"Chissa' se i pesci piangono" è il titolo che Danilo Dolci diede al libro che raccoglie gran parte della documentazione che servì da base per il suo modello pedagogico alternativo che provò successivamente a mettere in pratica a Mirto.
Ecco come Gianni Rodari presentò il libro pubblicato da Einaudi nel 1973:
Chissà se i pesci piangono
«Tutti sappiamo – dice Danilo Dolci alle mamme di Partinico, nella prima pagina del suo nuovo libro – come è necessaria una scuola nuova.
Si potrebbe far
crescere con le idee della gente, o senza le idee della gente. Siamo qui
per domandarci quali sarebbero i consigli per questa scuola, come
sognate una scuola per i bambini vostri, come la vorreste… ».
Le mamme, dapprima
timide e disorientate, prendono via via coraggio a parlare, raramente
interrotte da una domanda, dall’invito a precisare un concetto, da una
sottolineatura. Il Socrate che coordina il dialogo, lo pungola, lo
alimenta discretamente di stimoli , non è il furbo stratega che guida i
suoi Fedoni e Fedri e Critoni per una strada nota a lui solo, perché
arrivino dove vuole lui: ha in mente una meta, la creazione di un nuovo
centro educativo, ma non vuole precisarla senza il contributo «della
gente»; ha esperienza e cultura, ma sa ripartire alla pari con
l’interlocutore più semplice, primo perché rispetta la sua esperienza e
la cultura (magari analfabeta) di cui lo sa portatore, secondo perché
pensa che la nuova istituzione avrà fondamenta più profonde se crescerà «
con la gente » e farà crescere tutti coloro che ci lavoreranno.
Quello che gli
interessa fondamentalmente è sempre un « discorso sul metodo ». Così è
stato per la diga sullo Jato. Così dev ‘ essere per la scuola nuova.
Perciò comincia col far
parlare le mamme, i padri, i bambini, i ragazzi, ai quali domanda – «Se
dovessirno costruire una casa tutta per voi, come la vorreste? » - e
dice « casa » non «scuola», rompendo col vocabolario della tradizione,
perché non vuole che i ragazzi parlino da « scolari », ma da ragazzi:
che prescindano totalmente dai modelli che conoscono, che partano da
zero, anche loro. O piuttosto non da zero, ma da sè stessi: dalle loro
esigenze e dalle loro fantasie, dalla loro capacità di reinventare il
mondo.
Le bambine di otto anni
vorrebbero una casa “grande ….larga…in campagna per prendere aria ….con
gli alberi, i fiori…..che ci mettiamo d’accordo, chi fa una cosa, chi
quell’altra cosa….ci mettiamo intorno a un tavolo, in cinque o in sei….a
tavolo rotondo, che studiamo un poco e poi andiamo in giardino….”
I ragazzi dagli undici
ai quattordici anni la vorrebbero ” vicino alla montagna e all’acqua di
un ruscello, tra molti alberi, anche con animaletti….a un unico piano,
che non si sentano i passi sulla testa; diversi gruppi, ma non troppo
vicini…” Ci vorrebbero il telescopio, il laboratorio musicale, il campo
di calcio, la biblioteca, il giornale, la radio, la televisione a
circuito chiuso. E lavorarci a gruppi, con un coordinatore a turno.
Ma il ragazzo dovrà avere anche ” il suo tempo personale”.
Il viaggio in America.
Danilo interroga gli studenti di liceo, gli insegnanti delle scuole
locali, i contadini impegnati nelle nuove cooperative.
Interroga architetti,
pittori, musicisti, sindacalisti. Farà poi anche un viaggio in America
per visitare, da Est a Ovest, decine di centri educativi nati con una
idea nuova, fuori del quadro ufficiale. Abbiamo letto gli appunti di
questo víaggio: per ogni visita una rapida informazione a uso della
memoria, rilievi positivi e negativi che si incollanano in un catalogo
di pericoli da evitare e di sentieri da tentare.
Ma la cosa più
preziosa, ad ogni pagina sono i nomi e gli indirizzi delle «persone
interessanti »: quelle che hanno una cosa da insegnare. Forse quelle che
varrà la pena di invitare al Borgo Trappeto, per continuare a
discuterci. E del viaggio nel libro non si fa ancora parola. In primo
piano vi rimangono costantemente le voci dei diretti interessati.
Soprattutto dei ragazzi. E’ con loro che va sperimentato il metodo della
ricerca. Ed ecco l’affascinante resoconto di un “seminario”, al quale
hanno partecipato venti ragazzi tra i nove e i quattordici anni,
dedicato alla “ricerca espressa attraverso la parola”.
I ragazzi scelgono di
approfondire questi argomenti: “Cosa è la noia? E la rabbia? – Incontro
con dei padri – Incontro con delle mamme – I perchè a cui vorremmo una
risposta – cosa è il dolore? E la gioia? – Quali diversi silenzi possono
esistere? “Essi convengono che ciascuno inizierà con lo scrivere un
breve autoritratto e cercherà poi di esprimere quanto vede”. In un passo
di terra , o in una persona, o in un albero, o in un animale, o in una
situazione”. Gli autoritratti sono ancora scolastici, schematici, poco
vivi. Sono scritti nella lingua dei “temi”. Tutt’altra cosa sono i
testi scritti dopo che le conversazioni e le attività comuni hanno
liberato nel gruppo le possibilità della parola, e lo stesso modo di
stare insieme e lavorare insieme ha fatto nascere un linguaggio ricco di
motivazioni interiori. Le discussioni sono coordinate, a turno, da un
ragazzo, Danilo è presente e interviene, ma alla pari, compiendo lo
stesso sforzo che agli altri è richiesto, di cercare onestamente ciò
che sa, o sente, o pensa di un argomento. Non è il Socrate che aspetta i
discepoli sul traguardo del concetto, ma il ricercatore che avanza con i
compagni, crescendo con loro, educandosi con loro.
