Danilo e Vincenzina
Danilo Dolci e Joseph Wresinski, esperti in maieutica.
Versione originale italiana dell’articolo "Danilo Dolci
et Joseph Wresinski, experts en maieutique", da Gianni Restivo, Revue
Quart Monde, n° 224, novembre 2012, pp. 53-57
Danilo Dolci nasce il 28 giugno
1924 a Sesana, in provincia di Trieste, da Enrico, di origine siciliana e
da Meli Kontelj, di nazionalità slovena. Il padre ferroviere, per
motivi di lavoro, conduce la famiglia in Lombardia : è qui che il
giovane Danilo compie i primi studi. E’ un lettore vorace, i suoi
interessi spaziano dai « Dialoghi » di Platone sino ai grandi poeti del
Romanticismo tedesco ed ai classici del pensiero orientale. Nonostante
non avesse contatti con la resistenza clandestina, si mostra contrario
alla ideologia fascista, infatti segretamente strappa i manifesti della
propaganda al regime e più tardi si rifiuta di indossare la divisa
repubblichina. Viene arrestato a Genova ; riesce a scappare, trovando
rifugio in Abruzzo tra i pastori.
Negli anni ’50 Dolci compie una scelta fondamentale per
tutto il suo percorso successivo : a un passo dal concludere gli studi,
abbandona l’Università e va a vivere a Nomadelfia, « la città dove la
fraternità è legge », una comunità di accoglienza per bambini smarriti a
causa della guerra, sorta nell’ex campo di concentramento nazifascista
di Fossoli (Modena). Nel 1951 partecipa alla fondazione di una nuova
sede della comunità a Batignano, nei pressi di Grosseto.
L’anno successivo, una decisione ancora più radicale :
Dolci lascia Nomadelfia e si trasferisce in Sicilia, nel piccolo borgo
marinaro di Trappeto (dove era già stato tra il ’40 e il ’41, per circa
un mese, al seguito del padre), povero tra i poveri in una delle terre
più misere e dimenticate del Meridione. Comincia, così, ad essere
tracciata una delle pagine più limpide e intense della difficile
rinascita civile e democratica dell’Italia dalle macerie morali e
materiali del fascismo e della seconda guerra mondiale.
Dolci stesso parlerà di « continuazione della
Resistenza, senza sparare ».
La figura di Danilo Dolci comincia a prendere sostanza : infatti nel ’53
dopo la morte di un bambino – Benedetto Barreto- a causa della
malnutrizione, decide di fare lo sciopero della fame. E’ convinto della
sua azione, infatti è pronto a interrompere il digiuno solo quando le
Istituzioni italiane avessero assunto l’ impegno di realizzare quegli
interventi urgenti in favore delle fasce più povere in Sicilia. E’ il
primo di numerosi digiuni, scioperi, lotte non violente per il lavoro,
il cibo, la democrazia, il riconoscimento dei diritti di tutti per
tutti. In questa prima battaglia, il digiuno sul letto di Benedetto
Barreto, Dolci non era solo : se anche lui fosse morto di stenti, lo
avrebbero sostituito altre persone, finché le Istituzioni italiane non
si fossero interessate alle realtà dei poveri.
Il 2 febbraio 1956 ha luogo, a Partinico, lo sciopero
alla rovescia. E’ un’ idea innovativa, bizzarra, ma rivoluzionaria : se
un operaio, per protestare, si astiene dal lavoro, un disoccupato può
scioperare invece lavorando. Così migliaia di disoccupati si organizzano
per ricostruire pacificamente una strada comunale abbandonata ; ma i
lavori vengono fermati dalla polizia e Dolci, con alcuni suoi
collaboratori, viene arrestato. L’episodio suscita indignazione nel
Paese, e provoca numerose interrogazioni parlamentari. Dolci viene
successivamente scagionato, dopo un processo che ha enorme eco sulla
stampa : a difenderlo è il grande giurista italiano Piero Calamandrei ;
celebre la sua arringa conclusiva : “Milioni di persone nelle nostre
zone stanno sei mesi all’anno con le mani in mano. Stare sei mesi..con
le mani in mano è gravissimo reato contro la nostra famiglia contro la
società....La Costituzione dice che il lavoro è un diritto e un dovere.
