Dopo Juan Gelman se ne
è andato anche Josè Emilio Pacheco, un altro “grande vecchio”
della poesia latinoamericana. Poco conosciuto in Italia, ha svolto
per mezzo secolo un ruolo centrale nel panorama letterario messicano.
Lo ricordiamo con un bell'articolo apparso sul Manifesto e con
quattro sue poesie ripescate in rete.
Francesca Lazzarato
L'ironico incedere
poetico di José Emilio Pacheco
Il quattordici
gennaio se n'è andato il suo amico e vicino di casa Juan
Gelman (entrambi vivevano nella Colonia Condesa,
a Città del Messico), del quale si definiva «lettore
intimo», e a lui, alla sua ventennale presenza nella
capitale messicana, José Emilio Pacheco aveva
dedicato la sua ultima rubrica sulla rivista Proceso,
una colonna settimanale intitolata
Inventario che per anni è stata una sorta di bussola
non solo letteraria, ma anche etica e civile per i
suoi numerosissimi e fedeli lettori. Terminato
nel pomeriggio di venerdì scorso , l'articolo era
destinato a uscire il giovedì successivo, come
sempre: e invece lo si può leggere già ora sul sito della
rivista, in memoria non solo del grande poeta argentino,
ma dello stesso Pacheco che , ricoverato sabato dopo un
banale incidente domestico, è morto domenica
«tranquillo, in pace e sulla breccia come ha sempre
desiderato», secondo le parole di sua figlia Laura
Emilia, lasciando al Messico e al mondo una
straordinaria opera poetica che ne fa uno degli
autori di lingua spagnola più importanti del
Novecento.
«Sono nato a metà di un
anno orribile, il 1939, e tuttavia non ho affrontato
i disastri della guerra. Non ho patito i bombardamenti,
le battaglie, le persecuzioni, i campi di
sterminio. Ho sperimentato tutto ciò a
distanza e non per questo ha cessato d'imprimersi in quello
che ho scritto.
Ora la violenza e la
crudeltà estreme sono il mio pane quotidiano e vivo
nel cuore di un conflitto bellico senza speranza di
vittoria. A questo si somma la vista esacerbata
della fame e della miseria nel Messico e nel mondo. A tutto
ciò, cui non smetto mai di pensare, aggiungo l'angoscia di
quanti restano senza lavoro e dei giovani che non trovano
il posto per il quale sono stati preparati. (...) E a volte
mi sento affine a Pallada, il poeta di Alessandria che
vide crollare il suo mondo e contemplò il trionfo del
cristianesimo su quanto era stato per molto tempo
greco e romano».
Così aveva detto nel
discorso di accettazione del Premio Cervantes
ricevuto nel 2009, aggiungendo che la lingua in cui
era nato era sempre stata la sua unica ricchezza. Una
ricchezza messa a frutto nel migliore dei modi, «investita»
com'è in sedici raccolte di versi (tra esse l'antologia del
2009 che riunisce quasi per intero la sua opera, Tarde o
temprano; in italiano si può leggere Gli occhi dei
pesci, una scelta di poesie curata e tradotta da Stefano
Bernardinelli per Medusa nel 2006), due romanzi (il
più famoso, Le battaglie nel deserto, vera pietra
miliare della letteratura messicana, è
uscito nel 2012 presso La Nuova Frontiera) e sei volumi di
splendidi racconti, uno dei quali, Il principio
del piacere, uscirà a breve per le edizioni Sur.
A tutto questo vanno
aggiunti saggi, magistrali traduzioni di autori come
Eliot, Schwob, Beckett, e migliaia di articoli
composti nel corso di una lunga attività
giornalistica che non riguardava solo la
letteratura e che procedeva in parallelo
a una carriera universitaria di grande
impegno e prestigio, che dal Messico lo ha
portato negli Stati Uniti e in Inghilterra.
Insieme ad altri nomi
importanti della cultura messicana, Pacheco
faceva parte della cosiddetta Generación de los 50 ,
una generazione di rottura che ha vissuto la
trasformazione di un Messico arcaico, ancora
segnato dalle ferite della guerra cristera scoppiata alla
fine degli anni Venti, in una nazione industralizzata
a tappe forzate e catapultata in una modernità
«liberista» che dilata e radicalizza
ulteriormente le diseguaglianze sociali, la
corruzione, l'intreccio profondo tra politica e
criminalità. È una nazione comunque ribollente
di cambiamenti e novità, in cui la classe media si
accosta timidamente per la prima volta all'allettante
possibilità di nuovi consumi, e si vedono
nascere le opere di un gruppo di scrittori eccezionali,
aperti a un rinnovamento linguistico e
tematico, come Juan García Ponce, Jorge Ibargüengoitia,
Carlos Fuentes, Juan José Arreola, Rosario
Castellanos, Josefina Vicens, Sergio Pitol,
Carlos Monsiváis, l'appartato e grandissimo
Juan Rulfo e molti altri, ormai in buona parte assurti al rango di
classici moderni.
