13 gennaio 2014

D. DOLCI: CHI TACE E' COMPLICE

Danilo e Vincenzina

Danilo Dolci e Joseph Wresinski, esperti in maieutica.

Versione originale italiana dell’articolo "Danilo Dolci et Joseph Wresinski, experts en maieutique", da Gianni Restivo, Revue Quart Monde, n° 224, novembre 2012, pp. 53-57 
 
Danilo Dolci nasce il 28 giugno 1924 a Sesana, in provincia di Trieste, da Enrico, di origine siciliana e da Meli Kontelj, di nazionalità slovena. Il padre ferroviere, per motivi di lavoro, conduce la famiglia in Lombardia : è qui che il giovane Danilo compie i primi studi. E’ un lettore vorace, i suoi interessi spaziano dai « Dialoghi » di Platone sino ai grandi poeti del Romanticismo tedesco ed ai classici del pensiero orientale. Nonostante non avesse contatti con la resistenza clandestina, si mostra contrario alla ideologia fascista, infatti segretamente strappa i manifesti della propaganda al regime e più tardi si rifiuta di indossare la divisa repubblichina. Viene arrestato a Genova ; riesce a scappare, trovando rifugio in Abruzzo tra i pastori.
Negli anni ’50 Dolci compie una scelta fondamentale per tutto il suo percorso successivo : a un passo dal concludere gli studi, abbandona l’Università e va a vivere a Nomadelfia, « la città dove la fraternità è legge », una comunità di accoglienza per bambini smarriti a causa della guerra, sorta nell’ex campo di concentramento nazifascista di Fossoli (Modena). Nel 1951 partecipa alla fondazione di una nuova sede della comunità a Batignano, nei pressi di Grosseto.
L’anno successivo, una decisione ancora più radicale : Dolci lascia Nomadelfia e si trasferisce in Sicilia, nel piccolo borgo marinaro di Trappeto (dove era già stato tra il ’40 e il ’41, per circa un mese, al seguito del padre), povero tra i poveri in una delle terre più misere e dimenticate del Meridione. Comincia, così, ad essere tracciata una delle pagine più limpide e intense della difficile rinascita civile e democratica dell’Italia dalle macerie morali e materiali del fascismo e della seconda guerra mondiale.
Dolci stesso parlerà di « continuazione della Resistenza, senza sparare ». La figura di Danilo Dolci comincia a prendere sostanza : infatti nel ’53 dopo la morte di un bambino – Benedetto Barreto- a causa della malnutrizione, decide di fare lo sciopero della fame. E’ convinto della sua azione, infatti è pronto a interrompere il digiuno solo quando le Istituzioni italiane avessero assunto l’ impegno di realizzare quegli interventi urgenti in favore delle fasce più povere in Sicilia. E’ il primo di numerosi digiuni, scioperi, lotte non violente per il lavoro, il cibo, la democrazia, il riconoscimento dei diritti di tutti per tutti. In questa prima battaglia, il digiuno sul letto di Benedetto Barreto, Dolci non era solo : se anche lui fosse morto di stenti, lo avrebbero sostituito altre persone, finché le Istituzioni italiane non si fossero interessate alle realtà dei poveri.
Il 2 febbraio 1956 ha luogo, a Partinico, lo sciopero alla rovescia. E’ un’ idea innovativa, bizzarra, ma rivoluzionaria : se un operaio, per protestare, si astiene dal lavoro, un disoccupato può scioperare invece lavorando. Così migliaia di disoccupati si organizzano per ricostruire pacificamente una strada comunale abbandonata ; ma i lavori vengono fermati dalla polizia e Dolci, con alcuni suoi collaboratori, viene arrestato. L’episodio suscita indignazione nel Paese, e provoca numerose interrogazioni parlamentari. Dolci viene successivamente scagionato, dopo un processo che ha enorme eco sulla stampa : a difenderlo è il grande giurista italiano Piero Calamandrei ; celebre la sua arringa conclusiva : “Milioni di persone nelle nostre zone stanno sei mesi all’anno con le mani in mano. Stare sei mesi..con le mani in mano è gravissimo reato contro la nostra famiglia contro la società....La Costituzione dice che il lavoro è un diritto e un dovere. Allora, che cosa fanno questi 7000 disoccupati : invadono le terre dei ricchi, saccheggiano negozi alimentari, assaltano palazzi...diventano banditi ? No, decidono di lavorare gratuitamente, di lavorare nell’interesse pubblico.....La nostra Costituzione è piena di queste grandi parole preannunciatrici del futuro : “pari dignità sociale”, rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana, “Repubblica fondata sul lavoro, diritto al lavoro (1) ”...”esistenza libera e dignitosa”...” (2)
E’ attraverso la difesa della Costituzione, del suo art.4 che vi è una rivincita, un riequilibrio delle linee guida sociali ; non vi è solo un’ affermazione forte del lavoro come diritto, ma esprime il suo valore umano e sociale intrinseco, che viene cosi percepito come dovere civico in primis : il lavoro è cioè utile alla comunità, alla società. Danilo Dolci opera in un contesto post-guerra : cerca di rivalutare l’ormai vecchia e annosa “questione meridionale” .
Diverse volte ed a varie riprese il governo italiano destinò fondi allo sviluppo del Mezzogiorno, creando pure un istituto finanziario chiamato cassa del Mezzogiorno per gestirne i flussi. Troppo spesso pero’ gli investimenti statali vennero utilizzati male, e troppo spesso servirono a creare stabilimenti industriali, da parte dei grandi gruppi pubblici e privati del nord, in aree mal servite dalle infrastrutture. Le grandi aziende che aderivano a questi progetti e i partiti politici che li promuovevano, dal canto loro, approfittavano del contesto disagevole in cui operavano facendo ricorso a prassi clientelari nelle assunzioni. Queste pratiche assistenzialistiche, ebbero come conseguenza la profonda alterazione delle leggi di mercato e l’impossibilità di ogni possibile sviluppo economico, soprattutto delle aree più depresse del Paese.