Allora, che cosa fanno questi 7000 disoccupati : invadono le terre dei
ricchi, saccheggiano negozi alimentari, assaltano palazzi...diventano
banditi ? No, decidono di lavorare gratuitamente, di lavorare
nell’interesse pubblico.....La nostra Costituzione è piena di queste
grandi parole preannunciatrici del futuro : “pari dignità sociale”,
rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona
umana, “Repubblica fondata sul lavoro, diritto al lavoro (1)
”...”esistenza libera e dignitosa”...” (2)
E’ attraverso la difesa della Costituzione, del suo
art.4 che vi è una rivincita, un riequilibrio delle linee guida
sociali ; non vi è solo un’ affermazione forte del lavoro come diritto,
ma esprime il suo valore umano e sociale intrinseco, che viene cosi
percepito come dovere civico in primis : il lavoro è cioè utile alla
comunità, alla società.
Danilo Dolci opera in un contesto post-guerra : cerca di rivalutare
l’ormai vecchia e annosa “questione meridionale” .
Diverse volte ed a varie riprese il governo italiano
destinò fondi allo sviluppo del Mezzogiorno, creando pure un istituto
finanziario chiamato cassa del Mezzogiorno per gestirne i flussi. Troppo
spesso pero’ gli investimenti statali vennero utilizzati male, e troppo
spesso servirono a creare stabilimenti industriali, da parte dei grandi
gruppi pubblici e privati del nord, in aree mal servite dalle
infrastrutture. Le grandi aziende che aderivano a questi progetti e i
partiti politici che li promuovevano, dal canto loro, approfittavano del
contesto disagevole in cui operavano facendo ricorso a prassi
clientelari nelle assunzioni.
Queste pratiche assistenzialistiche, ebbero come conseguenza la profonda
alterazione delle leggi di mercato e l’impossibilità di ogni possibile
sviluppo economico, soprattutto delle aree più depresse del Paese.
Negli anni ’40 e ’50 emigranti italiani, provenienti
soprattutto dalle zone meridionali, incominciarono a raggiungere in
massa le miniere del Belgio ; il governo italiano chiese e ottenne da
quello belga, in cambio di manodopera, un quantitativo di carbone
all’anno per ogni lavoratore espatriato ; questo approvvigionamento non
beneficiò le regioni d’origine dei minatori emigrati, poiché era
destinato alle fabbriche prevalentemente ubicate nelle aree
settentrionali della nazione. E cosi’ il sud continuava a morire,
schiacciato dalla miseria e dalla povertà, dall’ignoranza e dalla fame e
impoverito dalla perdita dei suoi figli.
E’ in questa situazione che Danilo Dolci si muove : in un sud arretrato,
figlio dell’ignoranza, cui fa parte una Sicilia lontana dall’Italia,
dove le popolazioni delle province neanche sapevano cosa fosse l’Italia,
ne avevano sentito parlare , ma ignoravano il suo significato, il suo
valore storico, politico e geografico (3).
“Inchiesta a Palermo” è un grido di allarme sociale,
civile, ma è anche uno studio sociologico su quelle popolazioni che si
autodefiniscono “industriali” perché si adoperano, si industriano, si
“arrangiano” per poter sopravvivere ; è un’inchiesta frutto della
solidarietà umana, del non arrendersi di fronte alle ingiustizie, della
disobbedienza civile e non violenta, perché se c’è una democrazia questa
deve essere partecipata, se c’è una Costituzione, questa deve essere
uguale nei confronti di tutti.
