13 gennaio 2014

LETTERATURA E SOCIETA' IRANIANA SVELATA 1 e 2



         Tramite fb ho conosciuto una ragazza iraniana che scrive poesie e racconti in un blog che ho già avuto modo di pubblicizzare in queste pagine http://flaneurpersiana.wordpress.com/ . Basta darci una veloce occhiata per rendersi conto di quanto sia superata l'immagine stereotipata che ancora oggi si ha in Occidente di quel grande Paese.
           Non mi ha, pertanto, sorpreso  leggere ieri, sull'inserto culturale del Corriere della Sera,  un articolo  che  evidenzia il grande spazio che hanno conquistato le donne  nella letteratura iraniana.
           Evidentemente, malgrado  il chador (imposto a coprire oltre al capo anche il pensiero femminile) e la censura del regime islamico, la letteratura iraniana è viva, grazie soprattutto alle donne che continuano a scrivere sia in patria che in esilio.  F.V.

Cristina Taglietti



La narrativa iraniana si svela



Donne velate e ribellione. L’Iran della letteratura non è soltanto questo. Il Paese torna ad affascinare l’Occidente, complici anche gli accenni di disgelo politico e diplomatico, con un’onda di interesse che è partita soprattutto dal cinema, grazie a registi come Abbas Kiarostami, Jafar Panahi, Majid Majidi e ora Asghar Farhadi, il cui film più recente, Il passato , ha avuto successo anche nelle sale italiane. Qui il Paese d’origine del regista rimane lontano, quasi sullo sfondo (la storia è ambientata a Parigi), ma con Una separazione , Orso d’oro a Berlino nel 2011, Farhadi aveva offerto, attraverso la storia privata di un divorzio, una lettura profonda della società iraniana.

Il primo febbraio inizia il Fajr International Film Festival, forse l’evento culturale più importante del Paese, che farà il punto su che cosa si muove dietro la macchina da presa. Tuttavia la letteratura, che a maggio ha a Teheran la sua Fiera del libro, ha ancora un po’ di strada da percorrere per uscire e affermarsi fuori dai confini. La più famosa tra gli scrittori in esilio resta senza dubbio Azar Nafisi, che in Leggere Lolita a Teheran ha raccontato la sua esperienza di docente che cerca, negli spiragli lasciati aperti dalla catechesi islamica dell’Iran postrivoluzionario, di parlare ai suoi allievi di «romanzi sconsigliati», come Il grande Gatsby , Lolita , Huckleberry Finn : in un Paese in cui il valore delle opere letterarie è strettamente connesso alla loro utilità come puntello alla teocrazia sciita. Nafisi, espulsa dall’università per essersi rifiutata di indossare il velo, ha lasciato Teheran nel 1997 per trasferirsi definitivamente negli Stati Uniti con la famiglia, così come vive a Parigi da quando aveva 25 anni Marjiane Satrapi, 44 anni, autrice di Persepolis , un’autobiografia a fumetti diventata anche film d’animazione.

Parlare di scrittori iraniani significa parlare soprattutto di scrittori della diaspora, intellettuali dalla cultura molto aperta, cosmopoliti, che scrivono spesso nella lingua del Paese in cui si sono trasferiti (come, in Italia, fanno Bijan Zarmandili e Hamid Ziarati), e guardano alle loro radici con un misto di appartenenza e denuncia. Non solo: parlare di scrittori iraniani significa parlare di scrittrici. Che sopravanzano, qualitativamente se non quantitativamente, i loro colleghi uomini. «La letteratura contemporanea è nota soprattutto attraverso i bestseller di scrittrici che raccontano un modello sostanzialmente identico di sottomissione e ribellione», dice Farian Sabahi, padre iraniano, madre italiana, giornalista e scrittrice, autrice di una Storia dell’Iran per Bruno Mondadori ma anche di un testo per il teatro intitolato Noi donne di Teheran .
«Si tratta di libri — spiega — che tuttavia spesso danno un’immagine stereotipata del Paese, simili anche nelle copertine. E che gli editori, soprattutto americani, propongono per incontrare i gusti del lettore occidentale ma che sono poco rappresentativi della realtà. Eppure esistono opere importanti, ancora da tradurre in italiano, come Savushun , letteralmente “lamento funebre”, romanzo ambientato negli anni Quaranta, scritto da Simin Daneshvan, una grande scrittrice scomparsa l’anno scorso».