Negli anni ’40 e ’50 emigranti italiani, provenienti soprattutto dalle zone meridionali, incominciarono a raggiungere in massa le miniere del Belgio ; il governo italiano chiese e ottenne da quello belga, in cambio di manodopera, un quantitativo di carbone all’anno per ogni lavoratore espatriato ; questo approvvigionamento non beneficiò le regioni d’origine dei minatori emigrati, poiché era destinato alle fabbriche prevalentemente ubicate nelle aree settentrionali della nazione. E cosi’ il sud continuava a morire, schiacciato dalla miseria e dalla povertà, dall’ignoranza e dalla fame e impoverito dalla perdita dei suoi figli. E’ in questa situazione che Danilo Dolci si muove : in un sud arretrato, figlio dell’ignoranza, cui fa parte una Sicilia lontana dall’Italia, dove le popolazioni delle province neanche sapevano cosa fosse l’Italia, ne avevano sentito parlare , ma ignoravano il suo significato, il suo valore storico, politico e geografico (3).
“Inchiesta a Palermo” è un grido di allarme sociale, civile, ma è anche uno studio sociologico su quelle popolazioni che si autodefiniscono “industriali” perché si adoperano, si industriano, si “arrangiano” per poter sopravvivere ; è un’inchiesta frutto della solidarietà umana, del non arrendersi di fronte alle ingiustizie, della disobbedienza civile e non violenta, perché se c’è una democrazia questa deve essere partecipata, se c’è una Costituzione, questa deve essere uguale nei confronti di tutti.
“Tra il debole e il forte è la libertà che opprime, è la legge che affranca”.(4) Democrazia e partecipazione che si concretizzano nei suoi progetti rivoluzionari attraverso la partecipazione diretta delle persone che vivono ogni giorno quelle realtà, realtà che esperti, tecnici e politici apprendono dai libri o dai documenti, ma che le popolazioni locali invece conoscono per esperienza diretta.
Dolci non si atteggia a detentore di verità, non è un sapiente che dispensa consigli o suggerisce come e cosa pensare. È assolutamente certo che le risposte e le forze necessarie al cambiamento si possano trovare nelle persone che vivono le realtà direttamente ; che non possa esistere alcun riscatto che prescinda dalla maturazione di consapevolezza dei diretti interessati. Per la riuscita di un’impresa è necessario che la si senta propria, che non venga calata dall’alto. Per questo il lavoro di autoanalisi popolare, il metodo maieutico, non costituiscono un mero dettaglio o, una scelta casuale : sono necessari alla riuscita di un programma veramente rivoluzionario e non violento. Il termine Maieutica significa letteralmente allevatrice : Socrate, proprio come opera l’ ostetrica, cerca attraverso il dialogo, l’arte della dialettica, di tirar fuori, estrapolare i pensieri più intimi del proprio interlocutore, attraverso il metodo delle domande-risposte. In Socrate la Maieutica si contrappone alla retorica, alla persuasione con cui si cercava di imporre ad altri le proprie teorie. E’ qui che Dolci trasporta il pensiero socratico nella realtà più povera e misera della Sicilia, attraverso la stessa procedura metodologia.
Si tratta di un metodo di formazione dal carattere assolutamente pedagogico, il cui valore aggiunto è un atteggiamento attivo nei confronti della conoscenza, della partecipazione attiva nelle questioni sociali e politiche. Attori delle proposte non sono solo le classi più ricche o che hanno quei legami o interessi con la classe politica, ma è il Cittadino : è il contadino interessato alla riforma agraria, è il pescatore impegnato alla lotta contro la pesca di frodo, è il senza-tetto che combatte per avere una casa, è il disoccupato che lotta perché il diritto al lavoro gli sia assicurato, che ogni giorno si industria pur di non finire nella malavita.
Un nuovo concetto di democrazia, di Stato , delle Istituzioni, ma anche una rivoluzione culturale che sovverte la realtà fattuale. Il suo è un lavoro di empowerment delle persone generalmente escluse dal potere e dalle decisioni, che vivono all’ombra del boom economico E’ lui che comincia ad organizzare riunioni a cui parteciperanno le classi sociali meno abbienti dove ci si interroga, si discute, si impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e decidere, insieme, con la partecipazione di tutti. Emblematico è il caso di una riunione con contadini e pescatori della Sicilia occidentale, durante la quale furono loro stessi a concepire l’idea di costruire la diga sul fiume Jato. La realizzazione di questo progetto costituì successivamente un importante volano per lo sviluppo economico della zona, sottraendo cosi’ alla mafia il controllo delle modeste risorse idriche disponibili e la conseguente possibilità di dominio sui cittadini. L’irrigazione delle terre ha consentito in questa zona della Sicilia occidentale la nascita e lo sviluppo di numerose aziende e cooperative, divenendo occasione di cambiamento economico, sociale, civile.
“Indagine a Palermo”è uno studio sui “senza lavoro” sui coloro che a stento lavorano, è uno “studio limitato a chi paga di persona” (5), paga una vita di stenti, soprusi, ignoranza, mancanza della possibilità di scegliere ; ma è anche la storia di tanti che hanno la forza di continuare a vivere e a lottare.
