31 gennaio 2014

ALTRI FEMMINISMI



Femminismi. In due libri, un'analisi sulla creatività femminile degli anni Settanta, sfatando il luogo comune che una prospettiva di genere, nelle arti visive, non sia mai esistita in Italia.

Giovanna Zapperi

Il linguaggio oltre il rimosso



Se le Guer­rilla Girls – col­let­tivo di arti­ste tra­ve­stite da gorilla – si aggi­ras­sero per le strade Roma in que­ste set­ti­mane avreb­bero sicu­ra­mente qual­cosa da ridire sulla mostra del Palazzo delle Espo­si­zioni sull'arte a Roma negli anni set­tanta, dove le arti­ste si con­tano sulle dita di una mano, e il ruolo del fem­mi­ni­smo è rele­gato a una nota a piè di pagina. Eppure Roma negli anni set­tanta è stato il cuore pul­sante di un movi­mento che ha avuto un impatto tal­mente pro­fondo e rami­fi­cato da coin­vol­gere gli aspetti più diversi della vita sociale e della cultura.

L'arte non è di certo rima­sta illesa, come for­tu­na­ta­mente ci ricor­dano due pre­ziosi volumi pub­bli­cati recen­te­mente, tra i primi ten­ta­tivi di rileg­gere l'arte ita­liana degli anni set­tanta a par­tire da una pro­spet­tiva fem­mi­nile e fem­mi­ni­sta. La que­stione del genere appare sem­pre più chia­ra­mente come il grande rimosso della sto­ria dell'arte ita­liana del secondo dopo­guerra, dove le intense discus­sioni svi­lup­pa­tesi nel mondo anglo­sas­sone sul ses­si­smo della disci­plina hanno avuto scar­sis­sima eco.


Tra mito e istituzione

I libri di Raf­faella Perna (Arte fem­mi­ni­smo e foto­gra­fia in Ita­lia, Post­me­dia­books 2013, 112 pagine, 79 illu­stra­zioni, euro 16,90) e di Marta Sera­valli (Arte e fem­mi­ni­smo a Roma negli anni set­tanta, Biblink 2013, 250 pagine, 12 illu­stra­zioni, euro 26) affron­tano la com­ples­sità del nesso tra arte e fem­mi­ni­smo in Ita­lia por­tando alla luce una serie di sto­rie som­merse che chia­mano indi­ret­ta­mente in causa le nar­ra­zioni arti­sti­che «cano­ni­che» (leggi: maschi­li­ste) ancora for­te­mente in auge. Il primo dato che emerge con forza dalla let­tura di que­sti due libri è, infatti, la con­sta­ta­zione di un pro­cesso di rimo­zione attiva delle pre­senze fem­mi­nili nell'arte in Ita­lia. Sono almeno due i miti che risul­tano imme­dia­ta­mente sfa­tati da que­ste nuove ricer­che: quello della scarsa pre­senza fem­mi­nile e quello dell'incontro man­cato tra arte e fem­mi­ni­smo in Italia.

Con­tra­ria­mente a quanto si può desu­mere dalla mag­gior parte delle espo­si­zioni e pub­bli­ca­zioni dedi­cate all'arte di que­gli anni, le autrici attive negli anni set­tanta erano nume­ro­sis­sime, e molte di loro erano anche diret­ta­mente coin­volte nel movi­mento fem­mi­ni­sta attra­verso col­let­tivi e ini­zia­tive che pone­vano con forza i temi del fal­lo­cen­tri­smo delle isti­tu­zioni arti­sti­che e della crea­ti­vità fem­mi­nile all'interno di una rifles­sione più ampia sui rap­porti tra i sessi. Emerge, in modo chiaro, come ogni ten­ta­tivo di costruire una nar­ra­zione omo­ge­nea del bino­mio «arte e fem­mi­ni­smo» sia desti­nato al fal­li­mento, vista la mol­te­pli­cità dei modi, diretti o indi­retti, in cui i temi fem­mi­ni­sti hanno agito nelle ela­bo­ra­zioni arti­sti­che di que­gli anni.

