Picasso, Guernica (particolare)
La storia del Novecento riscritta prendendo come centro la famiglia. Il libro si ferma al 1950 e lascia dunque senza risposta la domanda se l'avvento della società dei consumi non sia stato più distruttivo del tessuto familiare europeo di guerre civili e dittature.
Jolanda
Bufalini
Vita di
famiglia
Il destino
di milioni di famiglie durante la guerra civile russa che, «per
orrori e perdite di vite umane superò la prima guerra
mondiale»; quello di altri milioni nel tragico passaggio
dall’impero ottomano alla Turchia moderna. La guerra civile
spagnola, la Germania di Weimar e l’ascesa di Hitler, le
famiglie «approvate» e quelle escluse ed eliminate, il
fascismo della tassa sul celibato.
Famiglia Novecento
di Paul Ginsborg illumina un aspetto sorprendentemente
trascurato dagli studi storici sul XX secolo, immettendo
l’istituto familiare nella grande storia. Ginsborg riferisce
il gesto della sua amica sociologa madrilena Elisa Chulià a
spiegare il perché nella gran parte degli studi storici la
famiglia rimanga dietro le quinte: «Si è portata le mani al
volto intrecciando le dita a formare una grata davanti agli
occhi». Grate, persiane, tende, persino, vengono in mente, gli
specchi da cui le beghine olandesi guardavano ciò che accade
in strada al riparo della loro casa.
L’operazione,
portata avanti con una complessa metodologia comparativa, è
tirare fuori la famiglia dalla dimensione domestica per
metterla in relazione con le politiche, le idee e le ideologie,
le utopie rivoluzionarie e reazionarie che hanno attraversato
la prima metà del 900, le stesse tensioni fra individui e
famiglia di provenienza, i mutamenti straordinariamente potenti
nel passaggio dal mondo contadino all’industrializzazione: la
Germania hitleriana è il paese più moderno del tempo, la
popolazione è urbanizzata, le ragazze lavorano e amano la vita
indipendente, la natalità è bassa. Eppure l’ideale
propagandato dal regime con i suoi formidabili mezzi di
comunicazione è rurale. La famiglia ideale, rappresentata in
un olio di Adolf Wissel nel 1939, è incorniciata da un
ambiente campestre, numerosa e ariana. Nulla a che vedere con
la rappresentazione caotica in un interno urbano e affollato
che ne aveva fatto Max Beckman nel 1920.
Adolf Wissel, Famiglia tedesca |
Nella esposizione
universale del 1937 nessun padiglione eguagliò quello
spagnolo, per il quale Picasso aveva dipinto Guernica. A
sinistra nella grande tela c’è la rappresentazione di una
maternità disperata, la testa del bambino morto ciondola
all’indietro, il grido della madre si alza verso il toro che
la sovrasta. Nello stesso padiglione era esposto un
fotomontaggio: accanto ad una donna immobilizzata nel rigido
costume tradizionale c’è la «donna nuova», «capace di
prendere parte attiva nella creazione del futuro». Eppure nel
movimento anarchico spagnolo non si produsse alcuna riflessione
sulla famiglia, le mogli degli anarchici erano rinchiuse in
casa come tutte le altre donne spagnole.
Nella tela di Zeki
Kaik Izer, La via della rivoluzione, Ataturk in giacca e
cravatta avvolge con il braccio destro una famiglia cittadina
medio borghese, lei indossa un tubino nero e un cappellino da
passeggio. Sono loro, la famiglia nucleare borghese e non
quella patriarcale tradizionale, il punto di riferimento dei
giovani turchi. Ataturk copiò il codice svizzero della
famiglia. Non c’è nulla di agiografico ne La famiglia
dipinta da Sironi, pittore di regime ma artista grandissimo, né
oro alla patria, né prole numerosa da mandare al fronte. Nei
manifesti russi che propagandano la costruzione delle mense,
sedute a tavola con gli impiegati, stanno le operaie con il
fazzoletto da lavoro in testa, aspirazione a liberare la donna
dalle incombenze domestiche.
Zeki Kaik Izer, La via della rivoluzione |
La narrazione storica di Ginsborg è resa affascinante dalla scelta di aprire ogni capitolo (ciascuno dedicato a un paese) con personaggi simbolo. Ci sono le storie familiari dei dittatori e ci sono alcuni ritratti strepitosi. Aleksandra Kollontaj e Inessa Armand in Russia, Halide Edib, protagonista femminile in una società patriarcale del movimento progressista turco. Tommaso Marinetti per il quale la famiglia era «una tenda di beduini». Straordinario il ritratto di Magda Quandt Goebbels, che con i suoi sette figli, divenne il simbolo della madre nazista.
«La famiglia
non è solo oggetto, scrive Ginsborg destinataria dell’azione
del potere politico ma anche soggetto, protagonista della
storia». La famiglia e lo stato sono «due sistemi dinamici»
che non necessariamente vanno alla stessa velocità né nella
stessa direzione. Per quanto forte sia la pressione, la
repressione, per non parlare del genocidio e delle soppressioni
eugenetiche, le famiglie «dispongono di particolari codici e
culture di resistenza». «Flessibilità, solidarietà, reti,
segreti gelosamente custoditi» che entrano nel gioco della
sopravvivenza in condizioni terribili: «La radicata cultura
clientelare», scrive Ginsborg in un parallelo fra Urss e
Italia fascista consentì in questi paesi «alle famiglie di
scalare le pareti dello Stato apparentemente verticali».
Il libro si ferma
al 1950. Dopo vennero alla ribalta «nuove problematiche sulle
modalità con cui le famiglie, nell’ambiente radicalmente
nuovo delle libertà civili e politiche, si posero in
connessione con la società civile e lo Stato democratico». Ma
«questa è un’altra storia». I meccanismi e le risorse che
nell’età delle dittature «servirono a mantenere viva la
memoria di ciò che era stata la libertà» fanno esprimere
all’autore «scetticismo nei confronti di uno schema
interpretativo che utilizza il totalitarismo come filo
conduttore». Quegli stessi meccanismi di salvezza potrebbero
essere alla radice del «familismo amorale» di cui Ginsborg ha
scritto altrove.
l’Unità 28 gennaio
2014
Paul Ginsborg
Famiglia Novecento
Vita familiare,
rivoluzione e dittature 1900-1950
Einaudi, 2013
euro 35,00
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