18 gennaio 2014

E L'AMERICA CREO' LA CULTURA HIPPIE





Sai dov'è l'isola di Wight?”. Nel 1970 cantavamo questa canzone, portavamo i capelli lunghi e camicie a fiori, ci piaceva la controcultura hippie e pensavamo che la nostra vita sarebbe stata diversissima da quella dei nostri genitori. Un libro ricostruisce quella storia.

Antonello Cresti

Un movimento profetico

Nel con­for­mi­smo della cul­tura di massa la parola «hip­pie» è dive­nuta sino­nimo di per­sona che vive fuori dalla realtà, ana­cro­ni­stica e dun­que, in ultima istanza, un infre­quen­ta­bile mar­gi­nale. Lo stesso cinema è pieno di simili figure grot­te­sche, fun­zio­nali alla volontà di cir­co­scri­vere la con­te­sta­zione del modello di vita domi­nante ad una luna­tic fringe magari sim­pa­tica, ma total­mente inattendibile.

Tut­ta­via, a dispetto di certe distor­sioni, la breve, ma inten­sis­sima epo­pea della cul­tura hip­pie, esplosa a livello mon­diale nell’estate del 1967 e poi rie­mersa car­si­ca­mente, con alterne vicende, ed in varie forme, per circa un decen­nio, con­ti­nua ad affa­sci­nare stu­diosi dagli inte­ressi più vari e non è raro veder defi­nire tale movi­mento come una sorta di pre­lu­dio di tutti i feno­meni di con­te­sta­zione gio­va­nile ad esso seguiti; tale dimen­sione pro­fe­tica è chiara anche leg­gendo il recente sag­gio di Man­fredi Sca­na­gatta, autore sinora di ricer­che sto­rio­gra­fi­che sulla sto­ria del Pci e dell’antifascismo emi­liano, inti­to­lato E l’America creò gli hip­pie (Edi­zioni Mime­sis, pp. 313, euro 26), che ha il merito di ana­liz­zare il feno­meno hip­pie in tutti i suoi mol­te­plici aspetti, socio­po­li­tici cer­ta­mente, ma anche arti­stici e comunicativi.

La sto­ria che trac­cia Sca­na­gatta è quella di una «avan­guar­dia cul­tu­rale» che ha saputo sal­dare ansie di libe­ra­zione per­so­nale e col­let­tiva e ricerca di un nuovo voca­bo­la­rio crea­tivo con cui vei­co­lare la pro­pria alte­rità nei con­fronti della cul­tura uffi­ciale. «Con­tro­cul­tura», insomma, per usare un ter­mine che non casual­mente comin­cia a dif­fon­dersi nell’America degli anni Cin­quanta in rela­zione agli autori della Beat Gene­ra­tion, da con­si­de­rarsi tra gli imme­diati pre­cur­sori del flo­wer power, e che, per usare le parole dello scrit­tore Nor­man Mai­ler, furono coloro che per primi «divor­zia­rono dalla società, vis­sero senza radici e intra­pre­sero un miste­rioso viag­gio negli ever­sivi impe­ra­tivi dell’io».



Se dun­que uno sta­tus di eccel­lenza crea­tiva del movi­mento hip­pie sem­bra essere rico­no­sciuto da chiun­que ne abbia stu­diato la sto­ria (per que­sto basta citare le influenze eser­ci­tate su musica, gra­fica e nar­ra­tiva) ciò che ci sem­bra ancora più inte­res­sante è rin­trac­ciarne i carat­teri visio­nari e pro­fe­tici sopra accen­nati: la capa­cità di tra­scen­dere le cate­go­rie di «destra» e di «sini­stra», pre­sen­tando aspetti pro­gres­si­sti come rea­zio­nari, dia­let­tica mate­ria­li­stica e spi­ri­tua­li­stica, anti­ci­pando così i movi­menti eco­lo­gi­sti. Forme di riven­di­ca­zione che furono di ordine sociale, ma soprat­tutto di ordine cul­tu­rale (il rifiuto della società bor­ghese), carat­te­riz­ze­ranno il movi­mento ses­san­tot­tino, che di fatto recu­pe­rerà inte­ressi emersi poco prima in seno alla gene­ra­zione hip­pie, dall’antipsichiatria al ritorno a forme di vita comu­ni­ta­rie. Infine l’enorme inte­resse nei con­fronti delle forme del lin­guag­gio della con­te­sta­zione lo ritro­ve­remo, pro­prio in Ita­lia, tra le rivi­ste degli indiani metro­po­li­tani, nel 1977.

Tutto ciò sem­bra emer­gere piut­to­sto chia­ra­mente dal rigo­roso stu­dio di Sca­na­gatta, capace di rian­no­dare in maniera bril­lante i tanti fili di una vicenda lon­tana, eppure ancora attuale. Unico deme­rito del testo in que­stione, oltre a nume­rosi refusi, è la deci­sione di restrin­gere il campo di ana­lisi alla sola realtà sta­tu­ni­tense, finendo così per far per­dere la dimen­sione glo­bale del movi­mento, che ebbe signi­fi­ca­tive pro­pag­gini nel Regno Unito, in Olanda, coi suoi pro­vos e per­sino in Ita­lia, con espe­rienze di rilevo come quelle espresse dagli ambienti vicini alla rivi­sta mila­nese Mondo Beat, da un arti­sta come Mat­teo Guar­nac­cia, e, in seguito, dagli ani­ma­tori di Re nudo.

Per tutte que­ste ragioni la con­tro­cul­tura hip­pie, lungi dall’essere una curio­sità del pas­sato, rap­pre­senta un rife­ri­mento ine­lu­di­bile per qual­siasi espe­ri­mento di cri­tica radi­cale della cul­tura capi­ta­li­stica, oggi come nei decenni passati.


Il Manifesto- 17 gennaio 2014



Manfredi Scannagatta
E l'America creò gli hippie
Mimesis, 2013
Euro 26

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