Tra loro, José Emiio
Pacheco spicca per la sua capacità di interpretare e
raccontare il cambiamento: pochi romanzi,
infatti, sono capaci come Le battaglie nel deserto di
offrire il ritratto di una nazione e di una società in rapido e
tumultuoso mutazione, e di farlo attraverso un uso
ironico, affettuoso e spericolato della
lingua e della cultura popolare, filtrando il
tutto attraverso lo sguardo di un dodicenne che si
innamora perdutamente di una donna adulta.
L'adolescenza e l'infanzia,
intese come stagioni di passaggio e a loro modo
dolorose, sono del resto uno degli argomenti preferiti
del Pacheco cuentista, autore di racconti che
immancabilmente sfiorano la perfezione
e che non sono certo inferiori all'opera del Pacheco poeta,
ossessionato dallo scorrere del tempo, dalla
devastazione che l'uomo infligge alla terra, dalla
solitudine e dalla morte, e tuttavia capace,
sempre, di un continuo e sottile esercizio
di ironia che passa anche attraverso l'uso di una lingua
«parlata» , essenziale, asciutta.
Di lui, oggi, la cultura
messicana e soprattutto i lettori che lo
adoravano (una leggenda urbana dice che non potesse
camminare per la strada senza essere continuamente
fermato da persone che volevano dirgli quanto i
suoi libri fossero stati importanti per loro) ricordano
non solo la statura letteraria ma anche la
generosità, l'umorismo, la semplicità,
l'interesse per la nuova e sorprendente generazione
di scrittori che va crescendo in Messico, la fermezza
nello spendersi per le cause che riteneva giuste,
l'ansia per la terribile condizione attuale del
suo paese. «Prima Gelman e poi lui: siamo rimasti orfani
di poeti», si legge in uno dei tanti ricordi comparsi sulla
stampa messicana, dove la notizia della morte dello
scrittore occupa le prime pagine. Ma, parafrasando
proprio quanto ha scritto Pacheco alla scomparsa del poeta
argentino, si potrebbe dire che l'autore di Le battaglie
nel deserto non tornerà, eppure non se ne andrà mai.
il manifesto | 28 Gennaio
2014
ALTO TRADIMENTO
Non amo la mia patria.
Il suo fulgore astratto
è inafferrabile.
Ma (benché suoni male)
darei la vita
per dieci dei suoi luoghi,
certa gente,
porti, boschi, deserti, fortezze,
una città disfatta, grigia, mostruosa,
vari personaggi della sua storia
montagne
- e tre o quattro fiumi.
Il suo fulgore astratto
è inafferrabile.
Ma (benché suoni male)
darei la vita
per dieci dei suoi luoghi,
certa gente,
porti, boschi, deserti, fortezze,
una città disfatta, grigia, mostruosa,
vari personaggi della sua storia
montagne
- e tre o quattro fiumi.
NOTTE E NEVE
Mi affacciai alla finestra
e, al posto del giardino, trovai la notte
costellata di neve.
costellata di neve.
La neve rende tangibile il
silenzio.
È il crollo della luce e si spegne.
È il crollo della luce e si spegne.
La neve non vuole dire
nulla:
è solo una domanda che lascia cadere milioni di segni
interrogativi sopra il mondo.
è solo una domanda che lascia cadere milioni di segni
interrogativi sopra il mondo.
IN FIN DEI CONTI
Dov'è finito ciò che
accadde
e che fine ha fatto tanta gente?
e che fine ha fatto tanta gente?
Via via che passa il
tempo
ci facciamo più sconosciuti.
ci facciamo più sconosciuti.
Degli amori non è
rimasto
nemmeno un segno tra gli alberi.
nemmeno un segno tra gli alberi.
E gli amici se ne vanno
sempre.
Sono viaggiatori sui binari.
Sono viaggiatori sui binari.
Anche se uno esiste per gli
altri
(senza di loro è inesistente),
(senza di loro è inesistente),
conta soltanto la
solitudine
per dirle tutto e fare i conti.
per dirle tutto e fare i conti.
ASILO NIDO, 20
O siamo ciottoli espulsi dal mare e cadiamo
sulla spiaggia che non scegliemmo, tra sargassi
e grumi letali di petrolio. Qui c'è
la siccità che chiamano il deserto. Occorre
attraversarlo dall'alba al tramonto. Arriveremo
all'altro mare per farci ricoprire dalla morte. Intanto
il cammino è la meta e nessuno avanza da solo
e l'acqua si condivide o crepi. Non c'è
minuto che non scorra. Avanti.
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