Il report si compone di due parti : la prima è un’ indagine, un documentario fatto di interviste, di tabelle statistiche che servono ad attestare la situazione ambientale in cui questa gente vive ; la seconda parte, invece, è una semplice riproduzione testuale dei cittadini intervistati, racconti personali. Fondamentale è la scelta di non voler aggiungere o togliere niente al linguaggio usato : parole in vernacolo, frasi sgrammaticate. Il linguaggio, specchio della realtà e della società arretrata, non viene modificato.
Si evince cosi’ che quelle popolazioni, italiane, si sentano abbandonate dallo Stato, dalla Legge, da coloro cui hanno dato il loro voto, perché non hanno un lavoro, i loro figli non hanno la possibilità di andare a scuola perché costretti dagli stenti a dover lavorare sin dalla tenera età. Disperazione che nasce dalla mancanza del lavoro, insicurezza non per il futuro, ma addirittura per il presente, per le possibilità che non hanno e avranno i figli, e cosi’ i figli dei loro figli. Emerge una denuncia del fallimento dello Stato e del suo apparato : è cosi’ che si spiana la strada il malaffare , la corruzione, invece della meritocrazia, della giustizia sociale e della distribuzione giusta delle risorse. La povertà porta ad un circolo vizioso orizzontale e verticale da cui è quasi impossibile uscire : i poveri non hanno diritti, non hanno case con elettricità, acqua , fogna..sono semplicemente soli.
La povertà e l’ignoranza portano al suicidio, alla prostituzione per poter mangiare, alla malavita che offre lavoro ; mafia come ultimo baluardo di difesa contro i mali della vita, come ultima resistenza alle ingiustizie. Ma nessuno vuole condurre quella vita e cosi’ diventano delinquenti per necessità. Quale padre permetterebbe che un suo figlio vada contro i suoi stessi fratelli, sorelle, contro la famiglia ? Quale Stato permetterebbe che un suo figlio nuoccia alla società ? Quale padre abbandonerebbe il proprio figlio ad un destino fatto di miseria e illegalità ?
Dolci mette in luce anche quei contadini che attraverso la scoperta dello studio, soddisfazione per esigenza intellettuale, scoprono che solo uniti ci si possa elevare, solo uniti si può combattere, solo con la conoscenza c’è la redenzione : si lotta per il diritto alla vita e non solo per se stessi. (6) Con la sua inchiesta Dolci pone al centro della sua attività il Cittadino, quello da sempre escluso, quello che non è mai stato ascoltato, che è sempre stato ghettizzato perché la sua povertà non era decorosa per i turisti, quello che ha sempre subito i soprusi delle pubbliche autorità conniventi con la mafia, quel cittadino che ha sempre provato ad uscire dal tunnel della povertà e della ignoranza.
Ecco : ha donato semplicemente voce a chi non l’aveva, chi non aveva più la forza di gridare, di farsi ascoltare, semplicemente perché non sapeva ne scrivere, ne leggere, ne sapeva parlare correttamente l’italiano. Non si è trattato di far comprendere solo che non era una lotta di classe, sociale o economica-non dimentichiamo che si agisce negli anni’50- ma che si è cercato congiuntamente di costruire una lotta politica non violenta per dare all’Italia, e non solo alla Sicilia o al Meridione, un nuovo assetto, un nuovo governo, una nuova concezione della democrazia, che coinvolgesse soprattutto le fasce più basse della popolazione, all’interno della legalità.
Dunque l’ importanza della conoscenza, dello studio, della cooperazione nei dibattiti, della possibilità di esprimersi, di concepire insieme le idee, le soluzioni.
E’ questo il tratto comune tra Danilo Dolci e padre Joseph Wresinski : discutere, dialogare per cercare insieme una soluzione ; unirsi per esser più forti ; fulcro dell’azione sono i Cittadini meno abbienti, attori fondamentali, sono anche loro i protagonisti della storia, coloro che non hanno la forza di lottare da soli, quelle persone che hanno perso tutto, ma non la dignità di esseri umani.
La redenzione attraverso la conoscenza, attraverso l’ unione ; perché se lo Stato fallisce è anche colpa nostra, perché noi siamo la società civile ; ciò che necessita è la maturazione dell’esser cittadino attivo che può attuarsi solo con una piena consapevolezza del ruolo che si ha nella società.
Ma tale maturazione avviene solo se al centro della nostra attività si pone la conoscenza : conoscenza che nasce da un incrocio dei saperi, dal potersi appunto scambiare i saperi l’un l’altro, dal dialogo continuo, dalla cooperazione, dalla possibilità di potersi esprimere. Non si dimentichi mai che l’arma della democrazia è la parola, che si concretizza nella partecipazione. L’indebolimento della democrazia va di pari passo con quello della parola.
Quindi la partecipazione attiva e l’istruzione sono la chiave per una società migliore ; chiudere gli occhi e sperare che altri prendano decisioni per noi è un’assurdità. Spetta al singolo avere la possibilità di scegliere. Alzarci, fare sentire la nostra voce ; oggi in dieci, domani migliaia, poi milioni.
“Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza” (7)
“Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che « vivere vuol dire essere partigiani » (8).
"Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. [...] Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano : se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo ? [...] Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”. (9)

