“LA CUCINA DELL’ANIMA”, DI GIUSEPPE CONTE E MARIA ROSA TEODORI
Trovare solo la Liguria quando si leggono certe pagine liguri di Giuseppe Conte
è impossibile, per lui è sempre il mondo intero, anche lungo una
mulattiera polverosa di sbarbariana memoria. Pure, si può provare a
sostenere il contrario: non c’è un verso di Giuseppe Conte, una prosa
che canta il mare e l’universo, e i popoli, e persino nella cucina (come
nel saggio-prefazione a questo ottimo La cucina dell’anima. 99 ricette sapienziali, uscito da non molto per Ponte alle Grazie)
e persino nelle pagine di amicizia, non c’è luce e profumo in cui non
si trovi il vento che frasca nelle fronde dei pini liguri, e il tramonto
che polverizza ogni cosa e la fa vibrare ancora un istante, e il salino
che incrosta le ringhiere e i grumi ferrosi sul mare ligure, e le
ardesie unte d’umido.
A Conte non interessa mostrare la Liguria
o nasconderla, per quelli come lui funziona alla perfezione la grande
lezione di Miguel Torga e il suo contrario: cos’è l’universale se non il
locale senza i muri? L’introduzione a questo libro inizia con i ricordi
dell’infanzia, le fettine di vitello del dopoguerra, le merende liguri,
e la cura con cui le mamme preparavano le cose, cui segue il distacco,
la cucina della libertà, gli studi, il mondo, e infine, assieme a tutto
questo, l’amore.
Perché il bello di questa introduzione è che si legge davvero come un romanzo d’amore,
e questo basterebbe già per farne un grande racconto. L’autrice del
libro (nella parte inerente alle ricette) “che per inciso, è diventata
la mia ragazza tanto tempo fa e lo è rimasta per sempre”, ci dice Conte
nel suo saggio introduttivo, e “da giovanissima presentava qualche
tratto caratteristico dell’anoressia”, è Maria Rosa Teodori,
e col tempo supererà talmente bene i suoi problemi che uno dei grandi
piacere della sua vita sarà quello di scoprire il mondo attraverso i
cibi, gli aromi, i gusti. E questo lo scopriamo anche noi.
Mito e cibo, mondo e poesia, e poi il
modo con cui oggi si mangia e si uccide non solo animali, ma anche
vegetali. E, assieme a tutto questo, tra le Categorie dei Salutisti e
dei Distratti, e i viaggi, la cucina indiana, e araba, e californiana,
non poteva che tornare a riva la Liguria. E allora Liguria da gustare,
questa fetta d’anguria, e poesia, i pranzi con i grandi amici poeti:
Mario Soldati, che non aveva trovato un vino sulle colline della Val
Nervia e si era intristito; Zeichen, con “la sua verve che spazia dalla
geopolitica alla gastronomia” e il suo desiderio incredibile (che
esprime a Maria Rosa Teodori) di bistecche impanate. E Dario Bellezza,
Milo De Angelis, e il brasato d’asino con l’amico Mario Baudino, e
Francesco Biamonti.
Quanto alle ricette, per le quali vorrei
scrivere anch’io pagine, dirò solo che sono disposte come un viaggio,
lettore e cuoco seguono una mappatura geografica. Divise in sei viaggi,
hanno per ogni viaggio un titolo. Si cucina con Tagore, col bramino. Si
cucina con un sufi. Con un taoista. Con uno sciamano. Con un druido. Con
Mosè. Persino con un vecchio marinaio.
Intervista:
1. Il libro scritto
da lei e sua moglie contiene numerosi spunti relativi non solo al cibo,
ma anche al viaggio e alla spiritualità. Da quale di questi tre centri
d’interesse è partita la vostra ricerca, e come si è dipanata?
I tre centri di interesse si intersecano,
i primi sono sicuramente il tema del viaggio e il mito, che ho sempre
inteso come un racconto delle origini che ci porta verso il sacro; il
cibo è venuto dopo, quando durante i nostri viaggi, mentre io mi
focalizzavo su mitologie ed esperienze poetiche e culturali, mia moglie
leggeva cucina e cibo come parte di quelle stesse esperienze e di quelle
stesse mitologie. C’è un nesso che lega quello che mangiamo a una
visione sacrale del cosmo. Noi occidentali lo abbiamo perduto. Non
riusciamo più neppure a immaginarlo. Ma noi, mia moglie e io, voglio
dire, non siamo mai partiti per nessun viaggio con un punto di vista
eurocentrico e filooccidentale. Siamo andati incontro a culture e mondi
spirituali diversi dal nostro col proposito di conoscerli e di
partecipare della loro saggezza. Nella saggezza dei popoli che più ci
affascinavano, il cibo conservava la sua valenza sacra, e la scoperta di
ciò è alla base del libro.