Il coro femminile della diaspora si compone di voci disuguali, anche dal punto di vista letterario. Le atmosfere da grande saga si mescolano alle rievocazioni storiche e alla denuncia di una condizione di sottomissione, allo straniamento di chi vive da profugo. La mappa include nomi come Shahrnush Parsipur, nata a Teheran nel 1946, alle spalle una lunga storia di detenzione cominciata ai tempi dello scià, ora in esilio a New York (tutti i suoi romanzi sono banditi dall’Iran, alcuni sono stati tradotti in italiano da Tranchida); o Siba Shakib, laureata ad Heidelberg, in Germania, scrittrice e documentarista molto impegnata sul fronte delle difesa dei diritti delle donne (in Italia è pubblicata da Piemme); o ancora Kamin Mohammadi, giornalista, scrittrice di narrativa di viaggio (è co-autrice della guida Lonely Planet dell’Iran) che ha lasciato Teheran nel 1979, a dieci anni, e ora vive tra Londra e Firenze. Scrive in francese Nahal Tajadod, tradotta nel 2008 da Einaudi (Passaporto all’iraniana ) e ora da e/o, che ha da poco pubblicato L’attrice di Teheran , dialogo tra due donne, una nata nel 1983, nel pieno della guerra con l’Iraq, l’altra cresciuta nell’Iran dello scià.

La studiosa Anna Vanzan, a cui si deve la traduzione di libri come Il colonnello di Mahmoud Doulatabadi (Cargo) e Tre donne di Goli Taraghi (edizioni Il Lavoro) ha dedicato alle scrittrici iraniane dal XIX secolo a oggi Figlie di Shahrazàd (Bruno Mondadori), un saggio dove — in opposizione al modello Nafisi che offre ai lettori «il ritratto di un Paese politicamente martoriato, privo di una tradizione culturale e di una scena letteraria e artistica» — fa notare che proprio «l’abbondanza di autrici che di continuo appaiono consente la coesistenza di molteplici voci, capaci di offrire altrettante immagini, non solo delle donne, ma in generale del Paese dell’altipiano».

Le scrittrici in Iran costituiscono la parte maggiore del mercato, sono circa 400 quelle con almeno una pubblicazione all’attivo, con numeri che per noi sono molti alti. La tiratura in genere è di 5 mila copie, ma non sono pochi i libri che arrivano a 100 mila. «Le donne in Iran hanno sempre scritto ma — spiega Vanzan — la grande novità degli ultimi trent’anni è che adesso vengono anche pubblicate. È un mestiere consentito, un’attività domestica che non impone una presenza sociale ingombrante.
La necessità di scrivere si incontra con la necessità di leggere del pubblico femminile, si crea un legame. Diciamo che ci sono due generazioni di scrittrici nella letteratura iraniana contemporanea, quella delle trentenni e quella delle cinquanta-sessantenni». Accanto a un nome come Parinoush Saniee, il cui romanzo Quello che mi spetta è stato tradotto in tutto il mondo (in Italia da Garzanti), esiste un mondo letterario sommerso che avrebbe molto da dire anche all’estero. «Come Farkhondeh Aqai — continua Vanzan — una cinquantenne che lavora in banca, che ha saputo praticare generi molti diversi, compreso il giallo, e ha scritto un romanzo sul cambio di sesso che è sfuggito alla censura».


In Iran non si può parlare della produzione letteraria senza parlare della censura, elemento che influenza in modo significativo lo stile e la lingua del racconto. Benché negli ultimi anni le maglie si siano fatte più strette, allungando i tempi per ricevere il permesso alla pubblicazione, gli scrittori riescono spesso a dire senza dire. «Non è facile capire bene come funziona la censura», spiega l’iranista Bianca Maria Filippini che, con Felicetta Ferraro (già addetto culturale dell’ambasciata italiana in Iran) e l’antropologa Irene Chellini, ha fondato nel 2009 la casa editrice Ponte 33. «A volte i libri escono e poi vengono ritirati. La censura si applica soprattutto al sesso e naturalmente alla politica, però gli autori hanno imparato a gestire il loro modo di scrivere, usando con grande naturalezza l’ambiguità letteraria, facendone un punto di forza. È una tradizione che riguarda anche la poesia che, fino ai primi del Novecento, è stata la forma privilegiata di scrittura».

