Ieri, sulle pagine palermitane di Repubblica, Tano Gullo in un suo bel pezzo parla della recente riscoperta di Giuseppe Pitrè.
Lo studioso di tradizioni popolari siciliane era un medico cresciuto, nella seconda metà dell'800, in uno dei quartieri popolari di Palermo, il cosiddetto Borgo. Come medico era solito visitare gratuitamente la povera gente che in cambio gli regalava manufatti artigianali, ex voto, indovinelli,proverbi, filastrocche, canti raccolti nei 25 volumi della sua Biblioteca delle tradizioni popolari e nel suo Museo.
Ma oggi noi vogliamo parlare di un suo poco noto lavoro di ricerca, valorizzato per primo da Leonardo Sciascia, che la casa editrice Sellerio ha pubblicato qualche anno fa:
Giuseppe Pitrè, Leonardo
Sciascia
Urla senza suono. Graffiti e
disegni dei prigionieri dell'Inquisizione
Palazzo
dello Steri a Palermo, dimora di una grande famiglia feudale, poi sede
dell'Inquisizione e delle sue carceri. Assieme al testo del Pitrè, questo libro
raccoglie le vecchie foto dei graffiti, il commento di Sciascia e una Nota di
Giuseppe Quatriglio che ripercorre tutta l'avventura della scoperta e della
riscoperta, da quelle urla senza più suono alla memoria dei tempi presenti,
testimoni di nuove inquisizioni.
Nota di
Giuseppe Quatriglio
Fotografie:
Ferdinando Scianna (I-XV). Agenzia fotografica Labruzzo, Palermo (1-41). Le
fotografie alle pagine 44-46 sono tratte dall'Archivio Alfano di Enzo Sellerio
editore.
Agli inizi
del Novecento, nel corso di uno dei tanti riadattamenti subiti dal palazzo
dello Steri di Palermo - in origine dimora di una grande famiglia feudale, poi
sede dell'Inquisizione e delle sue carceri - lo storico delle tradizioni
popolari Pitrè ebbe notizia di alcuni graffiti, disegni e scritte incisi sulle
pareti delle celle dai prigionieri del Santo Uffizio e lasciati a futura
memoria. Li visitò, li catalogò, ne fece uno studio che questo libro
ripubblica. Gli sfuggirono, però, delle cellette, in un mezzanino dimenticato,
con altri graffiti, descritti due anni prima dallo storico La Mantia, e la
svista del Pitrè finì col confonderli nell'oblio. Dal quale li trasse,
casualmente agli inizi degli anni Sessanta, il giornalista Giuseppe Quatriglio
- mentre si svolgevano nel palazzo nuovi lavori di restauro -; e ne avvertì
Sciascia, conoscendo quanto il grande scrittore siciliano fosse sensibile e
curioso di tutte le notizie connesse alla realtà di quella che considerava
simbolo e emblema di ogni barbarie giudiziaria. Sciascia si affrettò a far
fotografare tutte quelle disperate testimonianze che, a distanza di secoli, le
pareti restituivano: i graffiti scoperti dal Pitrè e quelli riscoperti da
Quatriglio, prima che l'incuria dei conservatori della Palermo di allora li
guastasse per sempre. Assieme al testo del Pitrè, questo libro raccoglie le
vecchie foto dei graffiti, il commento di Sciascia e una Nota di Giuseppe
Quatriglio che ripercorre tutta l'avventura della scoperta e della riscoperta.
Alla quale Sciascia teneva particolarmente, considerandola come l'estrema e
fortuita consegna, da quelle urla senza più suono alla memoria dei tempi
presenti, testimoni di nuove inquisizioni. E a salvaguardia dell'intento di
Sciascia, questo libro, che egli di fatto ideò nel 1977, riproponiamo ai lettori
in un'edizione accresciuta di nuove circostanze.
Giuseppe
Pitrè (Palermo 1841-1916), medico, senatore del Regno è una delle maggiori
personalità della cultura siciliana. Pur tenendo conto delle analisi di
studiosi successivi (S. Bonanzinga, I. E. Buttitta, T. Cusimano, S. D’Onofrio,
G. D’Agostino, M. Giacomarra, F. Giallombardo, E. Guggino) la sua Biblioteca
delle tradizioni popolari siciliane, in 25 volumi, è documento esemplare di
una cultura regionale. A parte ricadute romantiche, ancora avvertibili in Canti
popolari siciliani (1870-71), l’ottica scientifica di Pitrè si impone per
il suo impianto storicofilologico. La scelta di questa prospettiva è evidente
in Spettacoli e feste popolari siciliane (1881) e in Feste patronali
in Sicilia (1900), ma anche in Usi e costumi, credenze e pregiudizi del
popolo siciliano (1887-88).
L’insistenza in Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani (1875) nella ricerca di varianti e riscontri ai testi pubblicati, e più ancora i riferimenti ad altre culture nei Giochi fanciulleschi siciliani (1883), documentano la sua progressiva adesione all’antropologia evoluzionista. Se si pensa che a Palermo la casa editrice Sandron veniva pubblicando i classici europei di orientamento positivista, in particolare di psicologia sociale, si può pertanto intendere perché Pitrè, chiamato all’insegnamento universitario, denominò la sua disciplina Demopsicologia
L’insistenza in Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani (1875) nella ricerca di varianti e riscontri ai testi pubblicati, e più ancora i riferimenti ad altre culture nei Giochi fanciulleschi siciliani (1883), documentano la sua progressiva adesione all’antropologia evoluzionista. Se si pensa che a Palermo la casa editrice Sandron veniva pubblicando i classici europei di orientamento positivista, in particolare di psicologia sociale, si può pertanto intendere perché Pitrè, chiamato all’insegnamento universitario, denominò la sua disciplina Demopsicologia
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