che non hanno letto
come a trotzky o bin laden sta dalema
oppure come a putin matteorenzi.

Stamani un operaio sul terrazzo
cantava a bassa voce, con affetto
un motivetto di terra lontana

per poco mi commuove ma poi attacca
a discorrere con un suo compagno
d’esser dal tempo dalle male lacche

stato costretto a vendere a un ragazzo
rumeno cui augurava mille morti
la cara BMW (sarà questa la crisi, dimmi tu)

a quel testa di cazzo (blaterava)
che presto farà fonderle il motore
maledetta la mia vitaccia dura.

Tale il tuo sax a me, poeta illuso,
mio gemello, mia autocaricatura.

.
3 Brüderlichen Schwachsinn …
Selfportait dai mille
cristalli, in Alphaville:

sopra e sotto cristiani
respiranti, si favoleggia,
anche loro, once
upon a time, e inoltre:

di animali e di piante
una ridicola morìa;

di suole di monaci
un incessante scalpiccio;

di suore gli incesti
col superiore, spacciati
per altro, e una preghiera
che sale, che sale,
ai beati, in bisbigli;

nuovi nati già morti, con figli;
il cane e il suo latrato;
la capra e il suo belato;
un brulicare di seppellitori.
C’è inoltre, extramoenia,
un cimeterino di campagna,
la somma delle grazie, se ci capiti.

(Suonavo ieri un giro di chitarra,
serrato come un cappio, sbrindellato,
affilato come una scimitarra)
(non mi ascoltavo) (nessuno lo ascoltava)

.
4 Nacht
Di notte, esaurita la voglia di ascoltare,
non tornerà il silenzio.
C’è una cappa di rombo che perdura
ed il cane, s’è un cane, che non smette
di uggiolare è un annuncio di sventura.
Ci siamo abituati. Ci giriamo su un fianco
e il letto è già un calanco dove scendere
la promessa è che lì finisce il suono.

.
5 Crossroards
Dunque: di là per sordi,
mentre nell’aldiquà c’è un gran frastuono,
compendio dei lamenti. Pure il cane
si lecca la ferita e non sa stare
senza piagnucolare. Gli acufeni
come la musica celeste delle sfere?
Pioggia di neri sangui che ticchettano
sui guanciali del sonno, l’abitacolo
di chi non tiene voce non è memore
di quei grandi frastuoni. Se disabiti,
cessa quel delicato gorgheggiare,
piomba ancora chi bussa,
accanto a te che dormi, lo spavento
che non conosce fine, dall’infanzia
a questa fine bassa. La fantasima
bussa e ribussa, chissà chi se la tira,
la funicella. Se tu. Se l’altro mondo.

.
6 Dante
Hai mai guardato gli occhi di una gatta?
Ciclici, labirintici. Io, convinto
che si nasce alla furia
dolce o sbandata del concepimento,

non lascio chi mi guardi che mi veda
oltre l’estate, risalendo alla foce,
del mille novecento trenta nove.

Un M.CM.XXX.IX, Dante è già pronto
a fare i conti sul suo calepino.
L’eterno gli serviva per vendetta

e, salmisìa, per allegorìa.
Come la tavola pitagorica
o le parole crociate il suo mondo è perfetto.

Non seppe mai imparare da una gatta.
.
7 Springfood
Lovely lovely
Flower time
Springtime springtime
Skinny line
Roaring roaring
Teethy alarm
Catfood catfood
In my mind.
(cibo per gatti, dai tempi dei king crimson,
alimento per anime dementi,
carcere e carcerato, carceriere,
faccia a faccia, per casa, struscialetto,
anime belle, anime fioriere,
amici dei nemici, con i denti
sguainati, la coda in su, miao e grrr …)

(i k.c. furono e sono, benedetti,
jazzisti medievali e progressivi,
furetti agnostici, nani maledetti
del bosco velenoso dei ’70 …)

.
8 De Catularum Dignitate
Ver iucundum
dies secundus
lapis albus
mons albanus
turnus over
niger albus
est obama
albus niger
augustinus
cuius de civitate dei
quasi fuit de deitate
civis liber fuit martial
saluberrimus porphirogenito
alter ridens alter flens
se non credit sic ut ens
talis lucifer ita martius
numquam se vehi vult altius.

.
9 Distinguere la tenebra dalla tenebra
Altero stilo
et nigro et rubro
Bernhardus fingit.

Mutatis oculis
ad unum,
et nigro et nigro.

Spectros Martial
in spiritus mutat, et feles
in aves. Felina
voce aves. Volant
ex sepulcris, erectis
auribus, sepulti.

Abbiatevi le grazie e i miagolii,
animelle gentili, vi crescano
orecchie a punta, vibrisse sconcertate
che vi guidino miti ed orientate
nel salto dalla pietra, per le scale
saturate da armonici inauditi
dalla gran massa viva, tranne che
dai gatti, fin lassù, nelle alte sfere
da cui precipitare, o se vi accomoda,
dentro le quali sedere stabiliti.

.
10 Nil
Felis non est
felici cattae catus
par necnon felix
leo feli leoni
atque non idem est
fel niger feli
tu quid intelligis?
Nil, Porphirogenite, egomet.

.
11 Paint it, black
Nulla pur’io, Marzial …vel etiam minus.
Te lo confermo, e chiamo a testimomi
Virgilio e Dante, Càtulo e Augustino,
e poi Bernhard che maledice il meo
essere il nullo e l’uno, la tua
infelicitate, e se non dice
de Dei la civitate cilestrina,
una, bina e quaterna, nonché trina,
dice per interposto la disposta
superficie spaziata, riflettente
sulla pancia di nubi in movimento
il nero degli avelli, dei porcili,
il sudiciume, ahinoi, lo sperdimento
di spiriti azzoppati, corpi vili,
paesi extramondani, cosmi nani,
etc. etc.

.
12 Qui pro lì
Di questa tua risposta
serberò i testimomi
refuso felicissimo
verace disoccultazione.

.
13 Eva
Ecco, il gatto è scoperto, come il gioco.
Foglia di fico in emme.
Mamme, testicoli, e molti mesti tomi.
A migliaia, a milioni.
Tapino Freud e le sue fissazioni,
gli spostamenti, le rimozioni.

Dicesi grip la forza di aderenza
dei copertoni sulla pista in gara.
A Napoli l’ingrippo è l’insolvenza
del fatto, lo squagliamento
del senso.

*
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(i dispari si devono al Porfirogenito
i pari al Pirro
scritto tra il 4 e l’8 luglio 2013
per la nuova edizione di

Ave Virgilio – carme
di Thomas Bernhard
pubblicata dall’editore Guanda
nei Quaderni della fenice
nella traduzione di Anna Maria Carpi)



Da http://www.nazioneindiana.com/2014/04/03/ave-bernhard-cantus-responsorius/
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