Non è da stupire,
dunque, se la parola chiave del libro finisce per essere la bella,
antica parola eternamente legata a Socrate; la “maieutica”. Essa entra a
più riprese nel capitolo conclusivo del libro riservato alle
“indicazioni essenziali” di ciò che dovrà essere la nuova scuola; che di
scuola, però, rifiuta anche il nome, per chiamarsi “centro educativo”,
non in omaggio al concetto-moda di ”descolarizzazione”, ma per proporsi
chiaramente come alternativa alla tradizione. Il “processo maieutico
di gruppo” viene al secondo posto dopo la “scoperta
individuale”, nell’elenco dei metodi di apprendimento e sviluppo
previsti, perchè il fine è di “formare una società essenzialmente
maieutica”. L’educatore – che nella rinnovata nomenclatura sostituirà
il maestro, il professore, l’insegnante – sarà tale ” in senso
maieutico, cioè soprattutto educatore a un metodo”.
Egli è “essenzialmente
un esperto di maieutica: intesa come processo di chiarificazione teorica
e pratica di gruppo, che avviene sulla base dell’esperienza e della
intuizione di ciascuno”. Fin dai primi anni (il centro è concepito per
ragazzi dai quattro ai quattordici anni) avvierà i ragazzi del gruppo a
sperimentare come si può ricercare insieme, come ci si può comprendere,
come si può decidere insieme, come si può agire insieme: come ci si può
coordinare e come ciascuno può diventare maieuta”. Il metodo dei
metodi. E ancora: “l’impostazione maieutica” è vista come l’unica via di
scampo dal falso dilemma tra il “rapporto autoritario” (della scuola
tradizionale) e il “quasi-caos dello spontaneismo per reazione” (della
contestazione anarchica). Ma bisognerà stare attenti che “l’avvio
maieutico” non sia furbescamente utilizzato come “tecnica di
sensibilizzazione e attivazione degli interessi affinchè l’adulto possa
poi appioppare la sua lezione con più successo”. Danilo Dolci prevede e
anticipa l’obiezione più facile: “la maieutica era giustificata da
Socrate in quanto il conoscere era per lui reminiscenza di quanto aveva
già saputo”. E risponde: “occorre individuare oltre la favola socratica –
il modello socratico stesso – il nodo essenziale: come approfondire e
allargare l’osservazione, come esercitarla ed esprimerla in forme
diverse; come approfondire e valorizzare l’esperienza personale per
cercare di risolvere i problemi che la vita ci chiede di risolvere”.
All’obiezione risponde del resto, come s’è visto, l’intero libro e vi
rispondono le ” indicazioni essenziali” dalle quali il progetto del
centro educativo e dei suoi programmi risulta già sufficientemente
chiarito. Ma su questo punto non mancheranno le occasioni di tornare con
attenzione, via via che il centro prenderà vita. Ci è sembrato più
importante riferire sulla esperienza educativa della “ricerca” che
Danilo Dolci ha condotto, con i suoi collaboratori, per fare nascere
quel progetto, perchè il metodo seguito in quella “ricerca” si prefigura
come “il metodo dei metodi”, l’autentico nocciolo intorno a cui
nascerà il centro. Il frutto è diverso dal fiore ma la legge che li
forma è unica. La “legge” per Dolci è stata nella ricerca e non potrà
non essere nel centro: “cercare insieme”, ” agire insieme “.
Bisogna leggere anche
nel suo giusto significato anche questa parola; “insieme” . In una
scuola, quando si dice “insieme”, si può pensare a insegnanti e ragazzi,
nel migliore dei casi: già i bidelli restano fuori ( ma non, per
esempio, nelle scuole per l’infanzia emiliane). “Insieme”, per il nuovo
centro educativo, vorrà dire anche “insieme con la gente”.
Anche gli educatori
Danilo Dolci non li cerca soltanto tra i diplomati e i laureati. Ci sono
professori che non sono educatori, e ci sono contadini che meritano
invece quel titolo. Un settore del libro è intitolato ” educatori ” e vi
si trovano brevi, affettuosi profili, di Franco La Gennusa, che lavora
tra i contadini del consorzio irriguo dello Jato, dei musicisti Eliodoro
Sollima, Salvatore Cicero, Giovanni Perreira, Edwin Alton (un ex
farmacista inglese che da anni vive in Sicilia, con Dolci, per insegnare
il flauto dolce ai bambini); del pittore Ernesto Treccani, che a Borgo
Trappeto è di casa, del fotografo Mario Molino e ancora di artigiani,
avvocati, architetti , accanto a quelli di “professionisti
dell’educazione” come Lucio Lombardo Radice o Johann Galtung. ”
Educatori”, per Danilo Dolci sono tutte le persone che sanno aiutare
gli altri a costruirsi.
Non basta (ma è
indispensabile, naturalmente) che essi dispongano di una tecnica
corretta per insegnare quello che sanno: occorre che siano interessati
agli altri, che sappiano stare tra gli altri come una persona che
insegna e impara in ogni momento, da se stesso e da tutti. La cattedra
non fa il maestro. E nel nuovo centro educativo non vi saranno cattedre.
Gianni Rodari
L’Ora, 6 luglio 1973
"Chissà se i pesci piangono" ovvero: « discorso sul metodo »
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