“Tra il debole e il forte è la libertà che opprime, è la
legge che affranca”.(4)
Democrazia e partecipazione che si concretizzano nei suoi progetti
rivoluzionari attraverso la partecipazione diretta delle persone che
vivono ogni giorno quelle realtà, realtà che esperti, tecnici e politici
apprendono dai libri o dai documenti, ma che le popolazioni locali
invece conoscono per esperienza diretta.
Dolci non si atteggia a detentore di verità, non è un
sapiente che dispensa consigli o suggerisce come e cosa pensare. È
assolutamente certo che le risposte e le forze necessarie al cambiamento
si possano trovare nelle persone che vivono le realtà direttamente ;
che non possa esistere alcun riscatto che prescinda dalla maturazione di
consapevolezza dei diretti interessati. Per la riuscita di un’impresa è
necessario che la si senta propria, che non venga calata dall’alto.
Per questo il lavoro di autoanalisi popolare, il metodo maieutico, non
costituiscono un mero dettaglio o, una scelta casuale : sono necessari
alla riuscita di un programma veramente rivoluzionario e non violento.
Il termine Maieutica significa letteralmente allevatrice : Socrate,
proprio come opera l’ ostetrica, cerca attraverso il dialogo, l’arte
della dialettica, di tirar fuori, estrapolare i pensieri più intimi del
proprio interlocutore, attraverso il metodo delle domande-risposte. In
Socrate la Maieutica si contrappone alla retorica, alla persuasione con
cui si cercava di imporre ad altri le proprie teorie. E’ qui che Dolci
trasporta il pensiero socratico nella realtà più povera e misera della
Sicilia, attraverso la stessa procedura metodologia.
Si tratta di un metodo di formazione dal carattere
assolutamente pedagogico, il cui valore aggiunto è un atteggiamento
attivo nei confronti della conoscenza, della partecipazione attiva nelle
questioni sociali e politiche. Attori delle proposte non sono solo le
classi più ricche o che hanno quei legami o interessi con la classe
politica, ma è il Cittadino : è il contadino interessato alla riforma
agraria, è il pescatore impegnato alla lotta contro la pesca di frodo, è
il senza-tetto che combatte per avere una casa, è il disoccupato che
lotta perché il diritto al lavoro gli sia assicurato, che ogni giorno si
industria pur di non finire nella malavita.
Un nuovo concetto di democrazia, di Stato , delle
Istituzioni, ma anche una rivoluzione culturale che sovverte la realtà
fattuale. Il suo è un lavoro di empowerment delle persone generalmente
escluse dal potere e dalle decisioni, che vivono all’ombra del boom
economico
E’ lui che comincia ad organizzare riunioni a cui parteciperanno le
classi sociali meno abbienti dove ci si interroga, si discute, si impara
a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e decidere, insieme, con la
partecipazione di tutti. Emblematico è il caso di una riunione con
contadini e pescatori della Sicilia occidentale, durante la quale furono
loro stessi a concepire l’idea di costruire la diga sul fiume Jato. La
realizzazione di questo progetto costituì successivamente un importante
volano per lo sviluppo economico della zona, sottraendo cosi’ alla mafia
il controllo delle modeste risorse idriche disponibili e la conseguente
possibilità di dominio sui cittadini. L’irrigazione delle terre ha
consentito in questa zona della Sicilia occidentale la nascita e lo
sviluppo di numerose aziende e cooperative, divenendo occasione di
cambiamento economico, sociale, civile.
“Indagine a Palermo”è uno studio sui “senza lavoro” sui
coloro che a stento lavorano, è uno “studio limitato a chi paga di
persona” (5), paga una vita di stenti, soprusi, ignoranza, mancanza
della possibilità di scegliere ; ma è anche la storia di tanti che hanno
la forza di continuare a vivere e a lottare.