Il secondo dato su cui vale la pena insi­stere — e che acco­muna i due volumi — è la con­sta­ta­zione della sor­pren­dente tem­pe­sti­vità delle espe­rienze ita­liane nel con­te­sto inter­na­zio­nale. Si tende troppo spesso a dimen­ti­care che l'emergere di una coscienza fem­mi­ni­sta nel mondo dell'arte è stata ovun­que un fatto mino­ri­ta­rio e mar­gi­na­liz­zato per­ché entrava in con­flitto con tutto quell'apparato mitico-istituzionale che met­teva al cen­tro la figura dell'artista maschile, la sua ori­gi­na­lità e viri­lità. Que­sto è vero per­sino per un paese come gli Stati Uniti, spesso evo­cato come ter­mine di para­gone, dove le espe­rienze arti­sti­che fem­mi­ni­ste acqui­sta­rono visi­bi­lità e rile­vanza ben mag­giori che in Europa.



Nel breve volume dedi­cato all'uso fem­mi­ni­sta della foto­gra­fia, Raf­faella Perna riper­corre a grandi linee il lavoro di alcune arti­ste che si sono foca­liz­zate sui temi dello ste­reo­tipo, la costru­zione del fem­mi­nile tra imma­gine e lin­guag­gio, la rap­pre­sen­ta­zione del corpo e della ses­sua­lità della donna, la vio­lenza di genere. Come sot­to­li­nea l'autrice, la foto­gra­fia ha gio­cato un ruolo impor­tante nell'articolare que­sti temi sia per­ché sto­ri­ca­mente ha costi­tuito un'arena pri­vi­le­giata per la spe­ri­men­ta­zione iden­ti­ta­ria, sia per­ché l'uso di que­sto medium per­met­teva una più grande libertà rispetto ad altri sup­porti con una tra­di­zione più con­so­li­data alle spalle. Attra­verso la foto­gra­fia si dispiega quel tea­tro dell'identità che costi­tui­sce uno dei tratti distin­tivi delle spe­ri­men­ta­zioni di que­sti anni su scala inter­na­zio­nale: nei tableaux foto­gra­fici di Verita Mon­sel­les o nelle auto­rap­pre­sen­ta­zioni col­let­tive di Mar­cella Cam­pa­gnano si deli­nea una rifles­sione sui ruoli di genere che prende le mosse dall'analisi dei mec­ca­ni­smi della rei­fi­ca­zione dell'identità fem­mi­nile, messi in atto da pub­bli­cità e cul­tura di massa.

Il rap­porto tra imma­gine e lin­guag­gio è, invece, uno dei temi che acco­mu­nano alcuni dei lavori di Cloti Ric­ciardi, Ketty La Rocca o Ste­pha­nie Our­sler. Come rileva Perna, la con­te­sta­zione del lin­guag­gio attra­verso il ricorso a gesti e imma­gini è un tema cen­trale per que­ste arti­ste che con­si­de­rano la parola scritta come uno stru­mento del domi­nio patriar­cale. È inte­res­sante que­sta cri­tica del lin­guag­gio soprat­tutto se letta in rife­ri­mento alla cen­tra­lità della parola scritta nella sto­ria del fem­mi­ni­smo ita­liano, spesso rac­con­tato come un movi­mento foca­liz­zato essen­zial­mente sulla parola, lasciando nell'ombra la sua dimen­sione visuale.

La que­stione delle teo­riz­za­zioni fem­mi­ni­ste in ambito arti­stico è invece uno degli aspetti ana­liz­zati dal libro di Marta Sera­valli, che tenta una rico­stru­zione sto­rica dei rap­porti tra arte e fem­mi­ni­smo a Roma negli anni set­tanta, a par­tire da Carla Lonzi e dalla nascita di Rivolta fem­mi­nile nel 1970. Come è noto, la vicenda di Carla Lonzi, che abban­dona la cri­tica d'arte per il fem­mi­ni­smo, ci pone di fronte ad un'alternativa dra­stica: l'arte o il fem­mi­ni­smo. Il libro prende le mosse dalla con­sta­ta­zione che Rivolta fem­mi­nile nasce dall'iniziativa di una cri­tica d'arte e di un'artista, Carla Accardi, e prende in esame, attra­verso un'accurata docu­men­ta­zione, diverse moda­lità di iden­ti­fi­ca­zione fem­mi­ni­sta nel mondo dell'arte romano.