«Gli ultimi cinque anni per gli scrittori sono stati molto difficili — aggiunge Vanzan — e molti si sono autocensurati, questo spiega anche perché la produzione letteraria è stata meno intensa». Per questo c’è anche chi, pur vivendo a Teheran, pubblica all’estero, come Fereshteh Sari. Anna Vanzan ha tradotto il suo Sole a Teheran , per una piccola casa editrice di Firenze, Ed.it, che lo pubblicherà a breve. Ponte 33 pesca esclusivamente nel bacino degli autori che scrivono in persiano: la casa editrice ha iniziato con Come un uccello in volo , il romanzo di una scrittrice, Fariba Vafi, che non appartiene all’élite culturale, lontana dagli ambienti letterari della capitale. Guardia carceraria, casalinga, madre, è sempre riuscita a ritagliarsi uno spazio per la scrittura. Il suo romanzo in prima persona racconta, in forma minimalista, proprio la storia di una giovane casalinga che sogna una vita diversa ma non ha il coraggio di lasciare il Paese e la famiglia. A novembre Ponte 33 ha pubblicato Particelle , in cui la scrittrice Soheila Beski si cala nei panni di un maschio iraniano di oggi che si barcamena tra le ossessioni di una cultura millenaria e le possibilità offerte dal mondo virtuale.


Oggi la narrativa iraniana si esprime al meglio soprattutto nella forma breve, nel racconto, capace di rendere in modo più dirompente l’immediatezza degli eventi. I temi sono influenzati proprio dalla prevalenza femminile. «C’è molto intimismo, diari, bilanci esistenziali — dice ancora Filippini — in cui si riflette e ci si mette in discussione. C’è un’attenzione per gli aspetti e le relazioni familiari che partono dal privato per aprirsi, spesso, a rappresentare dinamiche sociali più ampie, ad affrontare temi come la menzogna, l’ambiguità, il non detto». È una letteratura di inizi, non di fini, in cui ci sono più domande che risposte, come emerge anche da un romanzo come Osso di maiale e mani di lebbroso dell’ingegnere Mostafà Mastur, uno degli autori contemporanei più significativi, anche se alcuni critici gli rimproverano di evitare qualunque riferimento alla situazione politica, alla repressione dell’autorità.
Mastur esplora la quotidianità di un condominio di Teheran, dove le contraddizioni irrisolte di una società in frantumi, scaraventata nel caos nonostante i continui riferimenti religiosi, trasfigurano in una dimensione universale, in una riflessione su vita e destino che oltrepassa i confini tra Oriente e Occidente. In generale, sottolinea Filippini, «c’è molta introspezione e poco confronto con l’altro inteso come l’Occidente, nonostante la società ne sia ossessionata e ne osservi i modelli soprattutto attraverso le numerose tv satellitari iraniane che hanno sede in America». Il fascino del Paese sta, in larga parte, proprio nelle sue contraddizioni. E non può che essere la letteratura il luogo privilegiato per coglierle.

Il Corriere della sera – 12 gennaio 2014

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Per chi cerca ulteriori notizie sull' IRAN odierno può essere utile leggere quanto segue: 


 - La svolta dell’Iran
Oggi un bell’articolo di Marina Forti sul sito di Pagina99,
Marina Forti, La svolta dell’Iran. In pochi mesi il presidente Rohanì ha cambiato l’atmosfera interna all’Iran, oltre alla sua immagine internazionale. Una visita a Tehran lo dimostra: dagli intellettuali agli economisti ai dissidenti, molti parlano di una “ultima chance” per uscire dall’isolamento internazionale, risollevare l’economia, ridare ossigeno a una società che soffoca

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