03 gennaio 2014

L'INCONTRO DI RODARI CON DANILO DOLCI


"Chissa' se i pesci piangono" è il titolo che Danilo Dolci diede  al libro che raccoglie gran parte della documentazione che servì da base per il suo modello pedagogico alternativo che provò successivamente a mettere in pratica a Mirto.
Ecco come Gianni Rodari presentò il libro  pubblicato da Einaudi nel 1973:
Chissà se i pesci piangono

«Tutti sappiamo – dice Danilo Dolci alle mamme di  Partinico, nella prima pagina  del suo nuovo libro – come  è necessaria una scuola nuova.
Si potrebbe far crescere con le idee della gente, o senza le idee della gente. Siamo qui per domandarci quali sarebbero i consigli per questa scuola, come sognate una scuola per i bambini vostri, come la vorreste… ».
  Le mamme, dapprima timide  e disorientate, prendono via via coraggio a parlare, raramente interrotte da una domanda, dall’invito a precisare un concetto, da una sottolineatura. Il  Socrate che coordina il dialogo, lo pungola, lo alimenta discretamente di stimoli , non è il furbo stratega che guida i suoi Fedoni  e Fedri e Critoni per una strada nota a lui solo, perché arrivino dove vuole lui: ha in mente una meta, la creazione di un nuovo centro educativo, ma non vuole  precisarla senza il contributo «della gente»; ha esperienza e cultura, ma sa ripartire alla pari con l’interlocutore più semplice, primo perché rispetta la sua esperienza e la cultura (magari analfabeta) di cui lo sa portatore, secondo perché pensa che la nuova istituzione avrà fondamenta più profonde se crescerà « con la gente » e farà crescere tutti coloro che ci lavoreranno.
Quello che gli interessa fondamentalmente è sempre un « discorso sul metodo ». Così è stato per la diga sullo Jato. Così dev ‘ essere per la scuola nuova.
Perciò comincia col far parlare le mamme, i padri, i bambini, i ragazzi, ai quali domanda – «Se dovessirno costruire una casa tutta per voi, come la vorreste? » - e  dice « casa » non «scuola», rompendo col vocabolario della tradizione, perché non vuole che i ragazzi parlino da « scolari », ma da ragazzi: che prescindano totalmente dai modelli che conoscono, che partano da zero, anche loro. O piuttosto non da zero, ma da  sè stessi: dalle loro esigenze e dalle loro fantasie, dalla loro capacità  di reinventare il mondo.
Le bambine di otto anni vorrebbero una casa “grande ….larga…in campagna per prendere aria ….con gli alberi, i fiori…..che ci mettiamo d’accordo, chi fa una cosa, chi quell’altra cosa….ci mettiamo intorno a un tavolo, in cinque o in sei….a tavolo rotondo, che studiamo un poco e poi andiamo in giardino….”
I ragazzi dagli undici ai quattordici anni la vorrebbero ” vicino alla montagna e all’acqua di un ruscello, tra molti alberi, anche con animaletti….a un unico piano, che non si sentano i passi sulla testa; diversi gruppi, ma non troppo vicini…” Ci vorrebbero il telescopio, il laboratorio musicale, il campo di calcio, la biblioteca, il giornale, la radio, la televisione a circuito chiuso. E lavorarci a gruppi, con un coordinatore a turno.
Ma il ragazzo dovrà avere anche ” il suo tempo personale”.
Il viaggio in America. Danilo interroga gli studenti di liceo, gli insegnanti delle scuole locali, i contadini impegnati nelle nuove cooperative.
Interroga architetti, pittori, musicisti, sindacalisti. Farà poi  anche un viaggio in America per visitare, da Est a Ovest, decine di centri educativi nati con una idea nuova, fuori del quadro ufficiale. Abbiamo letto gli appunti di questo víaggio: per ogni visita una rapida informazione a  uso della memoria, rilievi positivi e negativi che si incollanano in un catalogo di pericoli da evitare e di sentieri da tentare.
Ma la cosa più preziosa, ad ogni pagina sono i nomi e gli indirizzi delle «persone interessanti »: quelle che hanno una cosa da insegnare. Forse quelle che varrà la pena di invitare al Borgo Trappeto, per continuare a discuterci. E del viaggio nel libro non si fa ancora parola. In primo piano vi rimangono costantemente le voci dei diretti interessati. Soprattutto dei ragazzi. E’ con loro che va sperimentato il metodo della ricerca. Ed ecco l’affascinante resoconto di un “seminario”, al quale hanno partecipato venti ragazzi tra i nove e i quattordici anni, dedicato alla  “ricerca espressa attraverso la parola”.
I ragazzi scelgono di approfondire questi argomenti: “Cosa è la noia? E la rabbia? – Incontro con dei padri – Incontro con delle mamme – I perchè a cui vorremmo una risposta – cosa è il dolore? E la gioia? – Quali diversi silenzi possono esistere? “Essi convengono che ciascuno inizierà con lo scrivere un breve autoritratto e cercherà poi di esprimere quanto vede”. In un passo di terra , o in una persona, o in un albero, o in un animale, o in una situazione”. Gli autoritratti sono ancora scolastici, schematici, poco vivi. Sono scritti nella lingua dei  “temi”. Tutt’altra cosa sono i testi scritti dopo che le conversazioni e le attività comuni hanno liberato nel gruppo le possibilità della parola, e lo stesso modo di stare insieme e lavorare insieme ha fatto nascere un linguaggio ricco di motivazioni interiori. Le discussioni sono coordinate, a turno, da un ragazzo, Danilo è presente e interviene,  ma alla pari, compiendo lo stesso sforzo che agli altri  è richiesto, di cercare onestamente ciò che sa, o sente, o pensa di un argomento. Non è il Socrate che aspetta i discepoli sul traguardo del concetto, ma il ricercatore che avanza con i compagni, crescendo con loro, educandosi con loro.

