Michele Ranchetti
Leggere Benjamin
[Questo saggio è uscito sull'ultimo numero dell'«Ospite ingrato», dedicato a Walter Benjamin].
1. Ho avuto sempre una grande difficoltà
a leggere Benjamin. Per due ragioni, soprattutto: la difficoltà della
lingua e la percezione, immediata e non motivata, di una particolare
congenialità della sua figura. Due ragioni opposte solo in apparenza. La
lingua di Benjamin è difficile, non immediata, non scorrevole.
Difficile quasi come quella di Adorno, che gli stessi tedeschi faticano
ad intendere. Ma, mentre per Adorno si può ora ricorrere alla
trascrizione delle sue lezioni, molto più semplici forse perché mediate
dalla necessaria chiarezza della esposizione orale; per Benjamin ogni
singola frase, anche nelle lettere meno impegnate, nei biglietti di
auguri, appartiene ad una lingua articolata in un ductus che
sembra contorto. È una lingua che respinge la traduzione, o almeno che
non invita alla traduzione, come se, nel passaggio alla versione
italiana, essa perdesse qualcosa di irripetibile e proprio. Mi viene in
mente una frase scritta durante il nazismo e riferita da Klemperer nei
suoi diari: «Un ebreo che parla tedesco, mente». Faceva parte, questa
frase, dell’invasione della lingua ad opera della propaganda nazista, e
Klemperer l’annota nella sua raccolta di espressioni della Lingua Tertii Imperi.
La mia è un’associazione eccessiva, certamente, ma indica, nel processo
di estirpazione della forma naturale d’espressione dell’ebreo tedesco,
per ricondurlo alla sua diversità non convertibile, la violenza di un
potere che agisce là proprio dove il singolo ha la sua natura di
parlante. Questo, almeno, come prima determinazione.
La seconda difficoltà, quella della
congenialità della sua figura, non so davvero come e perché possa
originarsi. Ma è un fatto. Non sono ebreo, non sono tedesco, non sono
stato perseguitato, non ho dovuto divenire un errante. Non vi è, cioè,
nulla che possa indurre un’identificazione motivata. Eppure, sino dalla
prima lettura, in italiano, questa volta, degli scritti di Angelus Novus,
tradotti da Renato Solmi mio amico e compagno di classe, ho percepito
un’affinità che sarebbe riduttivo definire elettiva. Mi chiedo, come mi
sono chiesto molte volte, perché.
28 gennaio 2014
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