Nei suoi primi anni di vita, furono nume­rose le autrici che tran­si­ta­rono per Rivolta (tra loro Suzanne San­toro, Ste­pha­nie Our­sler, Simona Wel­ler, Eli­sa­betta Gut, Elisa Mon­tes­sori...), fino all'esplodere di un con­flitto che cul­minò con la loro fuo­riu­scita e la nascita della coo­pe­ra­tiva del Beato Ange­lico nel 1976, una delle più signi­fi­ca­tive espe­rienze di col­let­tivi in ambito arti­stico. La «presenza/assenza» delle arti­ste nel fem­mi­ni­smo ita­liano si deli­nea come un aspetto dop­pia­mente rimosso, sia nella sto­ria dell'arte che in quella del fem­mi­ni­smo stesso.

Quello che col­pi­sce in par­ti­co­lare nella let­tura del libro di Sera­valli è la resti­tu­zione di un arti­co­lato dibat­tito fem­mi­ni­sta sui temi dell'immagine e dell'arte, che si svi­luppa in par­ti­co­lare attra­verso le pagine di alcune rivi­ste fem­mi­ni­ste, e in misura minore, nei maga­zi­nes d'arte. Attra­verso la let­tura dei testi di arti­ste come Cloti Ric­ciardi e Simona Wel­ler, o di cri­ti­che come Lea Ver­gine e soprat­tutto Anne-Marie Suzeau Boetti, è pos­si­bile ritrac­ciare le pre­messe di una cri­tica fem­mi­ni­sta dell'arte che verrà poi accan­to­nata e dimen­ti­cata nel corso degli anni ottanta. In que­sto qua­dro, riman­gono però sullo sfondo gli scritti di Carla Lonzi che rap­pre­sen­tano forse la cri­tica più arti­co­lata al fal­lo­cen­tri­smo dell'arte, por­tata avanti in modo fram­men­ta­rio e discon­ti­nuo da una posi­zione esterna al mondo artistico.



Con­flitti, non ghetti

Que­sto aspetto pro­duce un forte impatto soprat­tutto alla luce del fatto che le tema­ti­che fem­mi­ni­ste, nella sto­ria dell'arte, sono con­si­de­rate in Ita­lia per­lo­più come merce d'importazione (anglo-sassone), come se non fosse mai esi­stita una rifles­sione «locale» su que­sti temi. Tut­ta­via – que­sto è forse uno dei limiti di entrambi i testi qui ana­liz­zati – le due autrici fati­cano ad arti­co­lare la vita­lità di quei primi ten­ta­tivi di cri­tica con l'attuale dibat­tito inter­na­zio­nale. Il risul­tato, o piut­to­sto il rischio in cui si imbat­tono, sia Sera­valli che Perna, è quello di rivol­gersi alle espe­rienze ana­liz­zate, senza met­tere dav­vero in discus­sione un qua­dro epi­ste­mo­lo­gico che quelle espe­rienze ave­vano con­te­stato in modo così radi­cale. Il fem­mi­ni­smo è, infatti, preso in esame come una fase sto­rica e molto meno come una chiave di let­tura del mondo e dei rap­porti sociali, e dun­que anche della sto­ria dell'arte e dei suoi metodi.

Se è vero che negli anni set­tanta, per la prima volta nella sua sto­ria, il fem­mi­ni­smo ha incon­trato l'arte, que­sto non signi­fica che possa essere con­si­de­rato come un enne­simo «ismo» da aggiun­gere a una sto­ria già con­fe­zio­nata delle ten­denze arti­sti­che del Nove­cento. In que­sto senso, la neces­sità di ripor­tare alla luce il rimosso del nesso tra arte e fem­mi­ni­smo negli anni set­tanta — di cui si fanno carico que­sti volumi — rischia di tra­dursi in un dispo­si­tivo che rin­chiude il con­flitto tra i sessi in un momento sto­rico deli­mi­tato. Come ci inse­gnano le arti­ste e le cri­ti­che d'arte al cen­tro di que­sti libri, la pro­spet­tiva fem­mi­ni­sta ci obbliga a ricon­si­de­rare in una pro­spet­tiva di genere quell'insieme di pra­ti­che, isti­tu­zioni e sog­get­ti­vità che defi­ni­scono l'arte. Nelle nar­ra­zioni fem­mi­ni­ste dell'arte che si stanno affac­ciando nel dibat­tito ita­liano, il dif­fi­cile equi­li­bro tra sto­ri­ciz­za­zione e attua­liz­za­zione for­nirà senza dub­bio ulte­riore mate­ria di discussione.


il manifesto | 31 Gennaio 2014 

Nessun commento:

Posta un commento