Gianni-Rodari
Gianni-Rodari

Non è da stupire, dunque, se la parola chiave del libro finisce per essere la bella, antica parola eternamente legata a Socrate; la “maieutica”. Essa entra a più riprese nel capitolo conclusivo del libro riservato alle “indicazioni essenziali” di ciò che dovrà essere la nuova scuola; che di scuola, però, rifiuta anche il nome, per chiamarsi “centro educativo”, non in omaggio al concetto-moda di  ”descolarizzazione”, ma per proporsi chiaramente come alternativa alla  tradizione. Il “processo maieutico di gruppo” viene al secondo posto dopo  la “scoperta individuale”, nell’elenco dei metodi di apprendimento e sviluppo previsti, perchè il fine è di “formare una società essenzialmente maieutica”. L’educatore – che nella rinnovata nomenclatura  sostituirà il maestro, il professore, l’insegnante – sarà tale ” in senso maieutico, cioè soprattutto educatore a un metodo”.
Egli è “essenzialmente un esperto di maieutica: intesa come processo di chiarificazione teorica e pratica di gruppo, che avviene sulla base dell’esperienza e della intuizione di ciascuno”. Fin dai primi anni  (il centro è concepito per ragazzi dai quattro ai quattordici anni)  avvierà i ragazzi del gruppo a sperimentare come si può ricercare insieme, come ci si può comprendere, come si può decidere insieme, come si può agire insieme: come ci si può coordinare e come ciascuno può diventare maieuta”. Il metodo dei metodi. E ancora: “l’impostazione maieutica” è vista come l’unica via di scampo dal falso dilemma tra il “rapporto autoritario” (della scuola tradizionale) e  il  “quasi-caos dello spontaneismo per reazione” (della contestazione anarchica). Ma bisognerà stare attenti che “l’avvio maieutico” non sia furbescamente utilizzato come “tecnica di sensibilizzazione e attivazione degli interessi affinchè l’adulto possa poi appioppare la sua lezione con più successo”. Danilo Dolci prevede e anticipa l’obiezione più facile: “la maieutica era giustificata da Socrate in quanto il conoscere era per lui reminiscenza di quanto aveva già saputo”. E risponde: “occorre individuare oltre la favola socratica – il modello socratico stesso – il nodo essenziale: come approfondire e allargare l’osservazione, come esercitarla ed esprimerla in forme diverse; come approfondire e valorizzare l’esperienza personale per cercare di risolvere i problemi che la vita ci chiede di risolvere”. All’obiezione risponde del resto, come s’è visto, l’intero libro e vi rispondono le ” indicazioni essenziali” dalle quali il progetto del centro educativo e dei suoi programmi risulta già sufficientemente  chiarito. Ma su questo punto non mancheranno le occasioni di tornare con attenzione, via via che il centro prenderà vita. Ci è sembrato più importante riferire sulla esperienza educativa della “ricerca”  che Danilo Dolci ha condotto, con i suoi collaboratori, per fare nascere quel progetto, perchè il metodo seguito in quella “ricerca” si prefigura come  “il metodo dei metodi”, l’autentico nocciolo intorno a cui nascerà il centro. Il frutto è diverso dal fiore ma la legge che li forma è unica. La “legge” per Dolci è stata nella ricerca e non potrà non essere nel centro: “cercare insieme”, ” agire insieme “.
Bisogna leggere anche nel suo giusto significato anche questa parola; “insieme” . In una scuola, quando si dice “insieme”, si può pensare a insegnanti e ragazzi, nel migliore dei casi: già i bidelli restano fuori ( ma non,  per esempio, nelle scuole per l’infanzia emiliane). “Insieme”,  per il nuovo centro educativo,  vorrà dire anche  “insieme con la gente”.
Anche gli educatori Danilo Dolci non li cerca soltanto tra i diplomati e i laureati. Ci sono professori che non sono educatori, e ci sono contadini che meritano invece quel titolo. Un settore del libro è intitolato ” educatori ” e vi si trovano brevi, affettuosi profili, di Franco La Gennusa, che lavora tra i contadini del consorzio irriguo dello Jato, dei musicisti Eliodoro Sollima, Salvatore Cicero, Giovanni Perreira, Edwin Alton (un ex farmacista inglese che da anni vive in Sicilia, con Dolci, per insegnare il flauto dolce ai bambini); del pittore Ernesto Treccani, che a Borgo Trappeto è di casa, del fotografo Mario Molino e ancora di artigiani, avvocati, architetti , accanto a quelli di “professionisti dell’educazione” come Lucio Lombardo Radice  o Johann Galtung. ” Educatori”, per Danilo Dolci sono  tutte le persone che sanno aiutare  gli altri a costruirsi.
Non basta (ma è indispensabile, naturalmente) che essi dispongano di una tecnica corretta per insegnare quello che sanno: occorre che siano interessati agli altri, che sappiano stare tra gli altri come una persona che insegna e impara in ogni momento, da se stesso e da tutti. La cattedra non fa il maestro. E nel nuovo centro educativo non vi saranno cattedre.

Gianni Rodari
L’Ora, 6 luglio 1973

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