Il report si compone di due parti : la prima è un’
indagine, un documentario fatto di interviste, di tabelle statistiche
che servono ad attestare la situazione ambientale in cui questa gente
vive ; la seconda parte, invece, è una semplice riproduzione testuale
dei cittadini intervistati, racconti personali. Fondamentale è la scelta
di non voler aggiungere o togliere niente al linguaggio usato : parole
in vernacolo, frasi sgrammaticate. Il linguaggio, specchio della realtà e
della società arretrata, non viene modificato.
Si evince cosi’ che quelle popolazioni, italiane, si
sentano abbandonate dallo Stato, dalla Legge, da coloro cui hanno dato
il loro voto, perché non hanno un lavoro, i loro figli non hanno la
possibilità di andare a scuola perché costretti dagli stenti a dover
lavorare sin dalla tenera età. Disperazione che nasce dalla mancanza
del lavoro, insicurezza non per il futuro, ma addirittura per il
presente, per le possibilità che non hanno e avranno i figli, e cosi’ i
figli dei loro figli. Emerge una denuncia del fallimento dello Stato e
del suo apparato : è cosi’ che si spiana la strada il malaffare , la
corruzione, invece della meritocrazia, della giustizia sociale e della
distribuzione giusta delle risorse. La povertà porta ad un circolo
vizioso orizzontale e verticale da cui è quasi impossibile uscire : i
poveri non hanno diritti, non hanno case con elettricità, acqua ,
fogna..sono semplicemente soli.
La povertà e l’ignoranza portano al suicidio, alla
prostituzione per poter mangiare, alla malavita che offre lavoro ; mafia
come ultimo baluardo di difesa contro i mali della vita, come ultima
resistenza alle ingiustizie. Ma nessuno vuole condurre quella vita e
cosi’ diventano delinquenti per necessità. Quale padre permetterebbe
che un suo figlio vada contro i suoi stessi fratelli, sorelle, contro la
famiglia ? Quale Stato permetterebbe che un suo figlio nuoccia alla
società ? Quale padre abbandonerebbe il proprio figlio ad un destino
fatto di miseria e illegalità ?
Dolci mette in luce anche quei contadini che attraverso
la scoperta dello studio, soddisfazione per esigenza intellettuale,
scoprono che solo uniti ci si possa elevare, solo uniti si può
combattere, solo con la conoscenza c’è la redenzione : si lotta per il
diritto alla vita e non solo per se stessi. (6)
Con la sua inchiesta Dolci pone al centro della sua attività il
Cittadino, quello da sempre escluso, quello che non è mai stato
ascoltato, che è sempre stato ghettizzato perché la sua povertà non era
decorosa per i turisti, quello che ha sempre subito i soprusi delle
pubbliche autorità conniventi con la mafia, quel cittadino che ha sempre
provato ad uscire dal tunnel della povertà e della ignoranza.
Ecco : ha donato semplicemente voce a chi non l’aveva,
chi non aveva più la forza di gridare, di farsi ascoltare, semplicemente
perché non sapeva ne scrivere, ne leggere, ne sapeva parlare
correttamente l’italiano. Non si è trattato di far comprendere solo che
non era una lotta di classe, sociale o economica-non dimentichiamo che
si agisce negli anni’50- ma che si è cercato congiuntamente di costruire
una lotta politica non violenta per dare all’Italia, e non solo alla
Sicilia o al Meridione, un nuovo assetto, un nuovo governo, una nuova
concezione della democrazia, che coinvolgesse soprattutto le fasce più
basse della popolazione, all’interno della legalità.
Dunque l’ importanza della conoscenza, dello studio,
della cooperazione nei dibattiti, della possibilità di esprimersi, di
concepire insieme le idee, le soluzioni.
E’ questo il tratto comune tra Danilo Dolci e padre
Joseph Wresinski : discutere, dialogare per cercare insieme una
soluzione ; unirsi per esser più forti ; fulcro dell’azione sono i
Cittadini meno abbienti, attori fondamentali, sono anche loro i
protagonisti della storia, coloro che non hanno la forza di lottare da
soli, quelle persone che hanno perso tutto, ma non la dignità di esseri
umani.