1. Art.4 Cost. It. “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.”
2. Discorso in difesa di Danilo Dolci, di Piero Calamandrei 30 marzo 1956
3.Danilo Dolci « Inchiesta a Palermo », 1958 (pag 311)
4.Cit. Jean-Baptiste Henri Lacordaire, 1838
5.Danilo Dolci « Inchiesta a Palermo », 1958 (pag 11)
6.Danilo Dolci « Inchiesta a Palermo », 1958 (pag 106)
7.Antonio Gramsci, L’Ordine Nuovo, anno I, n. 1, 1° maggio 1919
8.Christian Friedrich Hebbel, Diario, traduzione di Scipio Slataper, Carabba, Lanciano 1912, p. 82, riflessione n. 2127 : Vivere significa esser partigiani.
9.Antonio Gramsci, Indifferenti, La città futura, numero unico, 11 febbraio 1917

1 commento:

  1. Riprendo dal mio diario FB alcuni commenti pervenuti in questi ultimi giorni:

    Sissy Evelina Violini: Che emozione quando qualcuno ricorda D.D. Grazie :-)

    Francesco Virga: L' ho conosciuto direttamente. Ho lavorato due annI con Danilo.

    Angela Pts: ho letto un suo libro: Racconti siciliani, ma voglio approfondire

    Francesco Virga: Questi racconti li ha appresi dai contadini e dai pescatori di Partinico e di Trappeto...


    Michelangelo Pecoraro: Francesco...nell'ombra ti ho sempre stimato perche' sei fatto della stessa pasta di D.D. Hai lo stesso coraggio.

    Francesco Virga: Caro Michelangelo, così mi fai arrossire...

    Silvana la Marca: grazie Francesco!

    Joannes Carolus Rossi: Lo conobbi tanti anni fa ad un convegno sull'acqua e pranzammo allo stesso tavolo. Ricordo che, uomo libero e controcorrente sempre, fece l'elogio del latino, quando l'insegnamento di questa lingua era considerato relitto fascista... e lo sapeva pure parlare!

    Francesco Virga: In questo era stato preceduto da Antonio Gramsci!

    Joannes Carolus Rossi: un altro tradito dalla ratio summi imperii...

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