28 gennaio 2014

RILEGGERE WALTER BENJAMIN



Michele Ranchetti

Leggere Benjamin


[Questo saggio è uscito sull'ultimo numero dell'«Ospite ingrato», dedicato a Walter Benjamin].

1. Ho avuto sempre una grande difficoltà a leggere Benjamin. Per due ragioni, soprattutto: la difficoltà della lingua e la percezione, immediata e non motivata, di una particolare congenialità della sua figura. Due ragioni opposte solo in apparenza. La lingua di Benjamin è difficile, non immediata, non scorrevole. Difficile quasi come quella di Adorno, che gli stessi tedeschi faticano ad intendere. Ma, mentre per Adorno si può ora ricorrere alla trascrizione delle sue lezioni, molto più semplici forse perché mediate dalla necessaria chiarezza della esposizione orale; per Benjamin ogni singola frase, anche nelle lettere meno impegnate, nei biglietti di auguri, appartiene ad una lingua articolata in un ductus che sembra contorto. È una lingua che respinge la traduzione, o almeno che non invita alla traduzione, come se, nel passaggio alla versione italiana, essa perdesse qualcosa di irripetibile e proprio. Mi viene in mente una frase scritta durante il nazismo e riferita da Klemperer nei suoi diari: «Un ebreo che parla tedesco, mente». Faceva parte, questa frase, dell’invasione della lingua ad opera della propaganda nazista, e Klemperer l’annota nella sua raccolta di espressioni della Lingua Tertii Imperi. La mia è un’associazione eccessiva, certamente, ma indica, nel processo di estirpazione della forma naturale d’espressione dell’ebreo tedesco, per ricondurlo alla sua diversità non convertibile, la violenza di un potere che agisce là proprio dove il singolo ha la sua natura di parlante. Questo, almeno, come prima determinazione.
La seconda difficoltà, quella della congenialità della sua figura, non so davvero come e perché possa originarsi. Ma è un fatto. Non sono ebreo, non sono tedesco, non sono stato perseguitato, non ho dovuto divenire un errante. Non vi è, cioè, nulla che possa indurre un’identificazione motivata. Eppure, sino dalla prima lettura, in italiano, questa volta, degli scritti di Angelus Novus, tradotti da Renato Solmi mio amico e compagno di classe, ho percepito un’affinità che sarebbe riduttivo definire elettiva. Mi chiedo, come mi sono chiesto molte volte, perché.



Nessun commento:

Posta un commento