La redenzione attraverso la conoscenza, attraverso l’
unione ; perché se lo Stato fallisce è anche colpa nostra, perché noi
siamo la società civile ; ciò che necessita è la maturazione dell’esser
cittadino attivo che può attuarsi solo con una piena consapevolezza del
ruolo che si ha nella società.
Ma tale maturazione avviene solo se al centro della
nostra attività si pone la conoscenza : conoscenza che nasce da un
incrocio dei saperi, dal potersi appunto scambiare i saperi l’un
l’altro, dal dialogo continuo, dalla cooperazione, dalla possibilità di
potersi esprimere. Non si dimentichi mai che l’arma della democrazia è
la parola, che si concretizza nella partecipazione. L’indebolimento
della democrazia va di pari passo con quello della parola.
Quindi la partecipazione attiva e l’istruzione sono la
chiave per una società migliore ; chiudere gli occhi e sperare che altri
prendano decisioni per noi è un’assurdità. Spetta al singolo avere la
possibilità di scegliere.
Alzarci, fare sentire la nostra voce ; oggi in dieci, domani migliaia,
poi milioni.
“Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra
intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro
entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra
forza” (7)
“Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che « vivere vuol dire essere partigiani » (8).
"Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei
alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e
parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria,
non è vita. Perciò odio gli indifferenti. [...] Alcuni piagnucolano
pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si
domandano : se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di
far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo ? [...]
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli
indifferenti”. (9)
1. Art.4 Cost. It. “La Repubblica riconosce a tutti i
cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano
effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere,
secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una
funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della
società.”
2. Discorso in difesa di Danilo Dolci, di Piero Calamandrei 30 marzo 1956
3.Danilo Dolci « Inchiesta a Palermo », 1958 (pag 311)
4.Cit. Jean-Baptiste Henri Lacordaire, 1838
5.Danilo Dolci « Inchiesta a Palermo », 1958 (pag 11)
6.Danilo Dolci « Inchiesta a Palermo », 1958 (pag 106)
7.Antonio Gramsci, L’Ordine Nuovo, anno I, n. 1, 1° maggio 1919
8.Christian Friedrich Hebbel, Diario, traduzione di
Scipio Slataper, Carabba, Lanciano 1912, p. 82, riflessione n. 2127 :
Vivere significa esser partigiani.
9.Antonio Gramsci, Indifferenti, La città futura, numero unico, 11 febbraio 1917
Riprendo dal mio diario FB alcuni commenti pervenuti in questi ultimi giorni:
RispondiEliminaSissy Evelina Violini: Che emozione quando qualcuno ricorda D.D. Grazie :-)
Francesco Virga: L' ho conosciuto direttamente. Ho lavorato due annI con Danilo.
Angela Pts: ho letto un suo libro: Racconti siciliani, ma voglio approfondire
Francesco Virga: Questi racconti li ha appresi dai contadini e dai pescatori di Partinico e di Trappeto...
Michelangelo Pecoraro: Francesco...nell'ombra ti ho sempre stimato perche' sei fatto della stessa pasta di D.D. Hai lo stesso coraggio.
Francesco Virga: Caro Michelangelo, così mi fai arrossire...
Silvana la Marca: grazie Francesco!
Joannes Carolus Rossi: Lo conobbi tanti anni fa ad un convegno sull'acqua e pranzammo allo stesso tavolo. Ricordo che, uomo libero e controcorrente sempre, fece l'elogio del latino, quando l'insegnamento di questa lingua era considerato relitto fascista... e lo sapeva pure parlare!
Francesco Virga: In questo era stato preceduto da Antonio Gramsci!
Joannes Carolus Rossi: un altro tradito dalla ratio summi imperii...