2. La scrittura è
fluida e letteraria, curata e – verrebbe da dire, visto il tema
– cucinata con gusto. Pensa che si possa stabilire un’analogia tra la
cura nella selezione e nella combinazione degli ingredienti di un piatto
e l’amorevole attenzione che richiede la scrittura di un testo
letterario?
Credo di sì. Anche la scrittura ha i suoi
ingredienti, i suoi tempi di cottura, i suoi sapori da esaltare. Ma non
ci sono ricette da seguire. Non ci sono fornelli e forni. La scrittura è
qualcosa di immateriale, per cui non conta la manualità. Nel fare un
bel piatto c’è tanta cura manuale, oltre che inventiva. Tenga conto che
io non so neppure cucinare un uovo al tegamino. Mia moglie ha invece un
talento per creare e presentare bene i piatti. Ma lei non ambisce a
essere chef (pare sia l’ambizione più diffusa, oggi), ma un’esperta di
cucine del mondo. Diciamo che il vero collante tre cucina e scrittura è
la amorevolezza del fare. Cucinare un piatto con amore, scrivere una
pagina con amore. Perché ha senso fare altrimenti?
3. Numerosi sono i riferimenti alle tradizioni (culinarie e non solo) dell’Oriente,
a cui l’ha invogliata sua moglie, mentre lei spiega che all’inizio era
più legato alle cose di casa nostra. Qual è, a oggi, il paese (o quali
sono i paesi) la cui cucina e il cui “Tutto” culturale vi affascina
maggiormente?
Io ho sempre avuto una passione per
l’Oriente, cominciata un giorno che trovai su una bancarella una copia
del Tao Te Ching. Poi ho studiato la filosofia indiana. Poi ho
cominciato il mio lungo viaggio nell’Islam, che mi ha portato a scrivere
con lo pseudonimo di Yusuf Abdel Nur e vicino alla conversione. Invece
nella mie abitudini culinarie sono sempre rimasto molto semplice, una
predilezione per la cucina materna, quella ligure, e per quella paterna,
siciliana. Mia moglie mi ha convinto a gustare tutto quello che
tradizioni lontane dalla nostra possono offrirci. Mentre provava certe
ricette, mi ha usato come cavia degustatrice. Confesso che, dopo molti
piatti indiani speziati, ho chiesto clemenza e ritorno alla pasta al
pomodoro o al pesto.
Il paese che ci affascina di più è l’India. Quello dove vorremmo tornare a vivere è la Francia. Io poi, essere polimorfo e contraddittorio, amo anche enormemente la California.
Il paese che ci affascina di più è l’India. Quello dove vorremmo tornare a vivere è la Francia. Io poi, essere polimorfo e contraddittorio, amo anche enormemente la California.
4. Così come esiste
sempre un libro più adatto di altri ad accompagnare un certo momento
della vita, si può dire lo stesso anche di particolari pietanze?
Non so. Per me certe pietanze hanno un
forte effetto consolatorio. Nel momento di sofferenza, il mio stomaco
richiede cibo, piacere. Mia moglie, al contrario, sostiene che nei
momenti di sofferenza lo stomaco deve chiudersi. Per me dunque ci sono
piatti che accompagnano l’esistenza come buoni libri o belle canzoni. La
farinata (torta di farina di ceci con cipollina verde), la torta verde,
un piatto di pasta alla Norma (con pomodoro e melanzane), due acciughe
fritte, due seppie in umido, una fetta di salmone marinato, questi sono i
miei preferiti. O forse la lista è più lunga. E poi il cioccolato.
Sempre il cioccolato. A me crea dipendenza. Come il jazz. Come la
lettura di qualche buona pagina ogni giorno.
5. Infine, dalla
lettura del testo pare potersi desumere che esiste un nesso sottile non
solo tra l’alimentazione e la salute, ma anche tra il cibo che mangiamo e
i nostri percorsi emotivi e spirituali. È veramente così? E come
succede, secondo lei?
Certamente il nesso con la salute è
importante e decisivo. Ma noi qui abbiamo voluto esplorare il nesso tra
ciò che mangiamo e i nostri percorsi emotivi e spirituali, come dice
lei, sintetizzando bene e cogliendo il senso del nostro lavoro e del
nostro libro. Mettere in relazione il cucinare, il cibarsi, con il
grande segreto della vita dell’universo.
Recensione di Marino Magliani, intervista di Giovanni Agnoloni
La cucina dell’anima. 99 ricette sapienziali, di Giuseppe Conte e Maria Rosa Teodori (ed. Ponte alle Grazie)
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